Carissimi
“Ognuno è un cantastoria, tante facce nella memoria, tanto di tutto tanto di niente, le parole di tanta gente….”, era bella questa canzone di Mario Castellacci, musicata da Franco Pisano che ci faceva riflettere sull’unicità dell’individuo e sprizzava grande sensibilità, qualcosa della quale oggi o ne abbiamo perso la dimensione o ce ne vergogniamo per non sembrare deboli.
Quando la mattina esco da casa per andare a lavorare incontro gli sguardi di tanta gente, gli occhi di tante donne e in un istante impercettibile le squadro nel loro modo di vestire, di presentarsi e immagino che tipo di donna ci sia dietro a questa apparenza, se vi sia felicità e soddisfazione, se vi sia sofferenza, se vi sia una fidanzata innamorata o una giovane madre picchiata, ma una cosa è certa, vi è sempre una grande dignità nel volersi presentare e uscire in pubblico.
Vi è qualche iphone perennemente acceso, ma vi è tanta “solitudine”.
Ho dovuto cambiare in me il concetto di solitudine prima legato all’uomo che naufragava nell’isola deserta e oggi al soggetto immerso in un oceano di persone delle quali il più delle volte non riesce a percepire alcuna vibrazione.
Sono poche le affinità elettive che tra di noi si intrecciano, sono poche le persone che vogliono ancora andare oltre la sola apparenza, vincere modelli e stereotipi e abbandonarsi alle forti emozioni.
Dietro a ognuno di noi, qualunque sia la nostra vita, il nostro mestiere, il nostro ruolo c’è un essere umano con il suo bagaglio di emozioni e la sua sensibilità, basta saper andare oltre e superare i primi steccati difensivi, i primi pregiudizi.
Mi vide e il volto Le si accese venendo verso di me con un grande sorriso e facendomi una festa alla pari di una vecchia amica che ti incontra in un posto inatteso e abbracciandomi e baciandomi mi disse “ciao come stai?” Io risposi preso di soprassalto in maniera banale e stupidamente “e tu che ci fai qua?”
In pochi secondi contestualizzai il tutto, in quella strada sotto casa mia, davanti alla vetrina di quell’ottico, io mano nella mano con la mia fidanzatina del momento, Lei che aveva lasciato un attimo le mani dei suoi due bambini per salutarmi e l’amica che l’accompagnava.
Mi presentai con la sua amica e volli fare partecipe in quella surreale situazione chi mi accompagnava, dicendole: “ti presento”… invitandola (come si fa in questi casi d’imbarazzo) a dire il nome di chi non si conosce… aggiungendo “una signora che lavora dove mi alleno ogni pomeriggio” e Lei sorridendo aggiunse, con molta ironia “in un certo senso… “.
Dopo quei convenevoli, ci risalutammo continuando per la nostra strada. Lessi nei suoi occhi non solo la dovuta complicità ma l’apprezzamento.
Ricordo a distanza di quarant’anni quell’episodio con tanta simpatia, non avevo fatto null’altro di quanto facevo e faccio ancora oggi, un gesto di cordialità con tutte le persone che riempiono e condividono la mia giornata, sia da protagonista che sullo sfondo, come comparse vivendo vite nelle quali anche io finisco per stare nello sfondo come una comparsa.
Da quel giorno non la vidi più in quell’angolo, a quell’incrocio, in compagnia di tutte quelle signore più grandi di lei (forse più esperte) che attendevano passaggi fugaci di pochi minuti che le riportassero allo stesso punto di partenza. Ogni giorno la stessa vita, cosi come il nostro gruppo di atleti che facevano fondo negli stessi viali della Favorita, nei quali si consumavano vite parallele, incontri clandestini.
Non sapevo nulla di Lei ma Le ero diventato familiare grazie al giornaliero ciao al passaggio del gruppo, tra l’ultimo di questo serpentone, il più piccolo, il più pulitino e la più giovane di quelle signore in attesa…
Di cosa avrei dovuto scandalizzarmi? Perché non avrei dovuto rispondere a quel saluto giornaliero con tanta cordialità? Ciò che mi veniva spontaneo allora senza conoscere nulla della vita, l’avrei fatto e a maggior ragione oggi dopo esser cresciuto per strada a giocare con il pallone sui marciapiedi, gli stessi spesso utilizzati da chi ha “deciso”, ma “deciso” è parola molto forte e spesso inappropriata, di…
Non ho mai giudicato, non mi sono mai fatto abbindolare dai pregiudizi, non mi sono mai sentito migliore di nessuno, ma sono stato sempre consapevole che la sceneggiatura di questa vitaccia non la scriviamo noi.
Chi siamo e quanti errori ognuno di noi ha compiuto e compirà, quante cose sbagliate, quante cose potevano esser fatte meglio, mi auguro almeno che anche Lei abbia potuto avere una vita migliore.
Sempre più spesso c’è chi manda a quel paese ogni forma di morale per il “Dio denaro” accettando compromessi, chi più, chi meno, per vivere, in molti casi sopravvivere.
In altrettanti casi sopravvivere in schiavitù, perché dietro a una consistente “offerta” c’è necessariamente una “domanda”… e che domanda.
“Ognuno ha tanta storia” è vero, ma abbiamo paura o reputiamo un investimento poco fruttuoso l’andare in profondità per conoscere realmente i nostri interlocutori, avendo l’accortezza di non fermarci alla fotografia dell’istante e a tentare di comprendere realmente che ciò che siamo è sempre dovuto alla storia che abbiamo alle spalle.
Un abbraccio, Epruno