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Il peso delle parole

sabato 29 Febbraio 2020

botindari epruno

Carissimi,

bombardati da chiacchiere, infastiditi da venditori di “connessione” o di “visioni”, annoiati da show che hanno come base il “discutere di tutto”, il “discutere su tutto” anche senza specifica competenze, ci siamo fatti una convinzione: l’italiano è una lingua bella e importante”.

Perché dobbiamo vilipenderla, ogni parola ha il suo peso, un suo significato a differenza di altre lingue e ha la sua importanza.

Se mi sentissi chiedere dagli amici: “questa sera possiamo venire a casa tua? Sappiamo che tua moglie fa la PULLA!”

A meno che non fossi un uomo dalla grande apertura sessuale e mentale, alle mie latitudini si potrebbe anche sparare nell’udire affermazioni del genere, ma quantomeno giungerebbero “vastunati” (bastonate) che farebbero invidia anche a Crongoli, ma se abitassi ad Helsinki sarei contento di dire agli amici, “venite, perché no”, perché in finlandese “PULLA” significa “torta” (dolce).

Vedete come è importante la parola, il suo contesto e l’occasione?

Purtroppo la gente parla a sproposito, a maggior ragione se ricopre ruoli pubblici e ogni propria dichiarazione è sottoposta all’attenzione della stampa e senza un preventivo filtro di collaboratori esperti in comunicazione.

Ma a proposito di stampa e di comunicazione, penso di non esser stato il solo a notare che dalla nascita delle televisioni commerciali l’uso della nostra lingua è stato spesso soppiantato e accettato ormai dall’uso gergale e dialettale.

In due posti frequentemente si parla in romanesco e poi in italiano, alla RAI e all’Alitalia. Direte “non è reato!” E io vi rispondo “è una battuta”, assolutamente no, è una considerazione, io sono legato alla funzione di TV quale pubblico servizio e della necessità in una televisione di stato di avere un ruolo divulgativo parlando con un corretto linguaggio ed una perfetta pronuncia così come avviene alla BBC inglese.

Ad esempio, quel povero congiuntivo, ne vogliamo parlare?

Probabilmente inserito al termine dei programmi scolastici, probabilmente spesso saltato, trascurato, tanto da diffondere quella che ormai un po’ tutti chiamiamo “congiuntivite”, i colpi di “se sarei al posto di se fossi” messe in bocca a ministri, presidenti, assessori ammutoliscono le sale e le riunioni più prestigiose e risultano più diseducativi dell’uso delle dita nel naso per scaccolarsi.

La consecutio temporum. A che ti vai ad “apprecare”?

Quei discorsi pieni di incidentali che comprendi solo se sei disattento e ascolti una frase su due, poiché se rimani attento rischio di arrivare ad un vicolo cieco e chiederti: “adesso dove si va?”

Voi mi direte che nel tempo dei social basta che comunichiamo, basta che ci facciamo comprendere, “Xche” la comunicazione e la frequenza del prossimo passa attraverso strumenti virtuali, attraverso immagini.

È vero ma anche se rassegnatamente sgrammaticati, anche se virtualmente contratti e prostrati all’altare del “T9”, ma quale è il motivo per il cui tra tutte le libertà che ci sono state date, quando ci si trova davanti ad una telecamera o un microfono ci si deve sentire necessariamente obbligati a “sparare minchiate” quando non si è esperti di un argomento? Quanto sarebbe saggio tacere ed ascoltare?

 

Un abbraccio, Epruno

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