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Gabriella Deodato: “La macchina fotografica è una figlia per me” | Intervista e foto

mercoledì 22 Gennaio 2020

Ciao Gabriella, benvenuta e grazie per aver accettato il nostro invito. Se volessi presentarti ai nostri lettori cosa racconteresti di te quale artista della fotografia?

 

Buongiorno Andrea e grazie a te per aver voluto darmi voce. Sono sia fotografa che fotomodella, quindi sto da entrambi i lati della macchina fotografica. Un lato alimenta l’altro, ed imparo da entrambi. Come fotografa, creo book come abiti su misura, come fotomodella cerco di immedesimarmi nelle mie clienti e di lavorare su di me come donna per poi metterle a loro agio di fronte all’obiettivo fotografico.

 

Chi è Gabriella nella sua professione e nella sua vita reale? Come ti descriveresti a chi leggerà questa intervista per dare l’immagine di te quale artista e donna?

 

Nella mia professione, sono molto maniacale e pignola. Dedico molto tempo alle mie clienti, in quanto le mie foto nascono dall’empatia e dalla fiducia. Nella vita reale, sono molto semplice a discapito di un’immagine sensuale o molto altera che do volutamente nelle mie foto. In realtà l’artista sconfina nella donna e viceversa.

 

Come è nata la tua passione per la fotografia e quale il percorso artistico che hai seguito?

 

La passione per la fotografia è un richiamo da sempre. Ho studiato a Parigi alla scuola Icart Photo e dopo 3 anni di studi ho conseguito il diploma. Sono rientrata in Italia nel 2004 e da allora lavoro qui. Ho un mio proprio studio in Via Giulia, che divido con un socio.

 

Tu Gabriella sei fotografa e fotomodella. Come vivi questa doppia identità artistica, quella di alternare il punto divista al di qua e al di là delle macchina fotografica? Come vivi questa doppia dimensione?

 

Amo entrambe le cose. L’una, come già detto, completa l’altra. Sono inoltre una maniaca dell’estetica (sia come fotografa che come fotomodella) quindi curo ogni foto nei minimi dettagli. Poserò finché riterrò di poterlo fare, come età e percorso artistico. Dopo, mi dedicherò soltanto al lato della macchina fotografica che con il tempo non invecchia mai e guarderò con piacere le mie foto di quand’ero giovane. La mia doppia identità mi consente sicuramente di comprendere meglio le mie clienti e le donne in genere.

 

Come definiresti il tuo stile artistico? C’è qualche fotografo al quale ti ispiri?

 

Mi ispiro a tutti i grandi del passato. Mi piace molto Ferdinando Scianna, al quale peraltro ho avuto l’onore di fare da assistente per il backstage del calendario di Maria Grazia Cucinotta nel 2007. Il mio stile artistico è quello di raccontare la storia di ognuno, ascoltando ciò che ha da dire riguardo alla propria vita. Una sorta di piccolo corto cinematografico per immagini. Non scatto mai senza conoscere, faccio un pre-colloquio book nel corso del quale si chiacchiera, ci si conosce e si instaura quel minimo di fiducia necessaria a scattare. Racconto la vostra storia attraverso la mia empatia e le mie fotografie. Ci provo. Spesso ci riesco, così mi dicono.

 

Chi sono stati i tuoi maestri che vuoi ricordare in questa chiacchierata?

 

Sicuramente il direttore della scuola di Parigi, Monsieur Balmeyer e poi tutti i fotografi a cui ho potuto fare da assistente negli anni che erano più avanti di me e mi hanno dato la possibilità di rubare con gli occhi e di imparare.

 

Perché secondo te oggi, nel Ventunesimo secolo, l’arte della fotografia è importante?

 

Perché è un’arte e perché come tutte le arti va protetta. In un’era così digitale, e in cui tutti con un cellulare, si sentono capaci di fare una bella inquadratura, è giusto che chi a studiato e che chi ha un occhio “oltre” lo comunichi e lo ricordi al mondo.

 

A proposito dell’arte della fotografia Alberto Moravia sosteneva che: «Il fotografo non guarda la realtà, ma la fotografa. Poi va in camera oscura, sviluppa il rullino e solo allora la guarda.» A quel punto la realtà non c’è più, ma c’è la rappresentazione della realtà che ne ha fatto il fotografo. Se è vero quello che dice Moravia, è come se il fotografo alterasse la realtà creandone una tutta sua, una realtà parallela, virtuale per certi versi, quella che sa creare con la sua arte. Qual è il tuo pensiero in proposito? Cos’è la fotografia per te?

 

Senza dubbio, Moravia ha ragione per alcuni aspetti. Effettivamente la fotografia è a metà fra la realtà e l’idea che se ne ha anche se aggiungo che dipende dal tipo di fotografia. Se faccio reportage, per forza di cose non dovrò e non potrò alterare più di tanto la realtà, potrò forse comunicare il mio punto di vista attraverso un’inquadratura specifica. Se creo delle foto che sono una mia visione della realtà, un po’ come faccio io, senza dubbio Moravia ha ragione.

 

Robert Capa, com’è noto uno dei più grandi fotografi del Novecento, diceva spesso che «L’unica cosa a cui sono legato è la mia macchina fotografica, poca cosa, ma mi basta per non essere completamente infelice.» Qual è il tuo rapporto con la tua macchina fotografica? E cosa ne pensi delle parole di Capa?

 

La mia macchina fotografica è una Figlia per me. È prolungamento del mio occhio, una protesi mentale e fisica. Concordo con Capa: quando hai la possibilità di riporre tutte le tue emozioni nella tua arte, quando puoi dire la tua ogni giorno, come essere infelice? Uno dei privilegi dell’artista è quello di non dover mai mentire.

 

Charles Bukowski, grandissimo poeta e scrittore del Novecento, artista tanto geniale quanto dissacratore, in una bella intervista del 1967 disse… «A cosa serve l’Arte se non ad aiutare gli uomini a vivere?» (Intervista a Michael Perkins, Charles Bukowski: the Angry Poet, “In New York”, New York, vol 1, n. 17, 1967, pp. 15-18). Tu cosa ne pensi in proposito?

 

L’arte è spennellare di bellezza un mondo spesso frustrato e mediocre. Si nasce Artisti e si nasce coraggiosi. Per tutto il resto, ci sono gli hobby e il tempo libero.

 

Nel gigantesco frontale del Teatro Massimo di Palermo c’è una grande scritta, voluta dall’allora potente Ministro di Grazia e Giustizia Camillo Finocchiaro Aprile del Regno di Vittorio Emanuele II di Savoia, che recita così: «L’arte rinnova i popoli e ne rivela la vita. Vano delle scene il diletto ove non miri a preparar l’avvenire». Davvero l’arte e la bellezza servono a qualcosa in questa nostra società contemporanea tecnologica e social? E se sì, a cosa serve oggi l’arte, e l’arte della fotografia in particolare?

 

L’arte è per definizione atemporale. In un’era così fast food, più che mai, invece di guardare troppo ad un futuro nel quale i mezzi di comunicazione soppiantano la comunicazione stessa, ritorniamo ai valori di ieri e preserviamoli. Fotografare è lasciare un ricordo, un traccia, un vissuto. Oggi come ieri come domani.

 

Quando parliamo di bellezza, siamo così sicuri che quello che noi intendiamo per bellezza sia lo stesso, per esempio, per i Millennial, per gli adolescenti nati nel Ventunesimo secolo? E se questi canoni non sono uguali tra loro, quando parliamo di bellezza che salverà il mondo, a quale bellezza ci riferiamo?

 

Ogni epoca ha la sua bellezza e i suoi canoni estetici. Quello che cinquant’anni fa era considerato bello, ci sembra oggi obsoleto e per certi aspetti fuori tempo. Lo stesso destino avranno i modelli di bellezza di oggi. I classici, quelli imperituri, sono l’esempio lampante di come la vera bellezza trascenda il tempo.

 

Esiste oggi secondo te una disciplina che educa alla bellezza? La cosiddetta estetica della cultura dell’antica Grecia e della filosofia speculativa di fine Ottocento inizi Novecento?

 

No credo. La Famiglia, i valori e il carattere fanno l’esteta ma puoi provare all’infinito a educare una persona. Se non è portata al bello, mai lo sarà.

 

Se dovessi consigliare ai lettori tre film da vedere e tre libri da leggere assolutamente, quali consiglieresti e perché proprio questi?

 

Film: “Le pagine della nostra vita” (2004) di Nick Cassavetes, “Cyrano de Bergerac” per la regia di Jean-Paul Rappeneau (1990) con un immenso Gerard Depardieu e “L’amore ai tempi del colera” (2007) con Javier Bardem e Giovanna Mezzogiorno. Libri: “Il cuore cucito” di Carole Martinez (2007), “Minchia di re” di Giacomo Pilati (2004) e “La fontana magica” (1995) di Roselina Salemi. Parlano tutti d’amore e trattano il mio concetto d’amore. Oltre il tempo, lo spazio, la distanza. L’amore, quello vero, atemporale come l’arte.

 

I tuoi prossimi progetti? Cosa ti aspetta nel tuo futuro professionale che vuoi raccontarci?

 

Tanti, come sempre. Ho al mio attivo tre libri (due di fotografia e un romanzo, “I Luoghi di Tyson” la storia vera di un Micio smarrito a Monteverde) e ho in progetto il quarto libro, sempre riguardante i felini. Una delle mie passioni. Vorrei raccontare la storia degli A-mici del Molo Sud, una colonia felina che vive su un molo nelle Marche e proprio per questo è terreno fertile per un romanzo. Inoltre fra qualche giorno inizierò un corso da truccatrice professionista in modo da completare ulteriormente il mio profilo da fotografa e fotomodella. E poi, sono benvenuti tutti i progetti interessanti che mi verranno sottoposti.

 

Dove potranno seguirti i nostri lettori e come vuoi chiudere questa breve chiacchierata?

 

Sono senza dubbio molto social, anche se veicolo sempre e di proposito solo l’immagine che decido di veicolare. Nella realtà, sono molto riservata. I lettori, fermo restando che li ringrazio per il tempo che mi vorranno dedicare, possono seguirmi su Facebook e Instagram. Su Instagram metto solo le mie foto da fotomodella. Vorrei chiudere questa chiacchierata augurando a chiunque abbia un sogno artistico di perseguirlo e di crederci fortemente. Ad esser felici, si diventa felici. Grazie a tutti.

 

Gabriella Deodato

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Andrea Giostra

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