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Depistaggio via d’Amelio, iniziata la requisitoria

martedì 26 Aprile 2022

“Mi scuso in anticipo con le parti civili di questo processo perché la requisitoria che mi accingo a fare certamente non sarà adeguata a quella che sarebbe dovuta essere la conclusione di un processo di questa portata. E’ un processo che si è celebrato in 70 udienze, sono stati escussi oltre 112 soggetti, con oltre 4.900 pagine di trascrizioni. Non sto qui certamente a sottolineare, benché certamente parliamo di imputazioni precise nei confronti di soggetti ben determinati, le implicazioni ulteriori che ha questo processo. Certamente meritava una discussione diversa da parte del pubblico ministero”.

E’ iniziata così la requisitoria del pm Stefano Luciani nel processo che vede imputati tre poliziotti Mario Bo, Fabrizio Mattei e Michele Ribaudo per il depistaggio delle indagini sulla strage di via D’Amelio, in cui morirono il giudice Paolo Borsellino e cinque agenti della sua scorta.

Secondo l’accusa i tre ex componenti del gruppo “Falcone Borsellino”, assistiti dagli avvocati Giuseppe Panepinto e Giuseppe Seminara, avrebbero indotto Vincenzo Scarantino a dichiarare il falso, mediante minacce, pressioni psicologiche e maltrattamenti. L’accusa – di cui sono chiamati a rispondere davanti al Tribunale collegiale presieduto da Francesco D’Arrigo – è di calunnia aggravata dall’aver favorito Cosa nostra.

“Questo processo – ha continuato Luciani – viene a continuità di un lavoro che inizia alla Procura di Caltanissetta nel 2008 quando Gaspare Spatuzza inizia a raccontare una verità che da subito è apparsa dirompente. Ed era una verità che andava a sconvolgere ben due processi che si erano già celebrati per la strage di via D’Amelio e che andava a mettere in discussione condanne all’ergastolo. E’ facile dunque comprendere che tipo di impegno attendeva la procura di Caltanissetta e le altre procure interessate. Questo processo ci pone in linea di continuità con il processo Borsellino Quater che ci ha rassegnato una verità e cioè che quelle condanne erano state comminate sulla base di prove manipolate che consistevano essenzialmente, ma non solo, in prove dichiarative. Era stata manipolata la collaborazione di Salvatore Candura, quella di Francesca Andriotta e infine quella di Vincenzo Scarantino. E allora questo processo, anche in virtù dell’aggravante, ha anche l’obiettivo di comprendere quali siano le ragioni alla base delle condotte che questo processo ha cercato di sviscerare”.

“Il più grande depistaggio della storia italiana nasce a Pianosa. Come si arriva all’interrogatorio del 24 giugno 1994? Quindici giorni dopo l’arresto di Vincenzo Scarantino, avvenuto il 29 settembre 1992, atterra sul tavolo del procuratore di Caltanissetta Tinebra una nota del Sisde con a capo Contrada, veicolata attraverso la Squadra Mobile di Caltanissetta nella quale incredibilmente, il Sisde anziché dire che Scarantino è un piccolo delinquente di borgata, lo definisce un boss mafioso“,  ha detto nel corso della requisitoria il pm.

“I suoi precedenti – ha aggiunto Luciani – erano assolutamente distonici rispetto al quadro che si vuole rappresentare. Da quel momento Vincenzo Scarantino subisce un pressing asfissiante. A Venezia, a Busto Arsizio, viene sottoposto a interrogatori costanti e ripetuti. Viene sottoposto a plurimi procedimenti penali a condanne per traffico di droga, rinviato a giudizio per la strage. Vincenzo Scarantino arriva al 24 giugno 1994 che è un uomo esasperato”.

La moglie di Vincenzo Scarantino raccontò che lui era un uomo robusto di oltre 100 chili, quando lo vide a Venezia era già ridotto alla metà, a Pianosa è ormai in condizioni terribili. Perché Scarantino, è lui stesso a raccontarlo alla moglie Rosalia Basile, in carcere è vittima di pressioni psicologiche e minacce. E chi sono gli autori? Scarantino aveva raccontato alla moglie che aveva incontrato a Pianosa Arnaldo La Barbera. Scarantino veniva minacciato di morte, gli veniva detto che gli facevano fare la fine di un ragazzo che era morto in carcere. Erano loro i poliziotti di La Barbera”, ha detto nel corso della requisitoria.

Secondo l’accusa gli imputati del processo, i poliziotti Mario Bo, Fabrizio Mattei e Michele Ribaudo avrebbero indotto il falso pentito Vincenzo Scarantino a dichiarare il falso, mediante minacce, pressioni psicologiche e maltrattamenti. “La moglie – continua Luciani – disse a verbale che Scarantino le diceva: ‘Non mi lasciano in pace sono sempre qua’. La donna riferiva sempre esattamente quello che le diceva il marito. Scarantino veniva malmenato, gli mettevano i vermi nella minestra, gli hanno instillato il dubbio di essere affetto da Hiv. Lo facevano spogliare nudo, gli dicevano che lo volevano impiccare. ‘Mio marito – ha detto Luciani leggendo in aula le dichiarazioni rese da Rosalia Basile – mi diceva che gli avevano iniettato il siero dell’Aids, sapendo che era geloso, gli instillavano il dubbio che io avessi l’amante’. Sono esattamente le stesse cose – ha continuato Luciani – che ha ripetuto 21 anni dopo davanti a questo tribunale. E ancora la moglie riferiva: ‘Io so che questo Arnaldo La Barbera non lo lasciava in pace, capendo che era un soggetto fragile. Lui mi ha sempre detto che non c’entrava nulla con la strage ma che gli avevano promesso la libertà e denaro’“.

“Mi hanno spogliato nudo e mi colpivano i genitali con la paletta, mi dicevano di guardare a terra e mi colpivano se guardavo a terra, mi buttavano l’acqua gelata mentre dormivo nella cella. Tutto questo dietro la promessa: ti facciamo uscire da qui e ti diamo 200 milioni di lire. Questo raccontava Vincenzo Scarantino alla moglie Rosalia Basile ed è un cliché che si ripete con Salvatore Candura, al quale vengono fatte le stesse promesse e le stesse pressioni psicologiche. Alla fine Scarantino sotto il peso delle pressioni cede e si accolla le accuse: cioè il furto della Fiat 126 utilizzata come autobomba per la strage. Scarantino ha poi detto: ho recitato un copione esattamente come mi era stato detto di fare da Arnaldo La Barbera e dal poliziotto Mario Bo“. Secondo l’accusa gli imputati avrebbero indotto il falso pentito Vincenzo Scarantino a dichiarare il falso, mediante minacce, pressioni psicologiche e maltrattamenti. I tre sono accusati di calunnia aggravata dall’aver favorito Cosa Nostra.

“Buona parte delle dichiarazioni che nel tempo fa Vincenzo Scarantino sono ricostruzioni di cose apprese dalla stampa o esperienza di vita vissuta, per come gli era stato detto di fare. Che quel canovaccio non fosse tutto ascrivibile a induzioni e contenuto di dichiarazioni che gli sono state dette di fare, ma anche ascrivibile a dichiarazioni di Vincenzo Scarantino, è certo. Scarantino è stato indotto a mentire ma ci ha messo anche del suo e quindi è responsabile, e la responsabilità va data, in parti non so se uguali o no, ma va data a entrambi. Il canovaccio fu riempito anche delle sue goffe dichiarazioni. Lo dice lo stesso Scarantino, ‘più andavo avanti e più bravo diventavo‘”. Continua il pm.

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