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Lidliota. E non è un romanzo

martedì 24 Novembre 2020

Ora mi chiedo come ci siamo ridotti se davvero su internet vanno a ruba le scarpe vendute alla Lidl a prezzi esorbitanti, perché pare che la loro promozione sia stata virale ed epocale. Loro dei geni, niente da dire! Per loro intendo chi ha avuto l’idea. Ma cosa è stata? Un’indagine per testare a che punto sia arrivata l’idiozia della gente e, contestualmente, per guadagnarci parecchio? Due piccioni con una fava, sembrerebbe il caso di dire. Quindi Lidl non è Lidliota: lo siamo noi consumatori.

Vi racconto una storiella…  C’era una volta una donna geniale e non perché avesse chissà quali titoli di studio o perché fosse una ricercatrice nel campo di chissà quali scienze. Lo era perché sapeva deformare la realtà, facendone caricatura, mettendo alla berlina le assurdità umane con il suo spirito di osservazione. Di questo dovremmo essere dotati tutti? La realtà ci dice tristemente il contrario.

Ecco, questa donna aveva anche un gusto innato e di moda ne capiva parecchio. Ma unendo quel gusto alla sua verve era facile che le sue battute e i suoi motti di spirito dialettali tendessero a deformare e criticare forme, colori e modelli dei capi di abbigliamento e come questi risultassero addosso alle persone.

Per un noto marchio di scarpe vendute a caro prezzo che si presentano con un’enorme lettera dell’alfabeto, lei ad esempio diceva che erano le scarpe con “l’ortopedico” e, soprattutto le donne che le indossavano, risultavano ai suoi occhi poco femminili, come se quelle scarpe ne mozzassero la grazia e le facessero apparire come se avessero un problema fisico da contenere; non molto diversa era la sua opinione per le camicie “con il cane”, che, secondo lei, venivano indossate dai pirocchi arrinisciuti; per non parlare di un marchio di borse carissime, forse in pelle umana, di cui notava il modo di portarle da parte delle giovani donne palermitane: quasi attorno al polso tenuto rigorosamente in su come se reggessero una busta per la spesa. Non era meno impietosa verso l’abbigliamento alternativo, tipo l’etnico e diceva: «Etnico, basta che sia etnico. Ma di quale etnia?». E strizzava un occhio, beffardamente.

«Eh, bella mia… Le mode precedono i gusti», diceva e chiamava pecoroni coloro i quali seguivano la mania delle griffe, accusandoli di non avere personalità e di assieparsi alla massa per trovare sicurezza. Qualunque massa essa fosse…

Di fronte ai fatti odierni e alla genialata della promozione di scarpe dal gusto discutibile come quelle della Lidl, non avrei bisogno di evocare questa spiritosa signora che non è più tra noi per mezzo di una seduta spiritica. Immagino già il suo parere: «Ci vogliono gli anabbaglianti!», direbbe. E lascerebbe così intendere che sono brutte, sgargianti, che non emanano alcun valore spirituale, perché sì, l’abito riflette la nostra essenza e non è solo apparenza.

Tuttavia, in piena pandemia, la gente vuole continuare a comprare, ma soprattutto a risparmiare, probabilmente, perché, in fondo, vuole continuare a vivere. Vivere e uscire, come se non ci fosse un domani perché in questa oscurità sembra difficile intravederlo.

Penso a un discorso tenuto dallo scrittore David Foster Wallace al Kenyon College nel 2005: «Ci sono due pesci che nuotano e a un certo punto incontrano un pesce anziano che va nella direzione opposta, fa un cenno di saluto e dice: “Salve, ragazzi. Com’è l’acqua?” I due pesci giovani nuotano un altro po’, poi uno guarda l’altro e fa “Che cavolo è l’acqua?”». Ecco, credo che siamo giunti a un’epoca post di qualcosa, in cui abbiamo oltrepassato l’omologazione e che essa abbia più stratificazioni. Ci sguazziamo tutti più o meno allegramente e, certamente, non riguarda solo l’abbigliamento, ma la moda ne è certamente un riflesso. Siamo cheap, perché ci accapigliamo per entrare per primi nei negozi quando si promuove un’offerta; lo siamo perché i nostri figli fanno ore di fila per potere incontrare i loro idoli, che poi sono degli Youtuber; lo siamo non solo perché vogliamo risparmiare, ma soprattutto perché vogliamo consumare.

“Siamo tutti un po’ così così e nelle foto veniamo sempre così così”, cantava tanti anni fa Roberto Vecchioni. Anche se adesso, tra filtri e photoshop possiamo replicare varie nostre immagini, credendoci delle celebrità perché poi tanto ai ragazzini insegneremo  il dovere di sognare che consiste nel possesso di oggetti griffati per assomigliare alle celebrità, quelle vere. Davvero, come cantava il professor Vecchioni in quella stessa canzone… “Sogniamo sogni così così”.

E i signori Lidl? Sono venuti a sbatterci in faccia questa verità, scoperchiando il nostro piccolo vaso di Pandora. Dunque Lidliota non è un romanzo, ma una storia balzana sui mali del nostro tempo.

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