L’emigrazione siciliana: i dati di un fenomeno che non si arresta mentre l’Italia rappresenta il Paese delle migrazioni plurime e offre potenzialmente opportunità per una cittadinanza attiva e un ritorno di molti talenti dell’Isola e non.
Sul fenomeno dell’emigrazione siciliana ne abbiamo parlato con Alessandro Foti, ricercatore italiano in immunologia al Max Planck Institute for Infection Biology di Berlino e autore su riviste scientifiche internazionali.
La XIX edizione del Rapporto Italiani nel Mondo della Fondazione Migrantes, sui cui ilSicilia.it ha analizzato i dati, presentata a Roma a Novembre, evidenzia un’Italia segnata da migrazioni molteplici, dove il saldo migratorio rimane negativo (-52.334 nel 2023), con un flusso costante di cittadini che lasciano il Paese e una minoranza che fa ritorno.
La Sicilia, in questo quadro generale, è sempre più protagonista del fenomeno preoccupante dell’emigrazione giovanile (e non).
Il rapporto fotografa una realtà che si fa sempre più drammatica, con migliaia di siciliani che ogni anno scelgono di abbandonare la propria terra per cercare opportunità all’estero.
Alessandro Foti è un ricercatore italiano formatosi tra Italia e Germania, ha avuto esperienze di ricerca in numerosi Paesi tra cui Giappone, Stati Uniti e Portogallo.
Vive all’estero dal 2013, dove da anni affronta il tema dell’emigrazione giovanile italiana tramite articoli, blog e partecipazione a incontri pubblici.
Ultimamente ha pubblicato un saggio sul tema dell’emigrazione giovanile ed accademica dal titolo “Stai fuori!”. Un viaggio all’interno del fenomeno dell’evasione degli italiani all’estero, tra cui la cosiddetta “fuga di cervelli”, visto non come un dramma irreparabile, ma come un segnale di allarme di problemi strutturali, economici e sociali più profondi in Italia e in Sicilia.
L’INTERVISTA
Quali ostacoli principali rendono difficile per i giovani, in particolare siciliani, costruirsi un futuro in Italia?
“Emigrare altrove vuol dire sperare in qualcosa di nuovo, di migliore. I motivi che generalmente spingono le persone alla mobilità e allo spostarsi da un territorio sono legati ai problemi come elevata disoccupazione, bassi salari, mancanza di diritti, poca possibilità di crescita e mancanza di prospettiva per il futuro. E i giovani siciliani? Un po’ come tutti i giovani della penisola, se ne vanno per delle ragioni ben precise, alcune misurabili e altre no. Tra i motivi principali ci sono soprattutto quelli legati allo sbocco professionale ed economico, che incidono sull’aspetto finanziario e materiale della loro vita, e poi i motivi legati all’aspetto sociale e culturale, che influiscono sulla sfera delle possibilità individuali e relazionali. Infatti vanno ad acquisire sempre più importanza gli aspetti meno tangibili, non necessariamente legati all’aspetto puramente materiale. Questi riguardano la sfera relazionale, le libertà individuali, diritti civili e LGTB+, la questione ambientale, e in generale la voglia di confrontarsi con una mentalità che si ritiene più aperta e dinamica”.
“La crisi economica del 2008/9 ha corrisposto a un crash del mercato del lavoro italiano e a risentirne di più sono stati i giovani, in quanto meno tutelati rispetto ai loro colleghi anziani più garantiti contrattualmente e socialmente, quindi più stabili. L’aggravarsi della condizione lavorativa in conseguenza della crisi si è andata a sommare a una situazione già complessa da tempo per i giovani italiani, i quali spesso devono sottostare a una sregolata “cultura dalla gavetta”, che spesso favorisce l’avanzamento di carriera solo su base anagrafica e di esperienza temporale, e non sulle reali competenze o sui risultati raggiunti. Inoltre, siamo uno dei Paesi europei con il mercato del lavoro giovanile più fragile e un livello di occupazione tra le giovani generazioni molto basso”.
“Sui 37 Paesi OCSE, l’Italia è 35ma, quindi terzultima, sia per livelli occupazionali della fascia di età 15-24 anni, sia per la fascia 25-54 anni, dietro solo alla Grecia in un caso e alla Turchia nell’altro. Di fronte a questi dati non proprio incoraggianti, ci dovremmo chiedere seriamente come farà un Paese sempre più anziano a pagare le pensioni e a sostenere i servizi con un livello così alto di disoccupazione giovanile. Nel caotico frastuono del dibattito pubblico italiano, dove si confonde spesso l’attualità politica con l’intrattenimento teatrale, troppo poco si parla di disoccupazione giovanile e di bassi salari, fra le più grandi piaghe che affliggono la società italiana contemporanea. Lavorare dieci ore a settimana non permette di mantenersi, guadagnare meno di 9-10 euro l’ora è sfruttamento, lavorare come dipendenti ma costretti alla partita Iva è illegale, pagare in nero è evasione e non versare i contributi previdenziali è da denuncia… tutto questo non è lavoro, è l’umiliazione del lavoro e dei lavoratori”.
“Un altro fattore critico nel mercato del lavoro italiano è la disparità di genere, che causa ancora oggi delle grandi differenze salariali. Mediamente le donne sono meno presenti nel mondo lavorativo, lavorano meno ore degli uomini, hanno contratti più precari e sono sottorappresentate ai vertici e nel management aziendale. In Italia la disparità di genere a livello salariale è pari al 4,1% nel pubblico e al 16,5% nel privato, tra i tassi più alti d’Europa“.
Cosa spinge famiglie e over 50 siciliani a trasferirsi all’estero, e quali differenze vede rispetto alla migrazione giovanile?
“Sostanzialmente le stesse ragioni che spingono le generazioni più giovani ad andare via, quindi mancanza di sicurezza economica e poche possibilità di crescita. Negli ultimi anni anche i 50enni e oltre sono stati spinti ad emigrare. Solo che quando si emigra più avanti con l’età è più dura, e lo si fa meno per esplorazione e più per necessita, sia lavorative che familiari. Quindi è un fenomeno preoccupante. Poi esiste un’altra dinamica che è quella dei pensionati che si trasferiscono all’estero in Paesi dove possono vivere meglio con la loro pensione, come portogallo, Grecia e diversi paesi dell’ Est Europa”.
Ci sono nuove destinazioni o tendenze interessanti nelle scelte migratorie dei siciliani?
“La Sicilia è storicamente una delle regioni che produce più emigrazione. Molti siciliani si trasferiscono al nord Italia, ma sempre di più decidono di andare all’ estero. I siciliani sostanzialmente seguono una mobilità simile agli altri italiani. La maggior parte degli emigrati italiani (circa 3,2 milioni di persone) vive in Europa. I dati AIRE ci dicono che le destinazioni preferite sono Germania, UK, Svizzera, Francia, Belgio e Spagna. In questi Paesi, però, non tutti sono emigrati di nuovo corso, infatti ci sono Paesi di vecchia e nuova immigrazione italiana. Prima della nuova ondata emigratoria scaturita dalla crisi economica del 2008, l’Italia ha conosciuto, come abbiamo visto, un trentennio di bassa emigrazione, che ha costituito una cesura tra vecchie e nuove comunità di italiani all’estero”.
“Delle vecchie generazioni di immigrati dei primi del Novecento, arrivati in massa negli Usa o in Australia, si hanno adesso i discendenti di seconda o terza generazione, che poco condividono con i neo-emigranti appena arrivati dall’Italia. Le due comunità di immigrati italiani, vecchia e nuova, sono presenti in numeri significativi solo in alcuni Paesi, come Germania e Stati Uniti, dove si trovano tantissimi siciliani emigrati molti decenni fa. È interessante notare come i “nuovi” e i “vecchi” immigrati di solito non siano in contatto. Al contrario, Gran Bretagna e soprattutto Spagna sono Paesi di recente alta immigrazione italiana, e mancano di una grande e consolidata comunità italiana e siciliana di lungo periodo. Una tendenza importante degli ultimi anni mostra come la Germania continui ad essere al vertice della graduatoria per il numero di cittadini italiani residenti e al secondo posto, ma in ascesa, per il numero di cittadini italiani che accoglie ogni anno”.
Quali riforme potrebbero frenare la fuga di talenti e migliorare le condizioni nel Sud Italia?
“Sono problemi che vengono da lontano, e di sicuro la soluzione non è così chiara come ci fanno credere molti decisori politici sotto campagna elettorale. Guardando però al problema specifico dell’emigrazione giovanile, qualcosa da cambiare sembra evidente. Modificare le politiche giovanili è indispensabile, sia per i giovani che stanno all’estero, sia per quelli che risiedono in Italia e nel meridione. È un tema estremamente complesso che viene regolarmente approfondito da esperti di economia, lavoro e welfare, quindi non sta a me scendere nel dettaglio. Mi limito solo ad alcuni esempi che toccano direttamente tanti della mia generazione e oltre: stipendi dignitosi, pari opportunità, congedo parentale, contrasto a corruzione e carriere interne. Il mercato del lavoro italiano assorbe pochi giovani con alta formazione, andando negativamente a influire sulla tanto agognata produttività italiana”.
“Questo, come sottolineano molti esperti, di per sé è già̀un indice del livello di bassa innovazione delle imprese e della scarsa cooperazione tra università̀e mercato del lavoro. Inoltre, spesso in Italia si spingono i giovani a fare stage e tirocini mal pagati, a volte gratis, o praticantati al limite dello sfruttamento che andrebbero radicalmente riformati. Quindi servirebbero delle modifiche al sistema di orientamento e integrazione tra scuola, università e lavoro. In generale, alzare la voce su questi temi è ormai essenziale”.
Quale messaggio chiave vuole trasmettere ai giovani italiani nel suo ultimo saggio realizzato?
“Di prendere la questione sul serio, perché è indice di problemi molto profondi. Più saranno attivi più avranno qualche possibilità di essere ascoltati. Movimenti, iniziative e proposte collettive sono benvenute. Inoltre invito a partecipare alla vita politica tramite il voto. Non esiste una rappresentanza politica ideale, ma allo stesso tempo non tutti i politici sono uguali. Infine, propongo a tutti quelli che chiamo i “quattro comandamenti” di Goffredo Fofi”.
“Goffredo Fofi, scrittore, critico e grande intellettuale controcorrente, interrogato sul futuro delle giovani generazioni, propose quattro spunti: “Resistere, studiare, fare rete e rompere i coglioni”. Sante parole.
“Con questi “quattro comandamenti”, Fofi invita i giovani ad organizzarsi, in maniera intelligente e ragionata, per discutere temi e proporre alternative alle molte crisi e ingiustizie che affliggono la nostra realtà̀. Si tratta di un appello all’attivismo: non ci si rivolge abbastanza alla classe dirigente in maniera strutturata e preparata con delle richieste specifiche. È importante creare reti di persone che conoscono quello di cui parlano e condividono idee simili su come cambiare questa nostra società, con partecipazione e attività pratiche. In sintesi: alziamo la voce su questi temi”.