Il voto delle amministrative del 12 giugno, i suoi risultati, con l’esultanza dei vincitori e la delusione degli sconfitti con il carico di polemiche e di recriminazioni, ha messo in ombra fino alla sua rimozione, l’altro voto su cui era chiamato ad esprimersi tutto il corpo elettorale del paese.
Parliamo dei referendum sulla giustizia che sono stati bocciati perché non hanno raggiunto il quorum con percentuali cosi basse da non avere forse un precedente nella storia dei referendum che abbiamo avuto in Italia.
Forse che il tema della Giustizia non interessa gli italiani? Forse non esiste una crisi della giustizia, che in Italia funziona tutto a meraviglia per cui il referendum era inutile e pretestuoso?
La verità è che ancora una volta il problema Giustizia è stato utilizzato come terreno di scontro fra le forze politiche, a discapito di una informazione e corretta e di un confronto nel merito.
Una parte di responsabilità l’hanno avuta anche i promotori dei referendum presentando quesiti per addetti ai lavori, incomprensibili anche per come formulati, che stridevano con la natura del referendum che richiede domande semplici a cui rispondere da parte dell’elettore con un sì o con un no.
Inoltre molti sono rimasti perplessi per la disomogeneità politica e culturale dei proponenti al punto che qualcuno di loro, come la Lega di Matteo Salvini, si è perso per strada assumendo posizioni politiche contrarie allo spirito e alla sostanza dei quesiti.
Altri ancora non facevano mistero di utilizzare i referendum come una clava contro la magistratura.
Però, anche quelli che avevano più credibilità politica per la loro storia e il loro impegno per la riforma della giustizia se da un lato avevano più che una ragione per protestare per come è stata informata l’opinione pubblica dalla stampa e dalle televisioni, dall’altro sembrano avere dimenticato la lezione di Marco Pannella per come hanno impostato prima e svolto dopo la campagna elettorale.
Il leader radicale prima dello svolgimento dei referendum avviava una grande campagna di informazione e di mobilitazione, ricorreva a clamorose forme di protesta civile per scuotere gli organi di informazione e organizzava in ogni piazza d’ Italia i famosi banchetti che diventavano uno strumento non solo di informazione ma anche di discussione, suscitavano un grande confronto pubblico che costringeva tutti, e in primo luogo le forze politiche, a prendere posizione.
I sostenitori del NO, dal canto loro, avevano argomenti seri da far valere per affrontare il referendum, erigendosi a difensori dell’autonomia della magistratura che rimane un pilastro del sistema democratico e che il Parlamento era in procinto di approvare la riforma della giustizia proposta dalla ministra Cartabia come poi, infatti, è avvenuto in Senato.
Infatti è bene ricordare che i referendum erano abrogativi e che in caso di vittoria del Si la “palla” sarebbe passato in ogni caso al Parlamento.
Si preferito, invece, con una buona dose di opportunismo, ignorare i referendum facendo leva sul sentimento di antipolitica che si respira nel paese, sul giustizialismo che è il contrario della giustizia, insomma invitando a disertare le urne e spingendo gli elettori dove si votava per le amministrative a rifiutare le schede, per poi mostrarsi preoccupati perché la gente non va a votare.
A titolo di informazione è utile sapere che in quel venti per cento che andato a votare i SI sono stati prevalenti ma per tre quesiti hanno prevalso i No, segno che questi elettori hanno fatto una scelta frutto di una riflessione nel merito e quindi non spinti da uno spirito di ostilità verso la magistratura.
L’auspicio è ora che il problema della Giustizia trovi finalmente soluzioni efficaci che diano serenità ai magistrati, spesso oggetto di polemiche strumentali e rafforzino la fiducia del cittadino nei confronti della Giustizia che, come ci ha insegnato Tocqueville, rimane garanzia della libertà individuali e collettive.
Rimane il danno provocato dall’affossamento del Referendum, un grave colpo inferto alla democrazia.
Sono lontani i tempi di quando di fronte al referendum promosso da Mario Segni, che introduceva la preferenza unica nel nostro sistema elettorale, i cittadini respinsero l’invito di Bettino Craxi di andare al mare e disertare le urne recandosi massicciamente a votare e segnando con quel voto simbolicamente la fine della Prima Repubblica.
Il pericolo è che dopo questa prova elettorale il referendum sia morto come strumento di democrazia diretta con buona pace dei Grillini che hanno contribuito al suo affossamento nonostante avevano come nume tutelare un tale Rousseau che, evidentemente, conosceva solo Casaleggio ma i suoi epigoni pensano forse che sia un attore o un cantante francese. Aldi là della battuta, meraviglia, invece, il PD che dovrebbe avere più senso dello Stato, delle istituzioni e della Costituzione.