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Intelligenza, fantasia e curiosità d’interessi: erano questi i tre perni fondamentali sui quali il Generale Carlo Alberto Dalla Chiesa basò la sua vita di cittadino e di uomo dello Stato.
Le lasciò scritte queste parole, testimonianza inconsapevole, chissà poi quanto, di un testamento ideologico affidato ad una missiva ufficiale e ‘riservata’ redatta poche ore prima del suo omicidio, il 3 settembre 1982, in cui persero la vita anche la moglie, Emanuela Setti Carraro e, dopo giorni di agonia, l’agente di scorta Domenico Russo.
A 37 anni di distanza a Villa Pajno a Palermo, sede di rappresentanza della Prefettura, nello stesso giorno e negli stessi minuti in cui si compiva l’agguato, alla presenza delle autorità cittadine e dei familiari di Dalla Chiesa, si è svolto un ulteriore momento di riflessione fortemente voluto dal prefetto Antonella De Miro per sottolineare, al di là della cronaca dei fatti nota a tutti, l’impronta umana e sociale lasciata in eredita dal prefetto.
“Questo luogo – ha detto la De Miro – nel 1982 è piombato in un silenzio assordante divenendo per sempre luogo della storia triste di questa città. Stasera qui faremo rivivere il prefetto Dalla Chiesa, lo faremo parlare con le sue stesse parole che ho messo in un racconto elaborato traendo spunto da documenti, verbali, articoli di giornale. Testo che racconterà dell’uomo, privato e pubblico, che ha amato la Costituzione, le leggi dello Stato, fino al sacrificio ultimo di se stesso, in difesa delle libertà democratiche“.
Davanti ad una platea silenziosa e attenta è stato l’attore Gigi Borruso, con la professionalità che lo contraddistingue, a dar voce alle parole di Dalla Chiesa, accompagnato dalle note del pianoforte eseguite da Davide Spina.
Dalla lettera che Dalla Chiesa scrisse all’allora Presidente della Repubblica Giovanni Spadolini, subito dopo la nomina a Prefetto, da cui si evince, senza fraintendimenti, il peso del valore etico e professionale del Generale, agli impegni che, dal 1° maggio al 3 settembre 1982, ricoprì.
Pochi mesi ma sufficienti per lasciare un segno indelebile in quegli “anni della mattanza“.
Fino all’omicidio di Dalla Chiesa, agli inizi di settembre, solamente nel 1982, si contarono cento morti in un’Isola che, più che solare, sembrava insanguinata.
“Sono destinato a subire“, scrisse tra le altre cose: nonostante la promessa di ‘poteri speciali’ in qualità di Prefetto, che non ebbe mai, l’azione di Dalla Chiesa fu evidente sin dall’arrivo in città. Il suo era un ritorno e, sulla scorta del ‘costruire per gli altri’, cominciò, instancabilmente, ad alleggerire le file delle pratiche burocratiche, “perchè il cittadino deve sentire la presenza delle istituzioni efficienti al suo fianco“.
Tra i momenti più toccanti della serata quello in cui sono saliti sul palco alcuni alunni della 3A del Gonzaga che, nel 1982, inviarono a Dalla Chiesa una lettera aperta di ringraziamento; gli stessi allievi che lui volle incontrare personalmente.
“I giovani sono la speranza di Palermo“, scriveva e pensava il Prefetto e a loro, in ogni occasione possibile, si rivolgeva sostanziando con fatti e azioni, esempi concreti, le parole che pronunciava convinto che la mafia fosse “un modo di essere” da combattere offrendo “qualcosa in cui credere“.
Questo, infine, era il mantra che negli ultimi tempi ripeteva continuamente: “Non possiamo abituarci a questa logica di morte, credete nel sacrificio e nel coraggio“.
Da allora molto è cambiato a Palermo e, in generale, in Sicilia che ha visto oltre agli omicidi anche stragi mafiose: il risultato però, forse non calcolato, è stata la presa di coscienza, singola e collettiva al tempo stesso, che a distanza di quarant’anni registra nuove consapevolezze e nuove manifestazioni di dignità tra gli i cittadini.