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Uscendo dalla sala alla prima di Bohemian Rhapsody, il 29 novembre, ci si accorge di aver assistito ad un “miracolo” del cinema: un biopic che riesce a mettere d’accordo quasi tutti, dai fan più accaniti dei Queen, alle nuove generazioni che non hanno conosciuto le gesta di uno dei più grandi gruppi rock della storia della musica. Gli applausi spontanei della sala sui titoli di coda certificano quello che – quasi certamente – sarà un grande successo al botteghino.
Ma non solo. Gli ingredienti per essere una pellicola da ricordare li ha tutti. Dall’eccezionale interpretazione del protagonista Rami Malek, calato perfettamente nei panni e nelle movenze di Freddie Mercury grazie anche ad un make-up curato nei dettagli, ai costumi identici agli originali, il sapiente montaggio sonoro che consente al pubblico di apprezzare la voce originale di Freddie, fino alla regia di Bryan Singer (I soliti sospetti, Operazione Valchiria, X-Men) che non si limita ad una fredda ricostruzione, ma aggiunge ottimi espedienti tecnici quali panoramiche da urlo, riprese con i riflessi (sugli occhiali, il pianoforte), sound-bridge, raccordi sull’asse e sul movimento.
Insomma, una summa di come bisogna affrontare le sfide più difficili. Sì, perché il rischio di cadere in un colossale flop era altissimo: ardua l’impresa di riportare in vita una leggenda musicale; così come sarà stato difficile per il protagonista non pensare che un eventuale flop avrebbe pregiudicato per sempre la sua carriera di attore. Un’opera quindi epica, quanto rischiosa. Ma, come recita la locandina, “Chi non ha paura vive per sempre”.
La pellicola non delude le aspettative: scivola piacevolmente dall’inizio alla fine, senza occhio all’orologio, tracciando le sfumature della personalità complessa del frontman dei Queen con un ritmo incalzante. Non è un’esaltazione a-critica del “mito” Freddie. Non si risparmia nulla: dagli eccessi orgiastici alle droghe, dalla solitudine fino alla scoperta dell’omosessualità e dell’HIV.
Ciò che però dà il plus alla pellicola è l’uso eccezionale delle canzoni, accostate nei momenti giusti alla vita del gruppo e di Mercury. Difficile scegliere un momento topico del film, ma se proprio si deve, forse le due svolte della vita di Freddie: il licenziamento del suo compagno-manager, sotto la pioggia, con Under Pressure e I want to break free in sottofondo, e poi il momento della scoperta dell’Aids con Who wants to live forever a rimarcarne il significato. Da brividi.
“L’importante era cogliere l’anima e lo spirito di Mercury, e Malek ci è riuscito alla grande”, dice un fan soddisfatto, all’uscita della sala sold out.
Ma non brilla solo lui: da sottolineare anche l’interpretazione di Gwilym Lee (alias Brian May), fondatore e anima saggia del gruppo. Sembrano davvero i Queen quelli sul grande schermo, con una somiglianza fisica, gestuale e caratteriale impressionante. Non mancano le battute e i momenti divertenti. In 134 minuti si affrontano i primi 15 anni del gruppo, dal 1970 fino al 1985, con chiusura “ad effetto” col concerto storico di Wembley per il Live Aid. Una goduria per occhi e orecchie.
Se proprio manca qualcosa, è non aver dato voce agli ultimi sei anni di Freddie Mercury, con delle scritte in sovrimpressione. Manca il periodo 1985-1991, anno in cui il mondo intero perde una Leggenda. Solo nei titoli di coda finalmente lo si vede in immagini originali, mentre canta Don’t stop me now. Una pecca, per i fans, che invece si aspettavano forse qualche inserto reale in più.
Ma quando si sceglie di puntare tutto sul cast e la somiglianza notevole dei personaggi, è chiaro che si voglia sorprendere per originalità. E nonostante qualche inesattezza storica, e veloci tagli per sintetizzare tanti anni in pochi minuti, la pellicola resta un gran lavoro di cinema. Bisogna pur capire che quasi 21 anni di storia non si possono comprimere in 2 ore.
Il risultato è comunque notevole sul piano estetico e iconografico. Assolutamente consigliato.
Le nomination per gli Academy non sono un miraggio.