“Francese ha pagato con la vita per le cose che ha liberamente scritto sul Giornale di Sicilia. Nessuno glielo ha impedito, nessuno lo ha isolato”. In un editoriale a firma dal direttore Antonio Ardizzone e del condirettore Marco Romano, il quotidiano di via Lincoln contesta la ricostruzione – fatta nella fiction che andrà in onda stasera su Canale 5 – della vita di Mario Francese, ucciso dalla mafia a Palermo il 26 gennaio 1979.
“Una ricostruzione dei fatti – scrivono Ardizzone e Romano – che non esitiamo a definire grossolanamente falsa, strumentalmente artefatta e platealmente incongruente nella tempistica, nella logica e nei contenuti”, “al solo scopo di denigrare l’immagine di questo giornale e dei suoi editori”. E continuano: “Avevamo concesso con piacere alla società produttrice, appena ce lo aveva chiesto, l’autorizzazione all’utilizzo del logo del quotidiano e di alcune pagine dello stesso” ma “dopo la proiezione a inviti dell’anteprima abbiamo immediatamente dato mandato ai nostri legali di comunicare la revoca dell’autorizzazione e contestualmente di avanzare formale diffida contro la messa in onda della fiction così come mostrata in anteprima”.
Una scena della fiction in onda stasera:
Scoppia dunque il caos tra il Gds e la Taodue sulla fiction con protagonista Claudio Gioè (nei panni del cronista Mario Francese) e Marco Bocci (alias suo figlio Giuseppe Francese). La sceneggiatura è stata scritta dal giornalista e deputato Ars, Claudio Fava, che interviene a gamba tesa sull’editoriale e la richiesta di censura del Gds:
«L’editoriale che il Giornale di Sicilia dedica al film su Mario Francese, in onda stasera in tv, e dunque al sottoscritto, che di questo film è lo sceneggiatore, è triste ed imbarazzante: chi ha scritto quel film sarebbe “un sedicente moralista, esponente di un’antimafia sempre più parolaia e di maniera”. L’“antimafia parolaia” sono i fatti che il film ricostruisce e che l’editoriale del GdS si guarda bene dallo smentire. Le frequentazioni, giudiziariamente accertate, fra l’editore del giornale Ardizzone e il capo della cupola di cosa nostra Michele Greco. L’attentato mafioso subito dal caporedattore del giornale senza che il suo stesso quotidiano gli dedicasse nemmeno un trafiletto di solidarietà. Gli incontri proposti con alcuni capimafia palermitani da un cronista di giudiziaria del GdS a Mario Francese, e da lui rifiutati, poco prima dell’assassinio.
Un fatto, la solitudine umana e professionale che conobbe Francese in quei mesi. Un fatto le parole durissime nei confronti del Giornale di Sicilia contenute sia nella requisitoria del PM che nelle motivazioni delle sentenze di condanna dei suoi assassini. Scrivono i giudici d’Appello: “…costituisce, ormai, un dato storico che, da quel momento (l’omicidio di Francese), la linea editoriale del “Giornale di Sicilia” muta radicalmente, sino a divenire, negli anni del primo maxi-processo, uno dei più feroci oppositori e critici dell’attività dei giudici componenti del c.d. pool-antimafia, definiti sceriffi e professionisti dell’antimafia ed attaccati quotidianamente con incisivi e dotti corsivi…”
Aggiunge oggi l’editoriale del GdS a proposito di una foto, ricordata nel film, che ritrae l’editore assieme a Michele Greco, che quell’immagine “se mai esistesse risalirebbe a decenni prima”. Se mai esistesse? Acquisita agli atti del processo, descritta da decine di testimoni, ricordata dallo stesso Michele Greco e siamo ancora fermi alla negazione dell’evidenza? E raccontare quell’evidenza sarebbe antimafia parolaia?
In ogni caso, aggiunge l’editoriale di oggi, Michele Greco solo diverso tempo sarebbe stato identificato dalle inchieste giudiziarie come mafioso. Falso. Pateticamente falso. Tutti sapevano, alla fine degli anni settanta, che Michele Greco a Palermo era il capo della mafia come Nitto Santapaola a lo era a Catania: e se con loro si incontravano prelati, editori, ministri e prefetti lo facevano nella piena consapevolezza che quei loro compagni incensurati di merende rappresentavano il potere utile ed indiscutibile di cosa nostra.
Di questo parla il film. Di questo non parla affatto la “smentita” del Giornale di Sicilia. Ora, non si chiede al GdS di essere il Washington Post. Ma pretendere il diritto a silenzio, all’oblio, alla reticenza e alla menzogna sulla storia di un loro giornalista ammazzato dalla mafia è cosa assai triste, ancor più che grave. Ci dice quanta strada c’è ancora da fare. E quante verità da reclamare».
Contro l’editoriale del quotidiano di via Lincoln anche il Gruppo siciliano dell’Unci: “La ricostruzione filmica degli eventi che condussero alla tragica morte del cronista Mario Francese non sia oggetto di censura preventiva”. E’ questo l’auspicio che il Gruppo siciliano dell’Unci esprime a poche ore dalla messa in onda, programmata su Canale 5, di “Delitto di mafia, Mario Francese”, la fiction che racconta la morte del cronista del Giornale di Sicilia, ucciso il 26 gennaio 1979 a Palermo, e le indagini che portarono alla condanna dei responsabili di quel delitto. “Chiunque si senta leso da ricostruzioni ritenute imprecise o fuorvianti – conclude il Gruppo siciliano dell’Unci – avrà sicuramente modo di far valere le proprie ragioni nelle sedi opportune, successivamente alla messa in onda del film. Impedirne la trasmissione, invece, significherebbe soltanto limitare l’opera di divulgazione di una delle figure giornalistiche più importanti nella storia del nostro Paese”.
Pietro Valsecchi (produttore della fiction Taodue) ribadisce: «Il film racconta la verità emersa dai processi, non mi aspettavo davvero un’aggressione di questo tipo. È un film sulla libertà di stampa per cui Francese si è battuto». Lo spot tv: