La virtù scudocrociata più apprezzata nel tempo è un combinato disposto tra la capacità di sapere incassare e quella di esseri bravi ad aspettare.
Da ieri Totò Cuffaro è ufficialmente il segretario nazionale della nuova Dc. È opinione comune che i democristiani ci sono sempre stati e ci saranno sempre. In natura se ne trovano di tutte le taglie, quelli versione “troncare e sopire”, oppure i corazzieri alla Crosetto, ambasciatori della prudenza, mangialasagne, i post fascisti isterici, ma anche quelli freddi come il ghiaccio.
Poi c’è lui: Totò. Il sopravvissuto alla specie estinta che ha tenuto in vita quella in via d’estinzione, rigenerato dopo essere passato dall’inferno del carcere sino alla riabilitazione successiva alla condanna che ha scontato. Già vicesegretario nazionale dell’Udc, era il numero due di Marco Follini circa venti anni fa. L’ex presidente della Regione ha fermato il tempo, intercettando la tendenza di un voto popolare, centrista e moderato, che non a caso, Fi oggi è riuscito a radicare più o meno solo in Sicilia e nel centrosud.
Oggi Cuffaro punta a essere il contrappeso della Lega che vuole erodere la base democristiana, del berlusconismo che cerca un erede e in Sicilia ha trovato in Renato Schifani un leader-presidente.
Non parla più di posti e clientele, depreca l’uso sfrenato del cuffarismo come metodo di clientele e quando il suo interlocutore di giornata trasfigurato in volto accusa la botta, l’ex presidente della Regione si mette la faccia seria “adesso si cambia registro”.
Quando Cuffaro sorride rassegnato, dissimulando: “la gente mi identifica ancora come un riferimento”, al punto da ispirare a Schifani il proverbiale “se Cuffaro non ci fosse, bisognerebbe inventarlo”, sta già pensando a cosa fare, come minimo, nei prossimi due anni. A pianificare non i rimpasti che ci saranno da qui ai prossimi mesi alla Regione, ma gli equilibri che ne nasceranno, non le candidature per le Europee, ma gli assetti dei territori che potrebbero dare più spazio alla Dc o ancora a chi lanciare in lista, secondo il suo concreto modello “tutti devono sentire di potercela fare e nessuno deve pensare di partire battuto”, felicemente collaudato alle Regionali. Sono i suoi esercizi spirituali della politica, impregnati dell’incenso della passione, di chi ama il cammino più della meta.
Un po’ visionario, un poco iperattivo della politica, Cuffaro però fa storcere il naso quando pretende l’esclusiva del “brand Dc”.
Grandi sogni e piccole miserie da sempre sono riposte nella bacheca da museo delle armi democristiane. Ogni tanto qualcuno le rispolvera.
I Rotondi Desideri, in questo caso non c’è abuso di maiuscola, da parte di chi accende la lite per il simbolo, confermano la potenzialità della voglia di centro anche oltre lo Stretto. Peccato però, va aggiunto, che prima delle ultime Amministrative dell’anno scorso e in concomitanza delle Regionali di settembre, un ex assessore regionale Toto Cordaro era rimasto spiazzato dal fatto che l’Udc di Cesa non facesse la lista, e scegliesse di non ricandidarsi, e che un esponente della giunta di Nello Musumeci, Mimmo Turano, si sia dovuto accasare con la Lega a trazione popolare. Senza Cuffaro insomma, sotto il vestito niente.
Insomma, l’orgogliosa rivendicazione territoriale del centro che cresce a due velocità, una doppia dell’altra in Sicilia e nel centrosud, al netto delle aspettative che riproduce, mette in chiaro a tutti una cosa, la Balena bianca ha un forte accento siciliano e da queste parti, in fondo, non si è mai estinta.