Ho un foglio bianco davanti agli occhi, da riempire con pensieri e frasi di un qualsiasi momento della vita: è notte fonda, anzi, direi che è quasi mattino, ma mentre sto scrivendo, in una qualsiasi notte tra un sabato ed una domenica, mi tornano alla mente i cambiamenti che la vita impone ad ognuno di noi, e mi rendo conto di come, spesso, cambiamo, senza neanche rendercene conto, senza che neanche ci sia il tempo materiale per comprendere che, silenziosamente, il nostro tempo e la nostra vita ci cambiano irrimediabilmente, non so esattamente se in meglio o se in peggio.
Scrivo, e sento il vento battere forte sulle finestre: sento il tipico silenzio della notte, reso ancor più forte dall’essere domenica mattina, e mi sembrano già lontane anni luce le risate con gli amici di poche ore fa, la loro compagnia, e la spensieratezza di serate trascorse nella cornice di pizza, patatine, Coca Cola e tanta spensieratezza giovane, non fosse altro che per spegnere la mente dalle brutture e dai pensieri di un’intera settimana.
Eppure, mi rendo conto che, probabilmente, siamo cambiati, come è cambiato, verosimilmente, tutto quello che c’è intorno: non voglio sempre buttare il discorso sul Covid, sul cambiamento delle nostre vite e della nostra consuetudine che, verosimilmente, torneremo a vivere presto, ma parlo di una sorta di stanchezza maggiormente profonda, interiore, nascosta, insita nel personale vissuto di ognuno di noi. Non so se parlare di maturità, non so se parlare di esperienze di vita, ma mi accorgo che qualcosa di diverso c’è, forse nei gesti, forse nei comportamenti, forse in questo vivere consueto e giornaliero, ma è tangibile, me ne accorgo. In un altro tempo, in un tempo che è passato, forse, avremmo passato la notte intera a giocare e ridere, ma qualcosa ti fa cambiare, e le serate finiscono sempre più presto, ed ognuno freme e corre per tornare a casa, per tornare sotto le coperte, forse solo per continuare a sognare, forse solo per dimenticare la sofferenza, l’insoddisfazione, la frustrazione di un vivere che sembra non appartenerci, non riuscire a comprenderci né a soddisfarci. Forse, il tempo delle risate spensierate è finito, e non ce ne siamo nemmeno accorti, perché il peso della maturità non ti permette più di tornare indietro, ma solo di accettare e vivere nuovi equilibri interiori, che ti spingono ad accettare un vivere che è tale, quasi fosse per inerzia, ben lontano dalle gioie di un tempo.
Qualcuno mi ha detto che, con il progredire del proprio vissuto personale, si cambia, si cambia irrimediabilmente, e lasci da parte tutto quello che pensi non essere più produttivo per la tua vita, quasi come una sorta di nuova pelle, di “muta” che cambi, lasciando un pezzo di te lungo le stazioni della vita. Diventi “adulto”, diventi ciò che sarai in futuro, e metti da parte tutto quello che, non si sa secondo quale “standard” e quale paramento, “non è maturo”. Maturi nuove consapevolezze, pensi a nuovi traguardi, e tutto si fa sempre più stringente, come una sorta di “cappio” che stringe sempre di più ad ogni giorno della vita che passa. Ma siamo davvero certi che cambiare, crescere, avere consapevolezze mature, significhi davvero vivere accettando un qualsiasi posto nel mondo, per inerzia, assistendo al continuo alternarsi di giorno e notte, notte e giorno, affannandoci per riempire gli spazi del tempo che ci viene concesso nella maniera più produttiva possibile? Se è realmente così non lo so, ma, a volte, manca davvero quel pezzo di noi a cui abbiamo rinunciato in nome della “crescita interiore”. Manca la spensieratezza di quelle risate, delle ore passate a parlare fino alle prime luci del mattino, e quella generale voglia di fottersene di tutto e tutti, rimandando ad un altro tempo ciò che destava paura e preoccupazione. Vivevi solamente un tempo più leggero, se vogliamo, forse incompatibile con ciò che sei adesso. O che, forse, sei diventato, o che, forse la vita e la società hanno preteso che diventassi? Quanto di noi, della nostra realtà, del nostro essere genuini è andato perduto in nome di questo vivere secondo ciò che gli altri, il mondo, si aspetta da noi? E quanto di noi si è, irrimediabilmente, perduto, forse nel giorno in cui abbiamo deciso di indossare l’abito di tutte le esperienze che ci hanno forgiato?
La risposta è che, forse, come diceva Renato Zero, “l’insoddisfazione, qua, ci ha raggiunti facilmente”, perché, in fondo, forse siamo solamente, irrimediabilmente, cambiati sotto il peso della vita… Ma ne è davvero valsa la pena?