Dopo la diga Ancipa ad Enna (CLICCA QUI), scoppia il caso della diga Trinità a Castelvetrano. La “Sicilia delle incompiute colpisce ancora” (CLICCA QUI), riaprendo una ferita mai totalmente ricucita. Soluzioni-tamponi e tappa buchi sono saltati nuovamente in aria, riportando alla luce quello che si potrebbe definire il segreto di Pulcinella: l’inefficienza dell’intero sistema idrico siciliano nella sua ampia complessità. Da Catania a Palermo, da Messina ad Agrigento: problematiche diverse, ma tutte unite dalla stessa sorte nefasta.
Questa volta è toccato alla provincia Trapanese fare i conti con una condizione che mette a serio rischio l’attività produttiva e il tessuto economico di un’area ad altissima vocazione vitivinicola, e non solo, già martoriata negli ultimi due anni dalla peronospora e dalla siccità. Al ministero delle Infrastrutture non sono passate inosservate le “gravi carenze di sicurezza in condizioni statiche, sismiche e di piena” e le “gravi carenze di manutenzione e sicurezza con possibilità raggiungimento di stati limite ultimi anche in assenza di sisma“. E così la diga Trinità, almeno fino a nuove soluzioni, “chiude il rubinetto“, lasciando a secco un’ampia area provinciale della Sicilia Occidentale.
L’esigenza di interventi di restauro e ripristino corre più veloce della politica. Seppur con progetti e risorse già programmate, non solo attraverso l’Autorità di bacino, ma anche con tanti tavoli tecnici e confronti svolti nel corso dell’anno appena concluso, le dighe siciliane annaspano e ancora una volta si “ribellano” all’attesa. Riaffiorano così gli squarci di anni drammatici, conditi da mancata manutenzione, sia ordinaria sia straordinaria, e ritardi notevoli nei collaudi. Una condizione che oggi, in realtà, appare più grave, considerando che il servizio regionale che segue le dighe, in questo momento, è privo di un proprio dirigente ad hoc e a seguirlo in prima battuta, in attesa che l’incarico venga affidato, è l’attuale dirigente generale del dipartimento regionale Acqua e rifiuti Arturo Vallone.
La diga Trinità è uno di quegli esempi in cui il tempo e la sua benevolenza sono stati abusati fin troppo a lungo. Dal 2022, infatti, è stata gestita in esercizio limitato e la quota autorizzata d’accumulo era stata fissata a 62 metri sul livello del mare con l’obbligo di tenere aperte le paratie di superficie, per “le gravi criticità e carenze manutentive rilevate nell’ambito dell’attività di vigilanza del gestore“. I livelli massimi autorizzati d’accumulo sono poi passati da 50 a 54 metri sul livello del mare. Già ad aprile 2024 il ministero aveva avviato il procedimento per l’ulteriore limitazione nell’accumulo o la messa fuori esercizio dell’invaso, dando, però, la possibilità alla Regione, come gestore, di far pervenire, entro venti giorni le proprie osservazioni in merito a eventuali elementi di valutazione aggiuntivi. Il dipartimento regionale ha chiesto la sospensione del procedimento al ministero, affidando l’incarico a un gruppo di tecnici per gli studi di rivalutazione della sicurezza sismica della diga. Questi elementi aggiuntivi, però, non avrebbero aggiunto nulla sulle condizioni della diga, conducendo alla fatale “sentenza“.
Tra chi ha vissuto sicuramente da molto vicino le vicissitudini del territorio vi è certamente il segretario provinciale della Flai Cgil Giovanni Di Dia. “Sono tre anni che ci occupiamo di questa situazione. Per problemi strutturali, seguiti dagli studi condotti dall’Università di Catania, la diga – ha spiegato – non può più avere quella capacità di capienza che aveva origine. L’acqua è entrata in questi mesi per le piogge copiose andrà tutta persa. La diga non è in sicurezza dal punto di vista sismico e non può contenere tutta l’acqua, circa diciotto milioni di metri cubi d’acqua“.
Le conseguenze oggi? “Il territorio – ha dichiarato Di Dia – offriva centinai e centinai di migliaia di ettari di vigneto, capaci di produrre centinai di giornate di lavoro agricolo. Già da due anni a questa parte il numero dei giorni lavorativi si è sensibilmente ridotto. Prima a causa della peronospora, due anni fa, e l’anno scorso per la siccità. L’80% dei vigneti che insistono su territorio si sono essiccati e dovrebbero essere tutti ripiantati. Nel 2025 ci aspettiamo il 35-40% in meno di giornate lavorative nel settore vitivinicolo a causa della siccità e delle idee malsane della politica o di chi dovrebbe prevedere anche queste cose. Tutto parte da questa inefficienza“.
E adesso? La Regione si è già mossa. Ieri il dipartimento regionale Acqua e rifiuti ha convocato il rup del progetto, alla ricerca di una soluzione. Per oggi, invece, è prevista una riunione che coinvolge anche l’assessorato regionale all’Agricoltura, per perseguire una strategia più ampia.
Ma il problema resta strutturale e di questo ne è convinta anche Gabriella Messina, segretaria confederale Cgil Sicilia. “La situazione degli invasi siciliani è preoccupante. Non vengono utilizzati per la capacità che potrebbero avere e sono gestiti in modalità limitata. Tanti sono i temi: quello della manutenzione, della sicurezza, dei mancati collaudi, dei pozzi, dell’approvvigionamento o della distribuzione nella rete idrica, con punte di dispersione superiori anche al 60%. La questione – ha sottolineato Messina – non è sulla singola diga, ma sul sistema idrico nel suo complesso. Il problema della siccità in Sicilia non va affrontato gestendo le dighe in esercizio limitato, così come succedeva alla diga Trinità“.
“L’acqua c’è – ha aggiunto Messina – ma dobbiamo capire come approvvigionare, raccogliere, conservare e mantenere le riserve idriche, che non si possono disperdere a causa delle reti colabrodo. Da parte del governo regionale si susseguono degli interventi parziali. Un esempio è la gestione della costruzione dei dissalatori, affidati ad un commissario straordinario a livello nazionale. Non è una soluzione. La costruzione dei dissalatori rischia di essere scollegata da tutto il sistema idrico. Un sistema, invece, andrebbe essere pianificato e programmato all’interno di un pacchetto di numerosi interventi tutti incrociati tra di loro. Il tema degli invasi non può essere affrontato ancora come emergenza e soprattutto gli invasi dovrebbero essere messi nelle condizioni di poter essere utilizzati al massimo della loro capacità di accumulo“.