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L'ultimo padrino

E’ morto Matteo Messina Denaro

lunedì 25 Settembre 2023
Matteo Messina Denaro

Dopo una agonia di alcuni giorni è morto nell’ospedale dell’Aquila il boss Matteo Messina Denaro, l’ultimo stragista di Cosa Nostra arrestato a gennaio dopo 30 anni di latitanza. E’ deceduto poco prima delle 2, il corpo del mafioso si troverebbe ora in uno dei sotterranei dell’obitorio dell’ospedale aquilano che dista non più di cento metri dalla camera-cella nella quale era ricoverato dallo scorso 8 agosto. Fuori dall’obitorio qualche telecamera, pochi fotografi e pochi giornalisti, ma una presenza compatta di tutte le forze dell’ordine. Non ci sono curiosi, ma solo addetti ai lavori a presidiare l’ingresso dell’obitorio.

La Procura dell’Aquila, di concerto con quella di Palermo, ha disposto l’autopsia sulla salma di Matteo Messina Denaro. L’autopsia verrà eseguita nell’ospedale dell’Aquila.

Il capomafia soffriva di una grave forma di tumore al colon che gli era stata diagnosticata mentre era ancora ricercato, a fine 2020. Dopo la cattura, Messina Denaro è stato sottoposto alla chemioterapia nel supercarcere dell’Aquila dove gli è stata allestita una sorta di infermeria attigua alla cella. Una equipe di oncologi e di infermieri del nosocomio abruzzese ha costantemente seguito il paziente apparso subito, comunque, in gravissime condizioni. Nei 9 mesi di detenzione, il padrino di Castelvetrano è stato sottoposto a due operazioni chirurgiche legate alle complicanze del cancro. Dall’ultimo non si è più ripreso, tanto che i medici hanno deciso di non rimandarlo in carcere ma di curarlo in una stanza di massima sicurezza dell’ospedale.

Venerdì, sulla base del testamento biologico lasciato dal boss che ha rifiutato l’accanimento terapeutico, gli è stata interrotta l’alimentazione ed è stato dichiarato in coma irreversibile.

Matteo Messina Denaro era ricoverato da oltre un mese, in mezzo a ingenti misure di sicurezza, nella cella del reparto per detenuti dell’ospedale San Salvatore dell’Aquila dove era stato trasferito dal carcere, nel quale era recluso in regime di 41 bis.

Condannato all’ergastolo per decine di omicidi, Denaro è responsabile, tra i più noti, dell’uccisione di Giuseppe Di Matteo, strangolato e sciolto nell’acido a 15 anni, come ritorsione nei confronti del padre Santino Di Matteo, ex mafioso diventato collaboratore di giustizia dopo il suo arresto nel 1993, e mandante delle stragi avvenute tra il 1992 e il 1993, insieme a Totò Riina e Bernardo Provenzano.

Figlio del vecchio capomafia di Castelvetrano e storico alleato dei corleonesi di Totò Riina, Matteo Messina Denaro è stato latitante dall’estate del 1993, rientrando anche nella lista dei dieci latitanti più ricercati al mondo, fino al 16 gennaio scorso, giorno del suo arresto, alla clinica La Maddalena di Palermo, sotto falso nome di “Andrea Bonafede“. La sua ascesa in Cosa Nostra in Cosa Nostra iniziò quando il padre, Francesco, decise di schierarsi al fianco di Totò Riina nella seconda guerra di mafia, contro le famiglie palermitane che fino a quel momento avevano dominato l’organizzazione. Matteo divenne fondamentale nel far nascere il sodalizio tra il corleonese e i fratelli Graviano. Conclusa la seconda guerra di mafia, i Messina Denaro divennero tra le famiglie più importanti di Cosa Nostra. Anche Paolo Borsellino, nella veste di procuratore capo di Marsala, iniziò ad occuparsi di loro ed emise un mandato di cattura nei confronti di Francesco Messina Denaro, che si diede alla latitanza. A sancire il graduale passaggio di consegne tra i Messina Denaro fu anche la partecipazione di Matteo alle varie riunioni che si tennero alla fine del 1991. Prese ufficialmente le redini del mandamento di Castelvetrano dopo il dicembre del 1998. Nel giugno 1993 la procura di Trapani emise nei suoi confronti  un mandato di cattura con l’accusa di associazione mafiosa, omicidio, strage, detenzione e porto di materiale esplosivo, furto e tanti altri reati minori. Da lì iniziò la sua latitanza. Il suo ruolo dentro Cosa nostra cominciò ad emergere l’anno successivo, con l’operazione Petrov, scattata nel marzo 1994 dalle dichiarazioni del collaboratore Pietro Scavuzzo, e con l’operazione Omega, del gennaio 1996, nata dalle dichiarazioni dei collaboratori di giustizia Antonio Patti, Salvatore Giacalone, Vincenzo Sinacori e Giuseppe Ferro, i quali ricostruirono più di vent’anni di omicidi avvenuti nel trapanese.

 

 

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