Adagiato sul fondo della grande vasca romana, il giovane efebo, bellissimo, sembra quasi dormire. Accanto a lui c’è Igea, la dea della salute che fu figlia o moglie di Asclepio, un serpente arrotolato sul braccio. Poco più in là, ancora in parte sommerso dall’acqua, si intravede Apollo e poi ancora divinità, matrone, fanciulli, imperatori.
“Una scoperta che riscriverà la storia e sulla quale sono già al lavoro oltre 60 esperti di tutto il mondo” annuncia l’archeologo Jacopo Tabolli, il giovane docente dell‘Università per Stranieri di Siena, che dal 2019 guida il progetto con la concessione del ministero della Cultura e il sostegno anche economico del piccolo comune.
Un tesoro “assolutamente unico”, sottolinea, che si accompagna ad una incredibile quantità di iscrizioni in etrusco e in latino e al quale si aggiungono migliaia di monete oltre ad una serie di altrettanto interessanti offerte vegetali. Insediato da una manciata di giorni, il ministro della Cultura Gennaro Sangiuliano ha già visitato il laboratorio di restauro che ha appena accolto le statue e ora applaude: “Un ritrovamento eccezionale che ci conferma una volta di più che l’Italia è un paese fatto di tesori immensi e unici. La stratificazione di diverse civiltà è un unicum della cultura italiana”, si appassiona il responsabile del Collegio Romano.
“La scoperta più importante dai Bronzi di Riace e certamente uno dei ritrovamenti di bronzi più significativi mai fatti nella storia del Mediterraneo antico”, commenta accanto a lui il dg musei del MiC Massimo Osanna, che ha appena approvato l’acquisto del palazzo cinquecentesco che ospiterà nel borgo di San Casciano le meraviglie restituite dal Bagno Grande, un museo al quale si aggiungerà in futuro un vero e proprio parco archeologico. Luigi La Rocca, direttore generale per l’archeologia, condivide l’entusiasmo e sottolinea “l’importanza del metodo usato in questo scavo“, che come è stato per le scoperte più recenti di Pompei, anche qui ha visto all’opera “specialisti di ogni disciplina, dagli architetti ai geologi, dagli archeobotanici agli esperti di epigrafia e numismatica”.
Realizzate con tutta probabilità da artigiani locali, le 24 statue appena ritrovate – spiega Tabolli affiancato dal direttore dello scavo Emanuele Mariotti e da Ada Salvi della Soprintendenza- si possono datare tra il II secolo avanti Cristo e il I dopo. Il santuario, con le sue piscine ribollenti, le terrazze digradanti, le fontane, gli altari, esisteva almeno dal III secolo a.C. e rimase attivo fino al V d.C., racconta, quando in epoca cristiana venne chiuso ma non distrutto, le vasche sigillate con pesanti colonne di pietra, le divinità affidate con rispetto all’acqua. È anche per questo che, rimossa quella copertura, gli archeologi si sono trovati davanti un tesoro ancora intatto, di fatto “il più grande deposito di statue dell’Italia antica e comunque l’unico di cui abbiamo la possibilità di ricostruire interamente il contesto”, ribadisce Tabolli.
“Sarà un lavoro di squadra, com’è stato sempre finora“, sorride orgoglioso Tabolli. Università, ministero, comune, specialisti di altri atenei del mondo. Tutti insieme, con l’occasione unica per scrivere un capitolo integralmente nuovo della storia antica.