Carissimi, ci sono voluti un paio di giorni per smaltire gli effetti della ricorrenza di Santa Lucia e ultimata la digestione giunge il momento delle domande.
In una giornata nella quale tutte le centraline cittadine per il controllo ambientale sono andate in crisi per l’elevata presenza degli effluvi di frittura nell’aria, mi chiedo come ogni anno: “Da dove viene tanta devozione?”
Non è la prima volta che affronto il tema del palermitano e le ricorrenze religiose legate al cibo e non è la prima volta che mi meraviglio nel registrare il rigore nel rispetto di questi annuali appuntamenti.
Lasciategli, pure una città piena di problemi, d’inefficienze e di ritardi, ma il giorno in calendario fissato in arancione, l’uomo della città “tutto porto” non transige, non perdona, non accetta scuse, vuole rispettare la tradizione, benché non si comprenda a oggi quale sia la penitenza stabilita per chi non ottempera giacché di tali osservanze non vi è traccia in alcun documento religioso.
Dell’arancina si è discusso tanto negli ultimi tempi e con una certa letteratura e una razionale campagna promozionale si è fatto si che anche coloro che in altre latitudini non conoscessero questo “prodotto tondo” interpretato nella sua versione locale abbiano potuto apprezzare in città e paesi nordici la bontà della “palla di riso”.
Non è raro ad esempio a Londra cercare a Notting Hill la libreria dell’incontro nell’omonimo film di Julia Roberts e Hugh Grant e imbattersi a pochi metri in una vetrina con esposta una FIAT 500 e le arancine frutto di un’iniziativa di un novello Francesco Procopio dei Coltelli in una capitale del nord.
I social hanno fatto il resto e le foto di piedi estivi in spiaggia o di animali hanno lasciato spazio a vere “nguantiere di arancine tonde e oblunghe” molto dorate all’esterno, segno di un’abbondante confidenza con l’olio che se sviluppata in ambito familiare può rimanere nell’ambito del digeribile, fermo restando la “festa delle transaminasi”, ma se rapportata a una preparazione su numeri significati e commerciali …….
La devozione dicevamo è forte a tal punto che “l’adorazione” (magari ci si limitasse ad adorarle) ha superato di molto tutti gli altri riti culinari legati a ricorrenze religiose, finanche i mitici “babaluci” del festino e quel che peggio, una volta trascorsa quella che impropriamente chiamiamo “la festività” rimane la scia della riproposizione e dello smaltimento poiché il palermitano nell’esagerazione è sempre splendido e sovrastimati i suoi bisogni a tavola, al termine della grande abbuffta, finisce sempre col dire: “arristaru tutti chisti! Cu si l’avi a manciari? Domani, domani …..”
Insieme a un saluto ancora pregno di frittura, un abbraccio, Epruno.