“Un ventenne. Extracomunitario. Morto suicida in un carcere siciliano. Il 33° nel 2025. Un numero, sì. Ma dietro c’è un volto, una storia, un grido inascoltato. Cos’è, davvero, la giustizia? È punizione? Isolamento? Marginalizzazione? O dovrebbe essere cura, ricomposizione, possibilità? La giustizia che punisce soltanto è giustizia… o è solo vendetta con un nome più elegante? Esiste un’altra via: la giustizia riparativa. Non cancella il male, ma lo affronta. Non condanna per sempre, ma ascolta. Riconosce che ogni essere umano è più del suo errore. E offre uno spazio di dialogo, responsabilità, trasformazione. In carcere, il tempo si svuota. La colpa diventa identità. E l’uomo si spegne nel silenzio. Quel suicidio è un fallimento collettivo. È la domanda che ci arriva da chi non ha più voce: possiamo immaginare una giustizia che generi vita, anziché consumarla? Riparare non è dimenticare. Riparare è assumere il male senza annientare il colpevole. È un atto radicale di speranza. Ed è forse l’unico modo per restare umani”.
Queste le parole di Eleonora Gazziano, Dirigente del dipartimento dei diritti umani Dc.