Il caso di padre Marko Ivan Rupnik è probabilmente uno degli ultimi scandali più dolorosi per la Chiesa cattolica. Fino a poco tempo fa il prete ed artista sloveno era considerato un punto di riferimento per l’arte sacra contemporanea, apprezzato da papi e vescovi il prete artista era stato chiamato ad abbellire chiese, cappelle e santuari in Italia e in diverse parti del mondo e perfino una Cappella in Vaticano, la “Redempotoris Mater” voluta da Papa Giovanni Paolo II. La sua scuola artistica era la più prestigiosa e veniva anche arricchita da una produzione “teologica” e “spirituale” propagata dallo stesso gesuita sloveno.
Poi nel 2022 la caduta: viene fuori un procedimento canonico contro Rupnik determinato dall’accusa di plurimi abusi sessuali e psicologici di ben 21 ex religiose della comunità da lui fondata. Una storia turpe, che imbarazza il Vaticano e costringe i Gesuiti a cacciare Rupnik e che col tempo si arricchisce di nuovi particolari. Le indagini contro Rupnik hanno alti e bassi e comprensibili resistenze da parte dell’Autorità ecclesiastica che si trova nella terribile situazione di dover processare e forse condannare una specie di “mito”.
Nel febbraio 2024 però arriva un altro duro colpo: a Roma nella sede della Federazione Nazionale della Stampa italiana si tiene una conferenza stampa dove parlano a volto aperto due delle donne che hanno accusato di abusi sessuali Marko Ivan Rupnik. Durante la conferenza stampa Gloria Branciani e Mirjam Kovac hanno raccontato gli «abusi di coscienza, di potere, spirituali, psichici, fisici e spesso anche sessuali» che hanno subito personalmente o di cui sono venute a conoscenza nel tempo da parte di Rupnik. Alcuni particolari del racconto delle donne sono sconvolgenti: Rupnik aveva chiesto ad una delle consacrate di avere rapporti a tre con un’altra sorella della comunità «perché la sessualità doveva essere secondo lui libera dal possesso, ad immagine della Trinità dove, diceva, il terzo raccoglieva il rapporto tra i due». Una delle donne ricorda anche anche che le richieste di atti sessuali avvenivano «anche mentre dipingeva ed erano sempre più aggressive e spesso avvenivano quando dipingeva il volto di Gesù per qualche nostra cappella».
L’indagine su Rupnik è ancora in corso ma il clamore e lo sdegno suscitato dalla vicenda e dai racconti delle ex religiose hanno provocato un terremoto di portata internazionale che ha alimentato un tormentato dibattito sulle oltre 200 opere, visibili a Lourdes, Fatima, Damasco, Washington, in Vaticano e in diverse parti d’Italia. Recentemente è anche stata resa pubblica una lettera di cinque donne presunte vittime di Rupnik che chiedono che le sue opere non siano più esposte nelle chiese: «le opere – scrivono – sono esposte nei luoghi in cui ciascun credente si raccoglie in preghiera (…) e suscitano turbamento negli animi dei fedeli». Nella lettera si prosegue sostenendo che l’esposizione delle opere di Rupnik è «inappropriata», e che porta a rivivere il trauma delle donne che «quotidianamente devono confrontarsi con le conseguenze psicologiche che gli abusi hanno arrecato loro». «Peraltro – aggiunge Laura Sgrò, , legale delle cinque denuncianti. – è emerso che durante la realizzazione di alcuni mosaici, almeno una suora ha ricevuto molestie di natura sessuale anche sulle impalcature, mentre partecipava alla messa in opera del mosaico. Altre suore hanno raccontato di aver fatto da modelle per le opere di Rupnik, anche queste esposte in luoghi sacri, e mentre posavano sono state abusate».
Da qui in poi numerose prese di posizione: il presidente della Pontificia Commissione per la tutela dei Minori, il cardinale Sean O’Malley, si è rivolto ai dicasteri della Curia Romana invitandoli a evitare di esporre o usare le opere di Rupnik in un modo che possa far presumere un atteggiamento «di assoluzione o sottile difesa» o che possa indicare «indifferenza al dolore e alla sofferenza» delle vittime e ancora monsignor Jean Marc Micas, vescovo di Lourdes: “Sarebbe meglio rimuovere i mosaici realizzati da Marko Rupnik per il Santuario di Lourdes ed esposti all’ingresso della Basilica di Nostra Signora del Rosario”. Negli Stati Uniti però una decisione è già stata presa: nel santuario nazionale di San Giovanni Paolo II a Washington e nella Cappella della Sacra Famiglia presso la sede centrale dei Cavalieri di Colombo a New Haven i mosaici di Rupnik saranno oscurati.
L’incandescente dibattito sulle opere di Rupnik dovrebbe toccare anche la Sicilia. Non sono poche infatti le incursioni artistiche del prete accusato di abusi nell’Isola, almeno secondo le informazioni rinvenute sul sito del Centro Aletti e in rete.
E’ la Diocesi di Caltagirone però a vantare il singolare primato di presenza di opere di Rupnik. L’ex gesuita è stato spesso in diocesi per tenere conferenze e sopratutto per le sue opere che segnano decisamente vita artistica ed ecclesiale di questa chiesa siciliana. Si comincia dalla Cattedrale di San Giuliano dove i mosaici di Rupnik hanno spodestato nel presbiterio una tela del Cristo Risorto attribuita al pittore calatino Giuseppe Vaccaro e sono elementi fondanti dell’ambone dove viene proclamata la Parola di Dio e dell’altare sul quale ogni giorno viene celebrata l’Eucarestia. Le pitture di Rupnik sono pure nella cappella dell’Episcopio di Caltagirone, dove celebra il vescovo Calogero Peri, ma anche nella cappella del Seminario il luogo dove pregano i futuri sacerdoti della diocesi di Caltagirone. Significativo che anche nel manifesto delle ultime ordinazioni presbiterali del 25 maggio 2024 campeggi, come se nulla fosse successo, proprio un’opera di Rupnik. Le inconfondibili figure senza pupilla create dal prete artista sono componente predominante anche della nuovissima chiesa parrocchiale della Madonna della Via a Caltagirone e della parrocchia dell’Immacolata Concezione di Raddusa.
Non c’è solo la Diocesi di Caltagirone che conta opere dell’ex gesuita: a Catania nella Chiesa dei Santi Elisabetta e Zaccaria, nel popolare quartiere di San Giovanni Galermo un mosaico a tutta parete sembra volere accogliere i fedeli che entrano in chiesa. In provincia di Messina nel piccolo comune di Acquedolci è un mosaico di Rupnik che sovrasta il battistero della Chiesa Madre di Santa Maria Assunta.
Al momento dalle diocesi siciliane interessate non c’è stato nessun commento o nessuna messa in discussione delle opere di Rupnik, intanto il dibattito anche a livello delle Chiese d’Italia ferve e proprio Avvenire, il quotidiano dei vescovi, si è recentemente interrogato su cosa fare delle opere del prete sloveno azzardando anche un’altra domanda: “ma il vero nodo è la committenza. C’era bisogno di quelle opere?”.
Il caso indubbiamente rimane e non perché questi mosaici e queste pitture siano opera di un peccatore – anche artisti del calibro di Bernini e Caravaggio lo erano – ma perché, come giustamente hanno notato Andrew e Gwyneth Thompson-Briggs sul National Catholic Register, “abbiamo a che fare con l’accusa che padre Rupnik sia un sacerdote apostata che, nel corso di una lunga carriera nel cuore delle strutture ufficiali della Chiesa, ha sfruttato la sua autorità di sacerdote, teologo e artista sacro per farsi profeta di un falso Vangelo in cui il peccato è virtù e la virtù è peccato”.
Sullo sfondo, anche delle chiese siciliane, l’inquietante sguardo delle figure di Rupnik con le pupille incombenti e completamente scure, occhi che, per usare ancora le parole degli artisti americani Thompson-Briggs, sono “privi di ogni luce, quasi come se raffigurassero non la Luce del mondo, ma le Tenebre del mondo, in cui vediamo solo le tenebre”.