Oggi la commissione Antimafia dell’Ars ha approvato la relazione in merito al testo sul caso Giuseppe Antoci. L’allora presidente del parco dei Nebrodi scampò ad un presunto attentato mafioso nella notte fra il 17 e 18 maggio 2016. Due anni di indagini senza esito: poi nel maggio del 2018 la Dda di Messina ne ha chiesto l’archiviazione, ottenuta dal gip nel luglio successivo.
I rilievi sul luogo, le intercettazioni, perfino le analisi del DNA trovato sui mozziconi di sigaretta accatastati vicino al luogo dell’attentato non diedero alcun esito. Nel frattempo ai due magistrati che coordinavano le indagini, Vito Di Giorgio e Angelo Cavallo, sono arrivate dieci esposti anonimi contenenti accuse di vario genere e a vario titolo (perfino accuse incrociate tra agenti della scorta e i poliziotti di Sant’Agata) tra cui la tesi che quel 18 maggio si trattò non già di un agguato ma di una vera e propria messa in scena, contenuti ai quali i due procuratori non hanno attribuito alcun credito
Numerose le audizioni che si sono susseguite a Palazzo dei Normanni tra giornalisti, magistrati e investigatori. Il 19 giugno scorso la commissione ha ascoltato anche Lorena Ricciardello, compagna di Tiziano Granata, uno dei poliziotti della scorta di Giuseppe Antoci, morto improvvisamente l’1 marzo del 2018. Il giorno successivo morì anche Rino Todaro, capo della polizia giudiziaria di Sant’Agata di Militello. Entrambi erano in forze al pool ecomafie sui Nebrodi.
Delle tre ipotesi formulate (un attentato mafioso fallito, un atto puramente dimostrativo, una simulazione) il fallito attentato mafioso con intenzioni stragiste appare la meno plausibile. E’ questa la conclusione cui è giunta la Commissione parlamentare regionale antimafia al termine dei cinque mesi di lavoro sul “Caso Antoci“.
Le conclusioni
Per la Commissione, secondo quanto riportato nelle conclusioni “non è plausibile che quasi tutte le procedure operative per l’equipaggio di una scorta di terzo livello, qual era quella di Antoci, siano state violate Non è plausibile che gli attentatori, almeno tre, presumibilmente tutti armati, non aprano il fuoco sui due poliziotti sopraggiunti al momento dell’attentato. Non è plausibile che, sui 35 chilometri di statale a disposizione tra Cesaro e San Fratello, il presunto commando mafioso scelga di organizzare l’attentato proprio a due chilometri dal rifugio della forestale, presidiato anche di notte da personale armato, né è plausibile che gli attentatori non fossero informati su questa circostanza. Non è comprensibile la ragione per cui il vicequestore aggiunto Manganaro non trasmetta le sue preoccupazioni ai poliziotti di scorta di Antoci salvo poi cercare di raggiungerli temendo che potesse accadere qualcosa senza nemmeno tentare di mettersi in contatto telefonico con loro. Non è comprensibile la ragione per cui non sia stato disposto dai questori p.t. di Messina e dai PM incaricati dell’indagine un confronto tra i due funzionari di polizia, Manganaro e Ceraolo, che su molti punti rilevanti hanno continuato a contraddirsi e ad offrire ricostruzioni opposte. E’ censurabile il fatto che il dottor Manganaro abbia offerto su alcuni punti versioni diverse da quelle che aveva fornito ai PM in sede di sommarie informazioni. E’ per lo meno inusuale che di fronte ad un attentato ritenuto mafioso con finalità stragista la delega per le indagini venga ristretta alla squadra mobile di Messina e al commissariato di provenienza dei quattro poliziotti protagonisti del fatto, fatta eccezione per un contributo meramente tecnico dello SCO e per l’intervento del gabinetto della polizia scientifica di Roma molto tempo dopo”.
Le dichiarazioni di Fava
“La Commissione – spiega il presidente Fava – ha cercato di approfondire i numerosi interrogativi lasciati aperti dal decreto di archiviazione disposto dal gip di Messina e, al tempo stesso, di affrontare, attraverso una minuziosa ricostruzione dei fatti, le opacità, le contraddizioni e i vuoti di verità che permangono da tre anni su questa vicenda”.
Nella relazione, che sarà trasmessa, oltre che al Presidente dell’ARS, anche alla Commissione antimafia nazionale e alle Procure della Repubblica competenti, si affronta anche la vicenda del sovrintende Calogero Emilio Todaro e l’assistente capo Tiziano Granata. Per queste morti, la Commissione ha chiesto che vengano riaperte le indagini.
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