La situazione dell’apparato sanitario nel sud Italia ha delle sfaccettature molto preoccupanti: la Campania, su tutte, ma anche Sicilia, Puglia e Calabria hanno un tasso di mortalità molto maggiore rispetto alle regioni centro-settentrionali della nostra Penisola.
Al Sud è molto più alta la mortalità prematura sotto i 70 anni di vita; la media italiana è di 82,3 anni mentre – per esempio – a Trento il tasso di sopravvivenza sale a 83,5 anni. La riduzione della mortalità negli ultimi 15 anni è stata del 27% al Nord, del 22% al Centro e del 20% al Sud e Isole.
Ridurre tutto e addossare tutte le colpe ai casi singoli e locali di malasanità e alle amministrazioni locali e nazionali è pretestuoso e sarebbe come sparare sulla croce rossa ma, certo, i fenomeni vanno di pari passo.
La prevenzione innanzi tutto. Se le politiche di precauzione non sono efficaci, e spesso lasciate a marcire nei cassetti o addirittura nelle battaglie di principio, di certo i servizi sanitari non splendono per avanguardia e modernità: i dati riportati quest’oggi dall’Osservatorio Nazionale sulla Salute nelle Regioni italiane sono impietosi per il meridione.
In Italia, al 2015, la speranza di vita alla nascita è più bassa di 0,2 anni negli uomini e di 0,4 anni nelle donne rispetto al 2014, attestandosi, rispettivamente, a 80,1 anni e a 84,6 anni. La diminuzione dell’aspettativa di vita degli italiani è registrata dal Rapporto Osservasalute 2016, presentato oggi. “La distanza della durata media della vita di donne e uomini si sta sempre più riducendo anche se, comunque, è ancora fortemente a favore delle donne”, (+4,5 anni nel 2015 contro +4,9 anni nel 2011).
Le disparità hanno origine dalle logiche di finanziamento dei sistemi sanitari regionali – si parla di soldi pubblici- che vedono il sud in netto svantaggio: molti Governatori delle regioni meridionali non hanno certo dato una mano a loro stessi o, meglio, ai loro elettori.
Il caos che sta attraversando la sanità siciliana, per esempio, tra mancati adempimenti da parte sia di medici che di pazienti, certamente non fa altro che ribadire i dati di Osservasalute.
Le professioni mediche sono viste quasi come un virus da tenere a bada: a Palermo, al Civico, sono stati convocati cento persone per posti a tempo indeterminato da infermiere, se ne sono presentate la metà. Anche a Trapani ed Agrigento i direttori delle rispettive Asp hanno mandato un allarme per mancato personale. La paura di ritorsioni da parte dei pazienti (o delle famiglie) e la mancanza di politiche adeguate hanno, probabilmente, generato questo rigetto nei confronti delle professioni sanitarie che rendono il Sud meno “competente” rispetto al resto dell’Italia.
Spesso si mescolano scarse competenze e mancanza di reali esigenze che riempono gli ospedali mediterranei, togliendo i fantomatici ‘posti letto’ a gente che in realtà ne avrebbe davvero bisogno.
Dall’emergenza si passa così al paradosso, dal paradosso all’inefficienza. Più di un cane che si morde la coda, una “matassa” alla quale è difficile trovare il bandolo.
Bisogna davvero avere ancora paura di un raffreddore? L’omogeneità di diritti e sicurezza in tutta la nazione (o in tutto il mondo?) dovrebbe essere il punto cardine dell’apparato sanitario; purtroppo così non è.