“Sarò il presidente di tutti i Siciliani. Anche di chi non mi ha votato”. In questa frase di Nello Musumeci c’è tutta la portata dell’azione del suo prossimo governo. Incassata la vittoria alle Regionali, infatti, il neo-governatore dovrà fare i conti con una delicata partita nel centrodestra siciliano, che dopo la pausa elettorale (si fa per dire), da oggi si riapre. E infatti, la sua elezione – ricordiamolo – è figlia di un confronto molto aspro con il leader siciliano di Forza Italia Gianfranco Micciché e con i centristi di Saverio Romano, che gli avrebbero volentieri preferito altri nomi. Musumeci, peraltro, per riuscire ad avere una solida maggioranza d’Aula dovrà dimostrare davvero di essere il presidente di tutti: intanto dovrà accontentare i suoi alleati (Forza Italia, Udc e Popolari e autonomisti in testa), che lo hanno portato alla vittoria, piazzando cavalli di razza nelle liste provinciali. E poi, potrebbe essere costretto a guardare anche ai pochissimi parlamentari eletti con “Sicilia Futura” di Totò Cardinale, e a quelli, più numerosi, del Pd, o meglio, di quel che ne resta dopo il tracollo elettorale di queste regionali. Chissà perché, ma in questa legislatura non è da escludere qualche cambio di casacca eccellente verso il centrodestra. E d’altronde, vista la storia recente della politica isolana, non si tratta certo di una previsione così difficile da fare.
Gli elettori hanno sì scelto Musumeci, ma credere che questo possa essere un voto di “cambiamento” sarebbe un errore: hanno eletto una personalità istituzionale e dai forti valori, che ha il piglio del politico rassicurante e del bravo amministratore. Il neo-presidente, peraltro, si porta appresso tutto lo stato maggiore del vecchio centrodestra isolano e la gente lo sapeva eccome. Insomma, “se vogliamo che tutto rimanga com’è, bisogna che tutto cambi” è l’imperativo di questa campagna elettorale appena trascorsa.
A proposito di Partito Democratico, in Sicilia in questa competizione ha raggiunto il suo minimo storico e la sconfitta è tutta da addebitare alle scelte del segretario nazionale Matteo Renzi che ha dato carta bianca al suo colonnello siciliano Davide Faraone. Un insuccesso senza precedenti.
L’alleanza di centrosinistra ispirata dal sindaco di Palermo Leoluca Orlando, infatti, non soltanto non ha dato frutti, ma a conti fatti si è rivelata un abbraccio mortale, con il candidato presidente Micari fermo a poco più del 18 per cento e la cosiddetta lista dei territori di matrice orlandiana che non piazza nemmeno un deputato regionale. Sulla sconfitta del centrosinistra pesa anche il disastro di cinque anni di (non) governo Crocetta, con un ex governatore che praticamente per tutta la legislatura è stato impegnato a tentare di accontentare tutti i suoi alleati i quali, un giorno sì e un giorno no si dissociavano dalle scelte del suo esecutivo, tenendo il governo crocettiano appeso a un filo. Insomma, il centrosinistra in queste elezioni ha dato il peggio di sé e la sconfitta non potrà non avere ripercussioni su scala nazionale negli equilibri interni al Pd.
È bene precisare anche come non abbia sfondato nemmeno la coalizione di movimenti di sinistra che si sono riuniti attorno a Claudio Fava, ferma al 6 per cento. Insomma, gli elettori hanno sonoramente bocciato la sinistra, sia quella di governo (o presunta tale), sia quella di opposizione. A livello nazionale, comunque, adesso a sinistra si apre una delicata partita, che di qui a poco potrebbe vedere diverse forze (da Sinistra italiana ai bersaniani di Mdp) convergere attorno al nome di Piero Grasso. Una sinistra unita a livello nazionale potrebbe tentare di dialogare con un Pd indebolito, oppure con il Movimento 5 stelle, che esce tutto sommato bene e che in Sicilia, rispetto alle ultime Regionali ha quasi raddoppiato la propria percentuale e ottenuto cinque seggi in più rispetto alla scorsa legislatura.
Sui fattori che hanno determinato la mancata vittoria di Giancarlo Cancelleri, di certo c’è la ritrovata unità del centrodestra, ma guai ad addebitare le proprie sconfitte ai meriti degli avversari. Il Movimento 5 stelle paga anche alcune scelte infelici che non hanno convinto gli elettori. Fra queste, ad esempio, la frettolosa nomina di Parisi quale assessore designato all’energia, prima di accorgersi che la persona in questione da anni riempiva le proprie bacheche Twitter e Facebook di messaggi non proprio “politically correct”. Pesa anche l’incertezza degli elettori rispetto agli esiti di esperienze non siciliane, come la non agevole sindacatura romana di Virginia Raggi. O ancora, una campagna di comunicazione non efficacissima, che ha puntato tutto sui social network, dimenticando che c’è una Sicilia profonda, a cui il messaggio pentastellato evidentemente non è arrivato. Maggiore spazio ai candidati all’Ars e non al solo candidato governatore, poi, avrebbe garantito al M5s una più efficace presa sull’elettorato. Inoltre, in questa campagna elettorale, il Movimento non è stato in grado di incassare, salvo rarissime eccezioni, un aperto sostegno da parte di personalità di rilievo della Sicilia (del mondo dell’impresa, della cultura o del turismo ad esempio), dando l’impressione di un’armata forte e solida, ma solitaria e priva di collegamenti saldi con il tessuto sociale isolano. Tutti fattori che, al di là dei facili slogan del dopo-elezioni, i leader nazionali e regionali del Movimento cinque stelle dovrebbero prendere in considerazione, se vorranno capitalizzare il buon risultato anche in vista delle prossime elezioni politiche e non disperdere gli oltre 700 mila voti ottenuti da Cancelleri.
Infine, non si può ignorare la forte astensione dal voto: la maggioranza dei Siciliani non è andata a votare, delegando dunque ai pochi elettori il destino di tutti, anche il proprio. Il Movimento 5 stelle, al di là del buon risultato elettorale, non è stato in grado di intercettare questa fascia di cittadini, visto che l’astensionismo è, in pratica, sugli stessi numeri delle regionali di cinque anni fa. Elettori potenziali che non sono stati attratti nemmeno da Nello Musumeci e che hanno preferito voltare le spalle alla politica. Di certo, costoro da oggi dovrebbero smetterla di lamentarsi, visto che hanno rinunciato a un proprio diritto, ma la politica siciliana, dal canto suo, dovrebbe interrogarsi a lungo sulla perdita di contatto con la maggioranza dei cittadini siciliani.