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Inverno demografico

Denatalità: i bonus bebè (per i quasi poveri) sono inutili. Serve un Paese per giovani

domenica 3 Settembre 2023

L’aspetto più inquietante è che l’allarme sulla denatalità è diventato priorità non appena si è scoperto che con questi chiari di luna, le pensioni non potranno essere più pagate. Il ministro dell’Economia Giorgetti è stato chiaro al meeting di Rimini “Nessuna riforma delle pensioni può tenere con i numeri della denatalità che abbiamo oggi”. Avremmo invece dovuto dire che una società che rinuncia a mettere al mondo bambini non crede più nel futuro,  non ha sogni, non ha speranze. Secondo gli studiosi se continua così l’ultimo italiano nascerà nel 2225. Il governo Meloni sta lavorando ad una serie di misure gran parte delle quali, come il bonus per il secondo figlio, mantengono lo stesso approccio del passato. Se hai un approccio economico al problema “meno figli=meno pensioni”, cerchi soluzioni economiche. Invece serve una rivoluzione culturale, guardando anche altri Paesi come la Svezia, la Germania, la Francia, i piccoli passi della Spagna.

Non basta dare 300 o 500 euro  annui (anzi, in gran parte per un solo anno) in base all’Isee per convincere una donna a mettere al mondo una nuova vita in una società che volta le spalle ai giovani. Se tra 9 mesi partorissero tutte le donne in età fertile dovremmo comunque aspettare 20 anni per recuperare il divario. La frittata l’abbiamo fatta e  messa a tavola dalla fine degli anni ’70 in poi (dopo i Boomers per intenderci). Il 1977 è stato l’ultimo anno in cui la generazione dei figli ha sostituito numericamente quella dei genitori (con due figli a coppia). Si chiama effetto trappola: i pochi figli dell’altro ieri hanno portato ai pochi genitori di ieri e si prosegue così. I potenziali genitori di oggi sono i pochissimi nati alla fine degli anni ’90.

Nel 2022 siamo scesi a 393 mila nati e nei primi 5 mesi del 2023 sono diminuiti ancora (148.249 nascite contro le 150. 315 dei primi 5 mesi del 2022). Il tasso di fecondità è di 1,2 figli per donna e l’età media del primo parto è salita a 32 anni e mezzo.

In Sicilia le donne hanno una fecondità di 1,3 figli e l’età media per il parto scende a 31 anni e mezzo. Nell’isola solo il 13,3% ha meno di 14 anni mentre gli over 65 sfiorano il 23%. A Enna però gli under 14 sono addirittura di meno (11,8%) e gli over 65 di più (24,8%). Percentuali analoghe anche a Messina e Trapani. A questi numeri occorre aggiungere quelli dei giovani che lasciano la Sicilia per andare a lavorare in altre regioni ed a metter su famiglia altrove.

Basterebbe dare un’occhiata a quel che fanno altri Paesi per comprendere come non si risolve l’inverno demografico con il bonus di un anno quando le risorse erogate a famiglie o minori in Italia sono la metà di quelle erogate da Svezia, Francia e Germania e la spesa per l’istruzione è ferma al 4% del Pil  contro il 5,2% della Francia. In molti Paesi europei le politiche a sostegno alla maternità ed al lavoro dei giovani  sono state avviate 20 anni fa.

In Italia, finito il “bonus pannolino”, quanto costa mandare all’asilo (privato) il pargolo, pagare baby sitter, mandarlo a scuola (caro libri e trasporti), ad orari e ritmi di lavoro-vita che non si conciliano con una famiglia? E già difficile per i giovani entrare nel mondo occupazionale in modo stabile (senza forme di sfruttamento più o meno velate e più o meno legali)  figuriamoci per una donna.

Le migliaia di coppie che hanno lasciato la Sicilia per andare al Nord non hanno neanche un “cuscinetto” familiare che li possa supportare nell’accudimento dei figli. A 28 anni l’ultimo dei tuoi pensieri è fare un bebè non perché non hai sogni, ma perché stai vedendo i tuoi progetti di vita calpestati o minacciati da un Paese non accogliente.

A 28 anni, a 30, a 32, 35, 38 stai ancora pensando a difenderti da un sistema che punta all’autoconservazione ed il cui unico pensiero è: chi pagherà la mia pensione domani? La domanda che la classe dirigente deve porsi invece è: come posso creare opportunità di lavoro e di vita a milioni di giovani che pagano oggi 30 mq d’affitto a 800 euro, che non possono accendere un mutuo se non rapinano una banca o vendono un rene, che se vogliono fare la libera professione sanno che tre quarti di reddito vanno allo Stato? Prima di chiedere ad una donna di 32 anni di fare uno o due figli provate a chiederle se è riuscita a guadagnare uno stipendio equo, accendere un mutuo per la casa, non dover decidere se mangiare o pagare l’affitto. Siamo diventati un Paese di vecchi, per vecchi che s’interroga solo come fare a mantenere i prossimi vecchi. Invece di dare la mano per stringerla ai figli e aiutarli a costruire il loro futuro questi padri li stanno prendendo a schiaffoni.

Partiamo da un fatto noto da millenni ma ignorato dalle politiche di sostegno: i bambini crescono. Ebbene sì, dopo il bonus biberon devi mandarli all’asilo, a scuola, ed a scuola devi portarli almeno fin quando non lo fanno da soli, devi vestirli, nutrirli, accudirli, aiutarli ad inserirsi nel mondo del lavoro e degli studi universitari.

Se l’idea geniale è un bonus con limiti di reddito in base ai quali se non sei ABBASTANZA POVERO ma te la cavi appena ad arrivare a fine mese il sussidio te lo scordi, è inevitabile che il tasso di natalità scenda di anno in anno. Il bonus bebè per l’abbastanza povero dura un anno. E alla seconda candelina? Andiamo avanti. Quanti sono gli asili nido comunali in Sicilia? Quanti posti hanno? Quali orari? Quante famiglie non “abbastanza povere” possono accedervi? Quanti asili nido aziendali ci sono in Sicilia? Quanto viene penalizzata la donna lavoratrice che decide di fare uno o più figli senza welfare, famiglia intorno, servizi? In alcuni Paesi europei l’istruzione di base viene sostenuta anche sotto il profilo della fornitura di libri e servizi gratuiti. In Italia c’è non solo il caro libri ma, con il trucco delle edizioni aggiornate, per anni si è impedito alle famiglie il risparmio dei libri di seconda mano. Un bambino si ammala. Se non c’è un ottimo welfare, anche a supporto di due genitori che lavorano ma non hanno “rete” familiare intorno, non c’è bonus tachipirina che tenga.

Prendiamo il modello svedese. La spesa annuale per famiglie/minori è il 3% del Pil (1.400 euro a persona). In Italia poco più della metà.

In Svezia le misure di sostegno sono UNIVERSALI, non collegate cioè al reddito ma all’età anagrafica (fino a 16 anni). I sussidi economici sono corposi e durano molti anni e si integrano con servizi e agevolazioni (Tpl, asili nidi con un tetto imposto alle rette e la cui soglia minima è zero). Aggiungiamo totale assenza di tassazione. I congedi parentali sono di 480 giorni complessivi per i due genitori (di cui 390 all’80% dello stipendio).

In Italia il sistema è frammentato e il bonus bebè vale un solo anno ed è basato sull’Isee (con i due tetti di 7 mila o 25 mila euro annui di reddito). Il bonus asilo nido prevede un rimborso spese che però tra limiti di reddito e rette reali degli asili privati (vista la carenza in tutta Italia), è tale da far optare per i nonni o sistemi creativi di baby sitter. Il congedo parentale è di un massimo di 300 giorni al 30% di stipendio…..

Una coppia di precari, con reddito annuale appena appena di sopra dei 25 mila euro, che vive lontano dalla famiglia, in affitto in un bilocale a cifre da rapina (perché se sei precario il mutuo non te lo danno) non farà mai figli. E se ne ha già uno non ne avrà mai un secondo, a meno che non vince al Superenalotto. In Italia i figli sono un lusso, un privilegio.

La Germania dal 2010 sta adottando misure simili ai Paesi scandinavi, la Francia da tempo investe di più e la Spagna ci sta provando. Polonia e Ungheria stanno lavorando ad una serie di interventi su servizi e istruzione.

Ma se non vogliamo andare lontano la Provincia autonoma di Bolzano ha attuato negli ultimi anni percorsi di affiancamento alle neo mamme, offerte più economiche di cura dei neonati (le tagesmutter o i micro nidi, tra gli altri) portando la popolazione a crescere nel 2021 nel 77,6% dei comuni. Non basta, perché sempre Bolzano registra contemporaneamente alti tassi di occupazione femminile, bassa disoccupazione e migliori (in senso economico) opportunità di lavoro per i suoi giovani diplomati e laureati. Se fai star bene una generazione quella inizierà finalmente a vederlo il futuro, a toccarlo con mano ed a costruirlo. Il tasso di occupazione femminile a Bolzano ci dice che se  crei una rete a sostegno, valida per tutti e non per gli abbastanza poveri, se non costringi le donne a scegliere tra famiglia e lavoro,  i figli si fanno.

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