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“È certo il ruolo che il Sisde ebbe nell’immediata manomissione del luogo dell’esplosione e nell’altrettanto immediata incursione nelle indagini della Procura di Caltanissetta, procurando le prime note investigative che contribuiranno a orientare le ricerche della verità in una direzione sbagliata“. La commissione regionale Antimafia, presieduta da Claudio Fava, mette nero su bianco che i servizi segreti italiani intervennero attivamente nel depistaggio nelle indagini sulla strage di via D’Amelio.
Ma Fava, presentando la relazione, va oltre e afferma che il lavoro della Commissione insinua “il dubbio forte che la stessa mano che ha lavorato per condurre questo depistaggio possa avere accompagnato anche gli esecutori della strage del 19 luglio 1992. La sensazione è che questo depistaggio servisse a coprire altro: era da perseguire l’obiettivo che quello fosse un attentato solamente mafioso. Per mesi nessuno si era posto il problema della sparizione dell’agenda rossa, che viene segnalato subito dalla famiglia. È un fatto che i primi approcci investigativi delegati al Sisde, portano alla conclusione: ‘mafia fu!’“.
Fava individua due vulnus nella gestione delle indagini. Il primo è, appunto, il ruolo dei servizi, un ruolo “penetrante, pervasivo – lo definisce il presidente dell’Antimafia regionale – il Sisde viene chiamato a collaborare dalla Procura di Caltanissetta a poche ore della strage, contra legem: è grave che per 47 giorni la Procura di Caltanissetta abbia scelto di non ascoltare Borsellino (sulla morte di Giovanni Falcone, ndr) e due ore dopo la strage di via d’Amelio ci si affidi ai servizi“. L’impulso, è la conclusione, sarebbe partito dal Procuratore capo di Caltanissetta Giovanni Tinebra, oggi scomparso. Ed è in questo contesto si sarebbe svolto anche un pranzo, nell’autunno del 1992, al quale avrebbero partecipato procuratori, applicati da una parte e alti dirigenti del Sisde, tra cui Bruno Contrada, dall’altra. Il secondo vulnus è la gestione dei verbali dei confronti tra il falso pentito Vincenzo Scarantino e altri collaboratori di giustizia Cancemi, Di Matteo e La Barbera, che non furono depositati durante il processo Borsellino 1.
Tante le persone ascoltate dalla commissione: magistrati, uomini delle istituzioni, delle forze dell’ordine, giornalisti. Un lavoro durissimo e allo stesso tempo certosino, che ha portato all’approvazione della relazione all’unanimità. Ma rimangono i dubbi che si annidano nelle maglie della relazione e ai quali rimane da dare una risposta. “Una parte criminosa che ha voluto il depistaggio in via D’Amelio – è la conclusione di Fava – è rimasta impunita”. Come conferma anche Fiammetta Borsellino, intervenuta all’Ars alla presentazione della relazione: “Le mie domande sulla strage di via D’Amelio sono ancora tutte senza risposte“, ha detto la figlia del giudice ucciso nella strage di via D’Amelio. “Le risposte non cadono dal cielo. Si danno nelle sedi opportune, nelle aule giudiziarie. Ci sono state e ci sono oggi le occasioni per farlo. Si fa un appello corale rispetto al fatto che ciascuno senta il bisogno di dare un contributo. Per avere la verità non ho bisogno di un Graviano o di un magistrato, ne abbiamo la piena consapevolezza – conclude – se qualcuno sa parli per liberarsi la coscienza“.
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