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L'esperto

Cefalee, la rivoluzione silenziosa: nuovi farmaci e un PDTA in Sicilia contro una malattia sottovalutata CLICCA PER IL VIDEO

lunedì 12 Maggio 2025

Le cefalee, comunemente note come mal di testa, non sono una semplice fastidio passeggero. Si tratta di una famiglia eterogenea di disturbi neurologici, che comprende forme primarie, come emicrania, cefalea tensiva e cefalea a grappolo, e forme secondarie legate ad altre patologie.

Secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità, l’emicrania è la seconda causa di disabilità a livello globale tra le patologie neurologiche. In Italia, si stima che oltre 6 milioni di persone soffrano di emicrania, e circa 1 milione conviva con una forma cronica, ovvero con almeno 15 giorni di mal di testa al mese.

Purtroppo solo il 50% dei pazienti riceve una diagnosi corretta. E tra chi riceve la diagnosi, appena il 30% viene curato in modo adeguato. Le cefalee, in particolare l’emicrania, rappresentano una delle condizioni neurologiche più diffuse e invalidanti, ma anche una delle più sottovalutate nel panorama sanitario italiano. Secondo i dati epidemiologici, infatti, una larga fetta della popolazione affetta da cefalee croniche non si rivolge a uno specialista, ma tenta di risolvere il problema in autonomia, spesso con un semplice passaggio in farmacia. Il risultato è una diagnosi tardiva o del tutto assente, e una gestione farmacologica inadeguata che finisce per cronicizzare la condizione“.

A chiarire il quadro è il professore Filippo Brighina, docente di Neurologia all’Università di Palermo e responsabile del Centro Cefalee del Policlinico universitario.

Il motivo?

“Per anni, ed ancora oggi, il primo approccio all’emicrania, specie nei casi più lievi, è quello dell’automedicazione. Molti pazienti si affidano ai farmaci da banco, come antinfiammatori o analgesici, acquistabili in farmacia senza prescrizione. Ma quando questi non bastano, si passa a terapie farmacologiche più strutturate, che però non nascono per trattare l’emicrania”, spiega.

“Fino a pochi anni fa, infatti, utilizzavamo farmaci di ‘seconda mano’, sviluppati originariamente per altre patologie, come beta-bloccanti per l’ipertensione, antidepressivi triciclici come l’amitriptilina o antiepilettici come il topiramato – aggiunge -. In molti casi si rivelavano efficaci, ma non erano progettati per agire sui meccanismi specifici dell’attacco emicranico. Il loro utilizzo si è diffuso più per osservazione clinica che per razionale terapeutico mirato”.

La rivoluzione terapeutica

Il cambio di paradigma è arrivato con una scoperta chiave: il ruolo del CGRP (Calcitonin Gene-Related Peptide), un neuropeptide che si attiva durante gli attacchi emicranici, provocando vasodilatazione e infiammazione a livello delle meningi. Abbiamo capito che il CGRP è uno dei principali responsabili della cascata infiammatoria che scatena l’attacco. Questa comprensione ha aperto la strada allo sviluppo di una nuova generazione di farmaci di precisione, in grado di interferire direttamente con questo meccanismo”, racconta Brighina.

La prima ondata innovativa è rappresentata dagli anticorpi monoclonali anti-CGRP, farmaci biologici progettati per la prevenzione dell’emicrania. Ce ne sono di due tipi: alcuni bloccano direttamente la molecola del CGRP (come galcanezumab, fremanezumab ed eptinezumab), altri invece inibiscono il suo recettore (come erenumab).

“Queste terapie vengono somministrate per via sottocutanea o endovenosa, generalmente una volta al mese o ogni tre mesi, e mostrano un’ottima efficacia e tollerabilità. Per molti pazienti con forme gravi e resistenti di emicrania, hanno rappresentato un vero punto di svolta prosegue -. Il limite principale è rappresentato dal costo, ma in presenza di criteri specifici, soprattutto nei casi cronici e refrattari, sono disponibili tramite il Servizio Sanitario Nazionale”.

Ma la ricerca non si è fermata qui.

“Più di recente, si è affacciata una seconda grande novità terapeutica: i Gepant, una classe di piccole molecole orali che, pur seguendo lo stesso bersaglio biologico degli anticorpi (il CGRP), lo fanno in modo diverso e più flessibile. Parliamo di farmaci come rimegepant e atogepant: il primo è usato nel trattamento dell’attacco acuto, il secondo nella prevenzione. A differenza degli anticorpi, che vanno iniettati, i Gepant si assumono per bocca, e questo migliora moltissimo l’aderenza alla terapia, soprattutto nei pazienti che non tollerano bene le iniezioni o che desiderano un approccio più semplice, sottolinea Brighina.

Oltre alla comodità d’uso, i Gepant sembrano offrire un profilo molto favorevole anche dal punto di vista dell’efficacia e della sicurezza.

“Alcuni studi preliminari suggeriscono che, in certi pazienti, possano funzionare persino meglio degli anticorpi. Ma è ancora presto per trarre conclusioni definitive: serviranno dati più robusti e un’esperienza clinica più ampia per confermare queste osservazioni. Di certo, possiamo affermare che l’emicrania può finalmente contare su farmaci mirati, costruiti a partire dalla conoscenza dei meccanismi che la generano – evidenzia –. Una rivoluzione silenziosa ma concreta, che sta già migliorando la qualità della vita di migliaia di persone”.

Un quadro normativo ancora in costruzione

Dal punto di vista legislativo, un passo significativo è stato compiuto con l’approvazione della legge n. 81 del 2020, che riconosce la cefalea cronica come una “malattia sociale invalidante. Ma l’attuazione è ancora parziale, e molte delle promesse contenute nella norma restano inattuate sul piano pratico.

“È vero, la legge c’è, ma non è ancora pienamente attuata – afferma Brighin -. Il Ministero della Salute ha comunque avviato progetti di finanziamento su base regionale, soprattutto per facilitare l’accesso alle cure per i pazienti più gravi. In Sicilia, in particolare, è in corso l’attuazione di un PDTA (Percorso Diagnostico Terapeutico Assistenziale) regionale per le cefalee. Abbiamo, infatti, già elaborato un piano che mira a costruire una vera rete tra specialisti sul territorio. L’obiettivo è migliorare l’accesso dei pazienti, abbattere il fenomeno del sommerso e garantire terapie adeguate anche nelle aree più periferiche”, conclude Brighina.

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