“Siccome faccio parte di questo Stato e voglio contribuire alla verità, intendo rispondere”. Ha scelto di rispondere in aula Annamaria Palma, ex pm del pool che indagò sulla strage di via D’Amelio, citata al processo in corso a Caltanissetta sul depistaggio delle indagini sull’attentato, che vede imputati di calunnia aggravata Fabrizio Mattei, Mario Bo e Michele Ribaudo, i funzionari di polizia che facevano parte del pool di investigatori che condusse l’inchiesta.
Palma, che ha chiesto di non essere ripresa dalle telecamere presenti in aula, si sarebbe potuta avvalere della facoltà di non rispondere in quanto indagata di calunnia aggravata insieme al collega Carmelo Petralia nel procedimento connesso a quello nisseno, aperto a Messina.
Secondo la ricostruzione della Procura, gli inquirenti dell’epoca – pm e investigatori -, avrebbero creato a tavolino pentiti imbeccandoli, costringendoli ad accusare otto innocenti e depistando così le indagini. Palma è attualmente avvocato generale a Palermo, mentre Petralia, pure citato per oggi, è in servizio a Catania.
Nei mesi scorsi i pm di Messina, che hanno la competenza sulle indagini a carico dei colleghi catanesi, ha scoperto una serie di bobine, mai analizzate prima, con le registrazioni delle intercettazioni di telefonate tra il falso pentito Vincenzo Scarantino, uno dei protagonisti chiave del depistaggio, alcuni investigatori dell’epoca e i due pm.
“Ho ricevuto dalla Procura di Messina un avviso di accertamenti tecnici irripetibili con delle indicazioni di alcune reati contestatimi che riguardano la necessità di riversare vecchi nastri su nuovi nastri. Ma su questa informazione la Procura di Messina non mi ha ancora ascoltata”, ha aggiunto. E ha annunciato che non si avvarrà della facoltà di non rispondere, possibilità prevista invece dal suo status di indagata di reato connesso. È iniziata così la deposizione di Palma che è difesa dagli avvocati Roberto Tricoli e Luigi Miceli.
A giugno la Procura della Città dello Stretto notificò ai due magistrati l’avviso di garanzia e l’iscrizione nel registro degli indagati contestualmente alla notizia che sulle bobine sarebbero stati effettuati accertamenti tecnici. Quelle conversazioni sono ora agli atti del processo in corso a Caltanissetta a carico dei poliziotti.
Palma dovrà deporre sia sul contenuto delle sue conversazioni con Scarantino, sia, più in generale, sulla gestione dei collaboratori di giustizia poi rivelatisi falsi che, secondo l’accusa, sarebbero stati istruiti e “telecomandati” dagli inquirenti.
In aula c’è pure Fiammetta Borsellino, figlia minore del magistrato ucciso il 19 luglio 1992.
LE DICHIARAZIONI DELLA PALMA
“Scarantino si voleva accreditare come collaboratore di giustizia, mostrava la volontà piena di collaborazione”. Ha detto Annamaria Palma, sentita come indagata di reato connessa in quanto indagata per calunnia dalla Procura di Messina. I
l Procuratore le ha chiesto di ricordare le prime fasi della collaborazione di Scarantino, a partire dal 24 giugno 1994. Palma fu applicata alla Procura di Caltanissetta nel luglio 1994 per occuparsi delle indagini. “In quella prima fase – dice Palma – a me Scarantino non diede affatto l’impressione sulla base di quello che dichiarava, di un collaboratore che non voleva collaborare. Cercava di rispondere al meglio alle domande, poneva anche delle precisazioni, faceva di tutto per accreditarsi come collaboratore insomma”.
LE LACRIME
“Io a questo Stato ho regalato il 50% della mia salute oltre all’affetto che mi ha fatto perdere di mio figlio per avere poi che cosa? Per essere indagata ingiustamente. Mi scuso, ma questo cosa non la tollero, soprattutto perché mi trovo nelle condizioni di dovere essere attaccata dai familiari del giudice Borsellino che io ho adorato, non la tollero perché profondamente ingiusta”. Scoppia in lacrime durante la deposizione la pm Annamaria Palma.
LO SCONTRO IN AULA
Palma ha negato che in procura ci fossero stati contrasti sulla gestione del falso pentito Vincenzo Scarantino e ha sostenuto di non aver mai saputo che la ex collega Ilda Bocassini avesse scritto una nota in cui esprimeva dubbi sul collaboratore di giustizia.
Nel corso della testimonianza il magistrato ha avuto uno scontro con uno dei legali di parte civile. I toni sono saliti e il presidente del tribunale, che per il depistaggio processa tre poliziotti, ha sospeso l’udienza.
A fare scoppiare la lite è una frase della Palma: “Io venivo attaccata in aula dai difensori degli imputati che oggi sono parte civile”, ha detto.
Sbotta allora l’avvocato Giuseppe Scozzola, che difende Gaetano Scotto e Vincenzo Orofino, che furono condannati ingiustamente per il processo Borsellino: “Se noi siamo parte civile è perché siamo stati calunniati”, ha detto. E Palma: “Lei sedeva a difendere gli imputati”. E Scozzola alzando ancora di più la voce: “Imputati che sono stati assolti e revisionati. La smetta. Non permetto che un indagato di reato connesso faccia queste affermazioni”.
“IO E DI MATTEO MESSI DA PARTE”
“Nel settembre del 1994 ci fu una riunione in Dda a Calanissetta in cui si decise di rivedere da zero la posizione di Vincenzo Scarantino. La decisione fu che prima di buttare a mare le dichiarazioni di Scarantino, dovevamo rivedere completamente tutto, rileggerlo da zero”. Così il magistrato Annamaria Palma proseguendo la deposizione al processo sul depistaggio Borsellino in corso a Caltanissetta.
“Nel 1994, per questa ragione il pm Di Matteo va da Scarantino. Sia io che il dottore Nino Di Matteo eravamo quasi messi da parte, sapevo che Ilda Bocassini non mi riteneva un referente valido”, dice.
Il pm che coordinò le indagini aggiunge poi di “non avere mai ricevuto la nota con cui Ilda Bocassini e Roberto Sajeva esprimevano “perplessità sulla posizione di Vincenzo Scarantino”.
“In quegli anni non abbiamo mai avuto la percezione della falsità di Vincenzo Scarantino“.
“Avevamo la certezza che la famiglia stesse tentando di minare la collaborazione o di inquinare le dichiarazioni e pensavamo che possibili ripensamenti fossero indotti dalla famiglia – dice l’avvocato generale di Palermo, indagata per calunnia aggravata – Come si sente dalle intercettazioni alla famiglia che lo invitava a ritrattare rispondeva ‘io sono sicuro di quel che so’. Allora quella verità avevamo. Magari domani ce ne sarà un’altra, ma allora avevamo quella. Io non avevo notizia di suoi tentennamenti allora”
“INDAGAI SU CONTRADA IN VIA D’AMELIO”
“Non ho mai sentito parlare di rapporti tra la Procura di Caltanissetta e il Sisde. Non ho mai incontrato nessuno del Sisde, nemmeno Contrada. Indagammo, però, in modo approfondito sull’ipotesi che Contrada fosse presente in via D’Amelio al momento della strage. Non ricordo su quale input ma approfondimmo l’ipotesi che il primo verbale redatto dopo l’attentato fosse poi stato strappato perché rivelava la presenza di Contrada in Via D’Amelio.
Indagammo su questo verificando innanzitutto i tabulati di Contrada e dalla cella telefonica risultò che si trovava in barca al momento dell’esplosione ma non ci fermammo a questo. Sapevamo che un funzionario di polizia aveva ricevuto una informazione confidenziale su Contrada ma lui negò. Successivamente ne chiedemmo il rinvio a giudizio e poi fu assolto”, ha proseguito Palma.
“TROVAI UN’AGENDA A CASA DI BORSELLINO”
“Dall’agenda di Borsellino – ha spiegato – avevamo saputo poi che era andato al ministero dell’Interno il 1 luglio. Trovai l’agenda andando a persuadere la moglie di Borsellino a deporre. Lei mi portò a vedere lo studio del marito e io le chiesi se potevo sfogliare il diario in cui lui annotava gli spostamenti. Era ferma al 17 luglio. Mi fu detto che erano le stesse cose che annotava nell’agenda rossa, però, sotto il profilo degli spostamenti”.
“Scoprimmo dall’agenda – ha concluso – che era andato al Viminale e che lo stesso giorno era andato a interrogare Mutolo. Sapevamo già dalle dichiarazioni di Mutolo che Borsellino durante l’interrogatorio si era allontanato. Non accertammo mai però che in quell’occasione aveva incontrato Contrada. La pista Contrada fu ampiamente approfondita, ci rimase però sempre il sospetto dell’incontro con Borsellino nei corridoi del Viminale”.
“Io, Petralia e Di Matteo – ha aggiunto – sentimmo anche il ministro Mancino che negò in modo assoluto di avere incontrato Borsellino, e non siamo riusciti a trovare riscontri sulla presenza di Contrada”.
“FU TINEBRA A DARE I NOSTRI NUMERI A SCARANTINO”
“Fu il Procuratore Tinebra a dare i nostri numeri telefonici a Vincenzo Scarantino, una decisione che io non gradii molto a dire il vero. Scarantino era un personaggio psicologicamente labile”, ha detto Annamaria Palma proseguendo la deposizione al processo sul depistaggio sulla strage Borsellino. “Il Procuratore diede i nostri numeri (con quello del pm Carmelo Petralia, ndr) a Scarantino e io non lo accettai di buon grado. Era fastidioso ricevere continue lamentele da questo signore che si lamentava per questioni logistiche, di soldi, ma non ci ha mai detto ‘Non voglio più collaborare’ o quando dice alla moglie di preparare le carte (nella intercettazione si sente di preparare le valigie ndr). Insomma, era nervoso, era labile e forse per questo Tinebra gli diede i nostri numeri”.
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