La materia degli Enti locali siciliani è delicata, soprattutto quando si è di fronte a difficoltà economiche che non sempre gli amministratori locali riescono a risolvere.
La crisi dei comuni siciliani è un fatto che non si può negare, determinata anche dai “mancati trasferimenti delle risorse regionali e statali– afferma Giovanni Burtone, deputato del Pd all’Ars -, e quelli dello Stato erano in passato molto generosi e grazie a questi i comuni compensavano le spese. Oggi i sindaci sono in difficoltà e spesso non sono nelle condizioni di garantire alcuni servizi pubblici fondamentali, perché le risorse sono davvero irrisorie. E sorgono problemi ancora più complessi legati alle difficoltà dei comuni che con il federalismo fiscale sono chiamati ad avere maggiori entrate ma che di fatto non si realizzano a beneficio delle casse delle amministrazioni locali”.
Il tema è stato affrontato ieri durante la seduta a Sala d’Ercole in cui si è discusso del disegno di legge che riguarda la riforma degli enti locali rinviato in commissione Affari istituzionali per ulteriori approfondimenti. Una proposta di legge che affronta alcuni temi importanti anche legati alle attività degli amministratori, ma che deve guardare anche alla soluzione di questioni che da troppo tempo sono rimaste al palo. Servono provvedimenti mirati che tengano conto delle varie specificità delle singole comunità cittadine, soprattutto quelle delle aree interne dell’Isola gravate da un processo di spopolamento dovuto all’alto tasso di disoccupazione e che colpisce i giovani. Poi c’è l’annoso problema della liquidità di cassa che mette in discussione la tenuta finanziaria di molti comuni siciliani che a causa del dissesto non sono più in grado di svolgere le proprie funzioni ed erogare servizi indispensabili, oltre ad avere difficoltà nell’assolvere ai debiti. Una condizione che impone dei limiti sulla contrazione di nuovi mutui, oltre alla possibilità di aumentare imposte e tasse locali per stabilizzare i conti pubblici.
Troppi sono i tributi non riscossi e una bassa percentuale delle entrate, derivante dalla tassazione locale (quali l’Imu, la tassa sui rifiuti, l’addizionale comunale Irpef, la tariffa occupazione suolo pubblico e, dove prevista, l’imposta di soggiorno), è uno dei maggiori problemi degli Enti locali. Il sindaco di Militello in Val di Catania puntualizza alcune questioni.
“Ma non perché ci siano evasori, bensì ci sono debitori soprattutto nelle aree interne dove un cittadino deve decidere se pagare la Tari o l’Imu – spiega il deputato dem -, l’impegno contributivo da parte delle comunità cittadine è doveroso, ma non sempre è immediato a causa delle precarietà. Poi, i mancati trasferimenti negli anni hanno sottratto risorse ai comuni per portare avanti i servizi pubblici essenziali”.
Burtone affronta anche il tema del Fondo crediti di dubbia esigibilità sul quale non è possibile impegnare e pagare. In contabilità finanziaria deve intendersi un fondo rischi diretto ad evitare l’utilizzo di entrate di dubbia e difficile esazione e che quindi “costringe i comuni a varare piani di riequilibrio, a questi molto spesso si aggiungono i continui dissesti che si inseguono di volta in volta: imboccata questa strada, diventa poi difficile uscire dal tunnel. I comuni -aggiunge il deputato dem –sono più volte chiamati a sostenere delle spese ingiuste. Penso alle norme di salvaguardia dell’Enel per la pubblica illuminazione: al comune l’energia elettrica costa molto di più ed è inaccettabile, perché molto spesso i debiti sono collegati anche a questi fattori”.
Il precariato storico all’interno della pubblica amministrazione è un altro nodo da sciogliere. Anche la burocrazia dei comuni ha bisogno di nuove risorse che devono essere impiegate per portare avanti l’attività amministrativa e che siano all’altezza delle sfide che si propinano per i prossimi anni. E l’inserimento lavorativo? Il comune non ha la possibilità di farsi carico di nuovi impiegati. “La burocrazia è interamente appoggiata sui precari che hanno fatto un percorso per arrivare alla stabilizzazione. Ma siamo davanti a persone che fanno 24 ore settimanali che sono insufficienti rispetto alla mole di lavoro all’interno delle amministrazioni. E’ necessario giungere a 36 ore settimanali, garantendo stipendi adeguati e pensioni dignitose. La Regione deve guardare anche a questo percorso con una spesa decrescente. Abbiamo bisogno di unità operative che possano lavorare a tempo pieno. La strategia va condivisa anche con Anci Sicilia”.
L’impennata inflazionistica, l’aumento dei costi dell’energia che i comuni spesso pagano il doppio del costo previsto dal mercato, non sono le uniche criticità, a queste si aggiunge l’autonomia differenziata.
“La Sicilia rischia di perdere dei fondi che fanno parte del fondo perequativo, la nostra è una realtà che presenta un minore gettito fiscale rispetto alle realtà del Centro Italia e del Nord. Serve il taglio delle tasse”.