Niente pesca oggi, mi sono concesso un’ uscita a vela col mio vecchio Laser.
La mia barca preferita che malgrado gli anni (i miei e i suoi sommati sono 100!) mi regala sempre scariche di adrenalina infinite, mettendo a dura prova fisico e riflessi.
C’è il sole ma non fa caldo, la muta coi calzari e i guanti rendono confortevole stare sulle cinghie. Una planata al lasco ad una velocità di 10~12 nodi lascia di poppa una scia schiumosa e candida, spruzzi e acqua nebulizzata che respiro a pieni polmoni mi regalano la sensazione di essere parte di questo mare e di questo vento.
Passo di poppa ad una nave da crociera che ha la prua sull’ imboccatura del porto, una di quelle che portano a spasso quasi 10000 persone tra passeggeri ed equipaggio; guardo la murata alta e bianca, i balconi delle centinaia di cabine esterne distribuite su più ponti, sembrano celle di un convento più che alloggi di lusso.
In effetti queste navi ricevono a bordo una clientela “basso spendente” come dicono gli esperti del turismo, passeggeri che con poche centinaia di euro trascorrono una settimana a bordo con formule tutto incluso convenienti e accessibili.
In passato con biglietti di passaggio economici si finiva in terza classe, in cabine senza oblò sotto la linea di galleggiamento e con i bagni comuni per decine di persone, erano i tempi dei transatlantici di linea che collegavano sugli oceani il vecchio continente col nuovo mondo e con l’Oceania. Erano navi bellissime con linee eleganti e che nei ponti di prima classe erano arredate in modo lussuoso ed esclusivo.
Queste moderne invece, a guardar bene, sono giganteschi cassoni galleggianti, villaggi da edilizia popolare con qualche fregio qui e la per tentare di renderne il profilo più aggraziato; assomigliano ai palazzoni delle periferie metropolitane nate negli anni 60-70, complessi ultra popolari che oggi accusano un logorio strutturale diventato disagio sociale ed emarginazione.
Ma in un’epoca, questa, fatta di scenografie di cartone ed effetti speciali, dietro cui si maschera mediocrità e miseria di valori e ideali, le grandi navi bianche alimentano un immaginario collettivo che le fa accogliere nei nostri porti come efficaci e straordinari elementi positivi di promozione territoriale e di sviluppo economico. Certo, un flusso di quasi 500 mila passeggeri che transitano e che per quasi la metà si riversano tra le strade cittadine, in qualche misura incrementa gli incassi dei bar e dei servizi resi con trenini e pullman, ma non restituisce in termini economici gli ingenti investimenti fatti negli anni in strutture e banchine, sistemi di sicurezza e apparati tecnologici, per non parlare dei costi indotti dall’impegno delle forze dell’ordine e della Capitaneria, e dei servizi resi dalle amministrazioni coinvolte.
In molti pensano che questi turisti diventino testimonial e facciano da apripista a migliaia di viaggiatori che sceglieranno Messina come meta per le loro vacanze, il ritorno vero sarà questo. Forse.
I nostri ospiti, in queste toccate fugaci da non più di otto ore, vengono accolti nella tensostruttura che con enfasi e una certa prosopopea chiamiamo Terminal Crociere; una tenda che ci ricorda che Messina è la città delle baracche, quelle erette per esigenze che dovevano trovare esito nei tempi legati alla ricostruzione post terremoto e che invece dopo cento anni vengono oggi in parte demolite definitivamente, cancellando un secolo di vergogna civile e sociale.
La tenda provvisoria avrebbe dovuto essere soppiantata in breve tempo da un moderno ed elegante manufatto rispondente alle esigenze delle attività di servizio ai passeggeri, e rendere possibile attivare l’economia che solitamente si crea nei punti terminali della grande mobilità. Il progetto, frutto di una lunga istruttoria, è stato messo a gara nella primavera del 2019, l’aggiudicazione è stata annullata dal Tar e poi tutto è rimasto fermo perché nel frattempo gli incrementi dei costi hanno reso impossibile realizzare l’opera. Si sarebbe potuto semplicemente adeguare i prezzi e indire in pochi mesi la nuova gara ma si è lasciato tutto fermo in attesa di non si sa cosa.
Risultato: a distanza di quattro anni dall’indizione della gara, un inspiegabile immobilismo ha fatto si che la “Tenda” abbia una prospettiva di vita di almeno altri quattro anni!
Ma la sorpresa sta nella decisione dell’Autorità portuale di annullare tutto e di non mettere a gara l’opera utilizzando il progetto esistente, già approvato sul piano tecnico e amministrativo, e decidendo invece di mettere a bando i due terminal di Reggio e Messina utilizzando la formula della finanza di progetto e, quindi, di realizzazione e gestione.
Insomma, ormai lo scenario è chiaro, un’altra opera bloccata dalla volontà di un solo tecnocrate che amministra un ente “monocratico” (così l’ha definito il suo presidente) che stravolge ancora una volta scelte fatte dai suoi predecessori, scelte fatte anni fa con l’avallo e la partecipazione di tutti gli attori istituzionali del territorio, Comune in testa!
C’è da chiedersi se il sindaco, l’assessore al turismo e quello alle attività produttive siano stati informati di questa scelta e se l’abbiano condivisa visto che rappresenta lo stop definitivo di una procedura definita con conseguente perdita di tempo e di opportunità per la città e per la sua crescita.
Mi tornano in mente le dichiarazioni rese anni fa sulle funzioni previste nel (non più) realizzando terminal : “….bar-ristorante; vetrina delle eccellenze messinesi; info-point turistico; shop souvenir e artigianato locale; banconi autonoleggio e city lobby. Nel periodo invernale, quando l’utilizzo del Terminal è meno intenso, lo spazio centrale della City Lobby potrà essere convertito in spazio polifunzionale per mostre, eventi e convegni con una capienza di circa 250 persone….”
Ecco, il fattore tempo nella città delle baracche ultracentenarie non sembra una variabile fondamentale.
“Lo tempo va dintorno con le force” (Dante)
Mentre nel resto del mondo, ma anche nei porti delle altre due città metropolitane siciliane, la modernità e la crescita viaggiano alla velocità dei bit e le opere vengono inaugurate ed entrano in esercizio, qui stiamo fermi e continuiamo a sbrodolarci addosso quanto siamo bravi e belli.
A fare schiumazza a passo di lumaca, si lascia solo una traccia di bava.
Una raffica più forte mi distrae dalla vista della grande nave bianca, l’intensità aumentata mi obbliga a poggiare decisamente, la velocità cresce e il divertimento pure in un surfing che sembra senza fine.
Ho strambato con un pò di ansia, non è piacevole una scuffia in inverno, e poi ho virato ancora verso il circolo.
Svento la randa e rientro, stanco e soddisfatto.
Placido Sauro