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Depistaggio Borsellino, la Boccassini: “Errori già nel sopralluogo a Capaci”

giovedì 20 Febbraio 2020
Strage via D'Amelio
FOTO: AFP- AGI

“Quando arrivai come pm applicato alla Procura di Caltanissetta, la prima decisione fu quella di rifare il sopralluogo a Capaci, perché leggendo le carte, e non solo la ricostruzione, mi resi conto che era stato fatto male. Mancava una regia. Inizia con queste parole la deposizione dell’ex Procuratore aggiunto di Milano Ilda Boccassini al processo sul depistaggio sulle indagini di via D’Amelio, in corso a Caltanissetta.

Ilda Boccassini
Ilda Boccassini

Alla sbarra tre poliziotti, Mario Bo, Michele Ribaudo e Fabrizio Mattei, accusati di calunnia aggravata in concorso. Boccassini non è presente in aula ma in videocollegamento da Milano, per problemi di salute. Il magistrato, andata da poco in pensione, è inquadrata di spalle. Rispondendo alle domande del Procuratore aggiunto di Caltanissetta Gabriele Paci, sta ripercorrendo il periodo in cui era stata applicata alla Procura nissena dopo le stragi. “Arrivai nell’ottobre del ’92 – dice – e rimasi fino al 1994”. Così ricorda che fu rifatto il sopralluogo a Capaci “coinvolgemmo tutte le forze dell’ordine, dai Carabinieri alla Guardia di Finanza, alla Polizia fino all’FBI e tutte le forze possibili. Il primo periodo fu dedicato esclusivamente a questo ci fu una divisione di compiti delle forze di polizia che dovevano partecipare all’indagine sulle stragi ma con competenza specifica”.

“NON SAPEVO DEI SERVIZI SEGRETI”

Bruno Contrada e Giovanni Tinebra
Contrada e Tinebra

“Appresi della notizia di una collaborazione tra i servizi segreti e la Procura di Caltanissetta solo dai giornali. Io vidi Bruno Contrada per la prima volta durante un interrogatorio Forte Braschi”.

Il riferimento è all’irrituale collaborazione chiesta da Tinebra al Sisde (e quindi Contrada) per le indagini all’indomani della strage del 19 luglio in cui morì il giudice Paolo Borsellino.

“Da quando sono stata a Caltanissetta non ho saputo di un rapporto con i servizi – aggiunge Boccassini – che poi, non in mia presenza, colleghi si incontrassero con esponenti dei servizi segreti non lo so. Ma devo aggiungere una cosa: davanti alle due stragi che hanno sconvolto il mondo e hanno destabilizzato le istituzioni che il procuratore abbia avuto contatti con i servizi non mi sembra una cosa terribile ma fa parte delle cose di un normale nucleo di rapporti che sono nati e cresciuti e mantenuti nel limite della legge. Ma questo non lo so”.

“TINEBRA NON LO CONOSCEVO”

“Ricordo con affetto, quando arrivai alla Procura di Caltanissetta, una frase dell’allora Procuratore capo Giovanni Tinebra, che io non conoscevo, e mi disse: ‘Cocca mia, qua ci sono le carte. Arrangiati, vedi cosa devi fare’. Questo fu il primo impatto. Nel primo periodo studiavo solo le carte – dice – Una massa di carte. Con il collega Fausto Cardella anche lui applicato, che si occupava con altri colleghi della strage di via D’Amelio ci fu un confronto, anche perché nacque quasi subito un rapporto di amicizia. Gli altri collegi che si occupavano delle stragi che erano volontari, si occuparono in quel momento della indagine ‘Leopardo’ a seguito delle dichiarazioni di Leonardo Messina. Non conoscevo Tinebra e mi stupii molto quando mi arrivò la richiesta per essere applicata a Caltanissetta”.

“DUBBI SU SCARANTINO FIN DALL’INIZIO”

Arnaldo La Barbera [ANSA]
Arnaldo La Barbera [ANSA]
“Anche parlando con i colleghi che già c’erano e con il capo dell’ufficio e lo stesso dottor Arnaldo La Barbera, i dubbi su Scarantino già c’erano. I dubbi su una persona che non era di spessore, anzi che non era per niente di spessore. Il suo quid, se così possiamo chiamarlo, era una parentela importante in Cosa nostra, però sin dall’inizio, io avevo delle perplessità. Forse all’inizio avevo meno perplessità – riporta l’AdnKronos – perché non ero ancora entrata nelle carte, nella mentalità. Io ero lì in attesa, ma anche degli altri nessuno gridava ‘ma che bella questa cosa’. Tutti erano con i piedi di piombo su questa cosa. era l’inizio ancora e bisognava andare avanti per vedere se l’indagine portava a qualcosa di più sostanzioso”.

Gaetano Scotto, arrestato due giorni fa, è una delle persone accusate falsamente della strage di via D’Amelio dall’ex pentito Vincenzo Scarantino e adesso parte civile nel processo sul depistaggio che si tiene a Caltanissetta.

“GENCHI PERICOLOSO, VEDEVA COMPLOTTI OVUNQUE”

Gioacchino Genchi, l’ex poliziotto ed ex consulente informatico della Procura di Caltanissetta dopo le stragi mafiose, poi sospeso dalla Polizia era “una persona pericolosa per le istituzioni, aveva conservato un archivio con i tabulati che aveva raccolto. E poi vedeva complotti e depistaggi ovunque. È l’attacco di Ilda Boccassini all’ex poliziotto, che oggi fa l’avvocato, nel corso della sua deposizione al processo sul depistaggio sulle indagini sulla strage di via D’Amelio davanti al Tribunale di Caltanissetta. Genchi, dopo le stragi, era stato chiamato per dare una mano al Procuratore Giovanni Tinebra ma dopo l’arrivo di Ilda Boccassini a Caltanissetta, nacquero i primi conflitti.

Gioacchino Genchi“Non mi piacque questo suo atteggiamento – dice oggi Boccassini chiese di indagare anche su Giovanni Falcone, dopo la strage di Capaci, chiese di esaminare persino le sue carte di credito. Non mi piacque e lo dissi a Tinebra, gli spiegai: ‘Le analisi dei tabulati le può fare chiunque’. Insomma, non mi piaceva il suo modo di lavorare, così fu allontanato. Tinebra non voleva perdere la mia capacità lavorativa, quindi da quel momento Genchi non si è più occupato di stragi”.

Poi lo ha ancora attaccato definendo “miserie umane” alcune dichiarazioni “fatte da Genchi sui giornali”. “Era una persona di cui non avevo fiducia e non credo di essermi sbagliata. Nei primi tempi eravamo convinti che Genchi lavorasse bene, ma poi abbiamo capito che il suo apporto era stato nullo all’indagine. Se non sui computer analizzati non ha fatto nulla – dice – non era un investigatore ma era un tecnico, non poteva portare nessun apporto a un indagine cosi seria. Era una persona talmente pericoloso perché aveva conservato un archivio pazzesco, avevo chiesto persino ai miei colleghi di Milano di non utilizzarlo mai, perché vedeva complotti e depistaggi da tutte le parti.

LA REPLICA DI GENCHI

Sentito da ilSicilia.it, l’avvocato Genchi replica così alle accuse: «Ilda Boccassini a distanza di quasi un trentennio da quegli eventi non si rende ancora conto di essere stata – probabilmente senza volerlo, perché indotta da altri sentimenti – la prima vera responsabile dei depistaggi delle indagini sulle stragi che grazie a lei Arnaldo La Barbera ed altri, sopra e sotto di lui, hanno potuto compiere. La sua repentina fuga da Caltanissetta dopo avere contribuito ad accreditare il falso pentito Scarantino, il suo infausto passaggio da Palermo e il ritorno a Milano, da dove era andata via per le note vicende a tutti note, ne sono una conferma».

E ancora, Genchi prosegue: «Ilda Boccassini, all’epoca in cui era pm a Caltanissetta, dopo avermi richiesto ed autorizzato ad analizzare i computer e i dispositivi informatici di Giovanni Falcone, oltre che ad acquisire i tabulati delle sue utenze cellulari, non mi ha consentito di verificare dalle sue carte di credito l’effettiva trasferta in America alla fine di aprile del 1992, che Falcone aveva scrupolosamente annotato nel suo databank Casio, che delle manine di Stato (su cui la Boccassini non volle mai indagare) avevano provveduto a cancellare».

“PALMA E PETRALIA DAVANO CREDITO A SCARANTINO”

“Si doveva capire subito” che Vincenzo Scarantino, il falso pentito della strage di via D’Amelio “era inattendibile”. È quanto dice ancora ilda Boccassini, deponendo al processo di Caltanissetta.

Palma-Tinebra-Petralia
Palma-Tinebra-Petralia

Alla domanda su chi fossero i magistrati che “davano credito” all’ex picciotto della Guadagna di Palermo, le cui affermazioni portarono a numerose condanne definitive per le stragi, poi revisionate, Boccassini replica: “I pm Annamaria Palma e Carmelo Petralia, cioè i due magistrati che oggi sono indagati dalla Procura di Messina per calunnia aggravata in concorso con l’accusa di avere indotto Scarantino a fare delle dichiarazioni. Poi Il magistrato, che fu applicata a Caltanissetta dal 1992 al 1994, ricorda che nell’agosto 1994, poco prima che lasciasse Caltanissetta, aveva chiesto al Procuratore Giovanni Tinebra di potere partecipare agli interrogatori di Scarantino e rinviare le ferie, ma il Procuratore la mandò in vacanza. “Dopo il mio ritorno venni tenuta fiori dai giochi – dice – Non ero più la protagonista della dinamica investigativa”.

INDAGINI SUL CASTELLO UTVEGGIO

“Una delle ipotesi che facevano i colleghi era quella che il telecomando potesse essere partito dal Castello Utveggio. Rispetto a questa pista partirono quasi immediatamente delle indagini”, ha continuato la Boccassini. Ipotesi tra l’altro, suggerita dallo stesso Genchi, che oggi lei accusa in aula.

“Fu anche attivato un filone di indagine sulla presenza di Bruno Contrada in via D’Amelio, ma dai riscontri risultava che, al momento dell’esplosione che uccise Borsellino e gli agenti di scorta, fosse altrove, in barca con un gioielliere palermitano”.

“SCARANTINO DICEVA SCIOCCHEZZE”

 “Io e il collega Sajeva facemmo una relazione in cui scrivevamo che man mano che si facevano gli interrogatori c’era la prova regina, inconfutabile, che Scarantino stava dicendo sciocchezze e quindi si doveva correre subito ai ripari per evitare cose che nel tempo avrebbero pregiudicato le indagini”. 

scarantinoE ancora: “Per me c’erano delle perplessità. Tant’è che dissi di concentrare gli interrogatori ad agosto e che non sarei andata in ferie. La risposta di Tinebra fu: ‘ti sei sacrificata tanto, ora te ne vai in ferie’, tant’è che tornai a settembre. Il patatrac per me e Roberto Sajeva fu quello che leggemmo al nostro ritorno. Essere tenuta fuori dai giochi era la prassi. Vuoi per leggerezza, vuoi per sciatteria, non ero più la protagonista come lo ero stata nei mesi precedenti nella dinamica investigativa delle due stragi”.

“La relazione che io e il collega Roberto Sajeva facemmo sulla non credibilità di Vincenzo Scarantino era sparita da Caltanissetta ma io ne avevo diverse copie”, riporta l’Ansa.

Fino alla fine – ha aggiunto Boccassini, rispondendo al pm Gabriele Paci – dissi ai colleghi che bisognava cambiare metodo, che Scarantino andava preso con le molle, e vedendo anche che c’era voglia che io andassi via quanto prima di Caltanissetta, scrissi la seconda relazione. Che poi altri colleghi si siano lamentati e abbiano messo per iscritto quello che accadeva a Caltanissetta nell’ultimo periodo, io non lo so, non credo. Soltanto con il pentimento di Spatuzza, nel 2008, ricevetti una telefonata dall’allora procuratore di Caltanissetta che mi chiese se era vero che io avevo scritto delle relazioni con Roberto Sajeva: erano sparite. Io e Sajeva, dopo averne parlato con Giancarlo Caselli, mandammo le relazioni direttamente a Palermo. Sono qui per la quarta volta a ripetere sempre le stesse cose – ha concluso – sentendomi quasi in colpa per aver scritto quelle relazioni che avrebbero potuto dare una scossa a quei processi”.

“CACCIARE CHI HA DEPISTATO”

“Se i colloqui investigativi con Vincenzo Scarantino servivano per addestrare Scarantino, chi li ha fatti meriterebbe solo di essere cacciato da ogni funzione pubblica…”, prosegue la Boccassini.

“Se i colloqui con Vincenzo Scarantino sono serviti per creare il ‘depistaggio più importante della storia’, come lo definisce la sentenza Borsellino, facendo dire imbecillità a Scarantino, non so cosa pensare. Da cittadino prima ancora che da magistrato…”. Poi rivela: “Prima degli interrogatori il Procuratore Tinebra si chiudeva in una stanza, solo, con Vincenzo Scarantino. Non so il tempo preciso ma per un bel po’. Poi Tinebra apriva le porte e si entrava a fare l’interrogatorio”.

 

 

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