Riceviamo e trasmettiamo la lettera aperta che i rappresentanti della sigla sindacale Fials-Cisal, a firma Antonio Barbagallo, segretario provinciale, hanno inviato alla Fondazione Teatro Massimo dopo, a quanto riportano, essere stati esclusi dal tavolo unitario delle trattative per la pianificazione di nuove strategie, in conseguenza della crisi del settore Cultura provocata dalla pandemia da Covid-19.
Ecco il testo della la lettera aperta
In merito agli ultimi eventi che hanno portato la Fondazione Teatro Massimo ad escludere la Fials-Cisal dal tavolo unitario delle trattative, al netto della legittimità o meno di tale condotta comunque in fase di valutazione da parte dei legali, la Scrivente ritiene di dove esplicitare alcune considerazioni. Si prende atto che tali azioni indicano una chiara volontà di mettere da parte le voci critiche o semplicemente “non allineate” ai desiderata della direzione.
Escludere coloro i quali non si uniformano al pensiero unico nella chiara pretesa di interloquire con un sindacato omogeneamente appiattito sulle posizioni datoriali, appare come un atto grave che mina il pluralismo e la vita democratica all’interno della Fondazione.
Si sprecano fiumi di inchiostro sulle pagine di una carta stampata molto sensibile nei confronti della Fondazione circa la funzione più essenziale del Teatro, si investono tante risorse per portare in scena spettacoli che narrano le storie e i drammi delle minoranze, dove si auspica l’inclusione dei portatori di altre culture e condannando chi invece punta il dito contro il diverso, ma pare che questi nobili messaggi che solo l’Arte ha il privilegio di veicolare in maniera poetica non trovino riscontro quando il dito ad essere puntato è il proprio e le minoranze diventano scomode.
E’ noto quanto poco piaccia al potere non sentirsi applaudire anche da chi è chiamato a non farlo, anche da chi è chiamato a sindacare appunto, ma una democrazia si regge notoriamente su dei pesi ai quali corrispondono necessari quanto fondamentali contrappesi. Possibilmente indipendenti.
E non è pura retorica se si asserisce che proprio in momenti come questi i Teatri hanno l’obbligo morale di rappresentare quell’avamposto di resistenza democratica nei confronti di una politica che considera la Cultura un’attività non necessaria.
Sempre seconda a tutte le altre attività produttive di un paese che ha smesso di pensare perché troppo impegnato a dividersi e a strillare. Recentemente, un intellettuale di grande caratura morale come Stefano Massini, ha magistralmente proposto un parallelo tra Chiesa e Teatro, indicando questi come quei luoghi dell’anima impossibili da chiudere.
Abbiamo potuto ammirare una CEI che ha condotto e vinto la sua battaglia per poter riaprire e celebrare messa, ma non abbiamo potuto osservare la stessa passione da parte di un’ANFOLS che con un comodo silenzio rinuncia alla sua messa forse per risanare, in alcuni casi, bilanci endemicamente deficitari.
Bisogna dire che questa speculazione non danneggia solo i lavoratori (posti in una sottospecie di cassa integrazione) ma anche una collettività che, oltre a pagare due volte per un servizio non erogato, non ha la possibilità di usufruire in tutta sicurezza di quel luogo dell’anima di cui oggi più che mai si sente un gran bisogno.
“L’arte rinnova i popoli e ne prepara l’avvenire…”
L’arte dovrebbe rinnovare i popoli e mirare a prepararne l’avvenire, diversamente si assiste ad un’arte piegata alla politica, alla burocrazia, agli emendamenti affossati, ai capricci di questo ministro ed alle ritorsioni di quel segretario generale, fatta di lustrini, pellicce e platea, e non di polvere, sudore e palcoscenico come i padri greci ci hanno insegnato.
Quale progetto creativo può essere considerato lungimirante se non nasce da un’idea artistica? Spegnere le luci, chiudere i cancelli, rinunciare anche solo a pungolare una classe dirigente di un paese in evidente stato confusionale, trincerandosi dietro circolari e carte bollate è un atto esageratamente innaturale, per chi fa Arte, per non sembrare deliberato.
Questo costo della non attività teatrale presenterà ancora una volta il suo conto, che non è il mero danno economico subito da lavoratori e indotto. Anche. Ma è un danno ancora più grande e più difficile da colmare.
Ancora una volta non viene preso in considerazione il PIL delle emozioni, il Trend del Pensare, la Crescita della Pienezza.
Davvero non si riesce a cogliere che la risposta all’imbarbarimento generale nel quale il paese è piombato e l’affermazione di certi fenomeni socio-politici sia proprio una diffusa mancanza di Cultura?
E’ stato più volte detto che la lotta al coronavirus sia da paragonare ad una guerra contro un nemico invisibile. Ebbene, durante il secondo conflitto mondiale, quando gli oppositori di Churchill contestarono i cospicui finanziamenti destinati al mondo della Cultura, questi rispose con tutto il suo pragmatismo tipicamente anglosassone: “E allora per cosa combattiamo?”.
Con le dovute proporzioni e senza voler apparire sgradevolmente retorici, la domanda da porre oggi è per cosa stiamo combattendo se non siamo disposti a lasciarci ispirare dall’Arte per resistere con l’arma della Cultura?
Sarebbe stato interessante e, chissà, persino proficuo potersi confrontare su questi ed altri temi meramente progettuali senza avere la pistola puntata di una firma su di un accordo che mira solo a conservare e a difendere anziché a raccogliere sfide ed osare.
Oggi si sente un grande bisogno di inclusione e di dialogo e non dei muri della facile contrapposizione di una certa sub-cultura politica.
Non invitare al tavolo unitario chi non la pensa come si vorrebbe calpesta anche il codice etico della Fondazione, il cui art. 6 così recita: “La Fondazione Teatro Massimo di Palermo è contraria a qualsiasi tipo di discriminazione basata sulla diversità di razza, di lingua, di colore, di fede e di religione, di opinione e affiliazione politica, di nazionalità, di etnia, di età, di sesso e orientamento sessuale, di stato coniugale, di invalidità e aspetto fisico, di condizione economicosociale nonché alla concessione di qualunque privilegio legato ai medesimi motivi.”
La Fials-Cisal è sicura che la dirigenza della Fondazione Teatro Massimo, e coloro i quali ispirano scelte sì infelici, possano tornare indietro su certe decisioni che non fanno certo onore alla città di Palermo orgogliosamente definita dal Sindaco Orlando come la capitale dell’accoglienza, includendo e dialogando anche con quelle minoranze che, per quanto minori, possono anche essere portatici di idee e visioni preziosamente diverse.