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Cultura: Sambuca di Sicilia diventa set internazionale | FOTOGALLERY

venerdì 13 Settembre 2019
Sambuca di Sicilia

Sambuca di Sicilia, la nuova Hollywood? Questo è l’augurio che facciamo al Borgo dei Borghi 2016, visto che in questi giorni si è trasformato in un set a cielo aperto grazie alla troupe di Discovery che vuole realizzare il format “Fenomeno Sambuca“, che sarà trasmesso in tutto il mondo.

Protagoniste le attrici americane Lorraine Bracco, nota per il ruolo di Karen Hill in “Quei bravi ragazzi” di Martin Scorsese, della dottoressa Jennifer Melfi ne “I Soprano“, di Angela Rizzoli in “Rizzoli & Isles” e Angie Harmon, nota per la serie “Rizzoli & Isles“, in cui interpreta Jane Rizzoli, una delle protagoniste, e “Women’s Murder Club“, che, tra i suggestivi vicoli di Sambuca, ne scopriranno la storia e le leggende. Ma è arrivata l’ora di penetrare tra le pieghe di questo luogo d’incantamento di cui abbiamo raccontato e continueremo a raccontare.

Sambuca di Sicilia

Sambuca di Sicilia
Sambuca di Sicilia è uno scrigno ricco di tante curiosità a partire dall’etimologia del suo nome: l’ipotesi che agli storici appare più calzante è ricavata da un documento del 1185 con cui Guglielmo II, detto il Buono, donava alla Chiesa di Monreale la “Chabuta seu Zabut“. In Chabuta gli studiosi hanno letto una chiara esplicitazione di Zabut che, a sua volta, risalirebbe all’omonimo emiro considerato il fondatore della città. A metà dell’800, invece, nel salotto colto sambucese se ne fa strada una seconda che la farebbe derivare sempre da Zabut, ma con un’accezione diversa, quella di strumento musicale a corde di forma triangolare e un’altra da Sambukie, macchina da guerra. Vincenzo Navarro, l’animatore culturale più qualificato di questo cenacolo, essendo medico, letterato e poeta, commise, però, l’errore di rinominare la cittadina , nota fino allora come “La Sambuca“, in “Sambuca Zamut“, unendo così i due suoi sinonimi. Solo nel 1928 Mussolini decise di cancellare l’esotico Zabut e mantenere l’italiano “Sambuca” a cui aggiunse, per darle una connotazione spiccatamente regionale, “di Sicilia“. Lo scrittore Leonardo Sciascia, a sua volta, lo scompose in “as-Sabuqah“, traducendolo con “luogo remoto”.

Sambuca fu abitata dagli arabi fino al 1225, quando Federico II fece costruire il Castello di Giuliana, a uso di quartier generale, per risolvere la difficile “questione saracena che tanto preoccupava il Papa“. Ancora oggi questo suggestivo borgo conserva le tracce di questa matrice islamica grazie alla “fortezza di Mazzallakkar“, sulle sponde del lago Arancio, che viene sommersa ogni qualvolta si innalza il livello dell’acqua, e al “quartiere arabo“, costituito da “sette vicoli” trasformati in un Museo di storia arabo-siculo, in cui ci si imbatte nella famosa “Via Fantasma“ che fu battezzata, così, nel 1882 a causa di strane apparizioni legate a una leggenda che affonda le sue radici nella “Storia” e in quella “Guerra Santa” che Federico II combattè contro i saraceni. Si narra che i cristiani, divorati e tormentati dai sensi di colpa per l’efferato eccidio, iniziarono a vedere nelle notti di luna piena l’ombra di un saraceno gigante che ululava disperato.

Nel 1500, proprio per esorcizzare questo luogo, su consiglio del Gesuita Gaspare Paraninfo da Naro, venne fatta costruire una chiesa dedicata alla Madonna del Rosario e sulla parete della roccia, accanto alla scaletta in cui appariva il fantasma, fu dipinta un’altra Madonna che doveva allontanare le anime non pacificate. Questo “murales” ante litteram, passato alla storia col nome di “Madonna della Scala“, oggi non esiste più; ha resistito al logorio del tempo, invece, “la scala delle apparizioni” che continua ad attirare turisti che non osano, però, calpestarne i gradini.

Una ipotesi, di sicuro molto fantasiosa, che non poggia né su basi storiche, né su basi leggendarie, ma soltanto sulla fervida immaginazione di una cinefila, legherebbe i racconti cruenti di Sambuca o semplicemente il suono del suo nome ad “Arsenico e vecchi merletti” , una delle migliori commedie noir del cinema americano, in cui viene scelto il sambuco, anzi per essere più precisi, un vino avvelenato al sambuco come causa di morti sospette. Questa bizzarra, ma suggestiva tesi, sarebbe avvalorata dalle origini del regista che l’ha diretto, Frank Capra, vero nome Francesco Rosario Capra, nativo di Bisacquino, paese del palermitano confinante proprio con Sambuca di Sicilia.

Andate a Sambuca di Sicilia, scopritene le tradizioni millenarie, le bellezze, la creatività e l’operosità che la contraddistinguono, e chissà che non incontriate il “Sarracino” che, come cantava Renato Carosone: “tutte ‘e femmene fa ‘nnammurà”.

[Le bellissime foto sono di Martina Cacioppo, che ringraziamo per averci permesso di pubblicarle]

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