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Come se fosse Antani

mercoledì 19 Febbraio 2020

Da oggi un nuovo blog si unisce a quelli già esistenti. Si intitola “Come se fosse Antani“, con un riferimento più che esplicito al celebre film. “Amici miei”. E’ il blog di Giovanna Di Marco , laureata in lettere con una tesi in Estetica e specializzata in storia dell’arte medievale e moderna con una tesi sulla pittura medievale. Giovanna vive e lavora a Palermo dove insegna materie letterarie nella scuola secondaria.

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«Chi sono?». Ce lo chiediamo tutti. Suppongo che questo accada. Franco Battiato, in un’intervista di qualche anno fa, ha confessato che, quando da ragazzino si poneva questo interrogativo, una voce dentro di sé rispondeva con le parole di un famoso motivetto napoletano: «Tu si ‘a Canaria».

Abbraccio anch’io questa risposta quando mi pongo la stessa domanda, per demistificare l’angoscia esistenziale, ma continuo a chiedermi chi sia io in questo mondo, perché io stia scrivendo in uno spazio che raccolga i miei pensieri sulle cose, sui fenomeni culturali (dalla letteratura all’arte, dalla scuola alla società, dai totem ai tormentoni del momento). Il mondo, insomma, quello che mi passa sotto il naso. A cosa serve dire la mia quando tutti ormai si sentono legittimati a dire la propria? Ci sono passata di sguincio, ho osservato ritrosa questo perenne teatrino, mai veramente lanciandomi o esprimendomi.

Questo tempo è finito, perché ho voglia di parlare e di farlo a modo mio, ammesso che io sappia chi io sia e cosa dover essere.Quanto più io abbia creduto sacre certe cose, tanto più il mondo mi ha schiaffeggiato e condotto a rivoltare le mie certezze, i miei assunti. Molto da allora mi è apparso ridicolo. L’aspetto farsesco e grottesco dell’esistenza è corrosivo, lapidario, icastico ed è fonte di dubbio. Quello non mi abbandona mai. Come non pensare alla genialata del conte Mascetti, interpretato da Ugo Tognazzi nella trilogia di film Amici miei di Monicelli e Loy? Cos’è Antani, come se fosse Antani? È una frase senza senso che si fa beffa dell’autorità. Con tono magniloquente, irride, graffia, scortica concetti e situazioni. Antani non ha nessun senso, nessun significato, come la parola Dada del famoso gruppo di artisti d’Avanguardia, chiamati appunto dadaisti. Irride il reale, lo scardina, ne fa sberleffo. Una “zingarata” linguistica che fa il paio alle “zingarate” messe in scena da quegli amici mai cresciuti troppo.

Ma Antani ha una sorella gemella che prosegue, come in un automatismo il suo scioglilingua: la supercazzola. Ora, perdonate la trivialità, ma quante supercazzole addobbano i nostri tempi come se fossero necessarie? Magari scritte e dette sotto l’alibi sempreverde della cultura. Proprio guardandomi attorno,posso dire che i nostri tempi non mi piacciono. Facile affermarlo: tutti gli uomini con più o meno spirito critico hanno sempre detto questo in ogni epoca, anelando in sottofondo les petites madeleines di Proust, quei dolcetti “corti e paffuti” che nello scrittore francese provocarono tumulti interiori, tanto da fargli considerare indifferenti le vicissitudini, inoffensivi i rovesci, illusoria la brevità della vita…non mi sentivo più mediocre, contingente, mortale.Agogno forse una mitica età dell’oro? Per carità! Ma davvero oggi siamo di fronte al degenere, soprattutto dal punto di vista culturale, tanto che, provocatoriamente, la parola cultura mi è venuta a noia. Se anche la cultura deve essere una paccottiglia vendibile, smerciabile e da esibire, allora no.

Allora, come starci in questa bolgia, in questo guazzabuglio? Non prendendosi sul serio, risponde la voce interiore, ‘a Canaria. Non so ancora come questo spazio incontrerà la vita, i fatti, gli argomenti, quella stessa cultura che negherò in ogni sua forma banalizzata, per darle invece un senso diverso da semplice “canzone da organetto”. Oggi non posso esporre qui e in modo – oserei dire-proemiale, cosa sarà Come se fosse Antani. Posso dire, per negazione, proprio cosa non sarà o cosa non ci sarà: la melassa, i valori copertina su cui si marcia di questi tempi, la retorica di quelli che salgono sul carro del vincitore, le frasi fatte, i luoghi comuni, il conformismo dei conformisti e degli anticonformisti. Non vi saranno i detti memorabili dei nuovi guru, le ipocrisie generalizzate, i sentimenti umani scaduti sulle poltrone dei talk show.Se dovessi caderci, vi prego di lapidarmi, almeno idealmente. Trovo ancora spazio per la bellezza, sia essa dissonante, sia essa Antani, sia essa, per certi versi, obsoleta.Vorrei che qui ci entrasse, che trovasse questa rubrica aperta e non catalogabile.

Nel libro di sabbia, un racconto di Jorge Louis Borges, un libro, appunto, si presenta misterioso, scompaginato, senza ordine e privo di un tema dominante. E proprio come la sabbia, non si sa dove cominci o finisca. Inchinandomi con umiltà a un modello inarrivabile,Come se fosse Antani accoglierà, in una sorta di scompiglio, ciò che verrà reputato perturbante, irriverente, ciò che avrà fomentato l’ascia per rompere il ghiaccio del mare che è dentro di noi.Ma non dovevo abiurare la cultura e quasi ammazzare il Chiaro di luna? Può darsi, ma per averlo troppo amato, per non riconoscerlo più nel rumore che ci circonda, nell’omologazione che ci divora.

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