In occasione della Giornata Internazionale della Felicità, che si celebra in tutto il mondo oggi 20 marzo, istituita dall’Assemblea generale dell’Organizzazione delle Nazioni Unite (ONU) il 28 giugno 2012, sono usciti i primi dati della quarta ricerca dell’Associazione Ricerca Felicità.
Nel 2024 la “great resignation” non si arresta, Nord-ovest d’Italia il più infelice e insoddisfatto rispetto al Sud e le Isole. Generazione Z e operai i più infelici del proprio lavoro. Lo rileva l’Osservatorio “BenEssere Felicità” alla sua quarta analisi sullo stato di salute della felicità e del benessere dei lavoratori.
La giornata internazionale, che si celebra tutti gli anni dal 2013 il 20 marzo, riconosce l’importanza della felicità come obiettivo universale fondamentale nella vita di ogni essere umano. È nata per chiedere “un approccio più inclusivo, equo ed equilibrato alla crescita economica, che promuova la felicità e il benessere di tutti i popoli”.
È un appuntamento simbolico, che cade proprio in occasione dell’equinozio di primavera, segnando così la fine dell’inverno e l’inizio della bella stagione: non è certo un caso, visto che la rinascita della natura è da sempre legata al benessere psicofisico.
LA RICERCA: LE DOMANDE E I DATI EMERSI
Generazione Z e operai i più infelici, i meno soddisfatti e i più inclini a cambiare lavoro, con una massiccia concentrazione di queste caratteristiche nel Nord-ovest d’Italia, che vede il risultante 49% voler cambiare lavoro a fronte della media nazionale del 45%. Al Sud e nelle Isole siamo più felici e soddisfatti.
Queste le prime evidenze emerse dall’ultima report dell’Associazione Ricerca Felicità, che per il quarto anno consecutivo misura lo stato di salute della felicità e del benessere dei lavoratori, sia nella dimensione aziendale sia in quella individuale e sociale.
La “great resignation” nel mondo del lavoro non si arresta
Le grandi dimissioni potrebbero continuare: alla domanda “ti piacerebbe avere la possibilità di cambiare posto di lavoro o lavoro nei prossimi 12 mesi?” solo poco più della metà (55%) ha risposto di no. Il 24% vorrebbe invece cambiare azienda o posto di lavoro e il 21% vorrebbe cambiare proprio lavoro o mestiere, per un totale del 45% di intervistati.
“Il lavoro ha un ruolo attivo nell’alimentazione della felicità. Non è un’impressione, non è trascurabile, è un fatto. Dalla nostra ricerca emerge chiaramente anche uno scollamento nel percepito dei lavoratori: se è vero per il 76% che il loro lavoro migliora l’azienda, non si registra invece reciprocità in termini di soddisfazione dei bisogni, che per il 35% non sono soddisfatti dal proprio lavoro. Man mano che viene data centralità al lavoratore, lo scollamento si fa ancor più esplicito: per il 41% il lavoro non dà un senso alla vita, per il 47% non aiuta a capire sé stessi” .
“Questo risulta tanto più evidente per determinati segmenti del campione: per quanto riguarda la felicità per la propria vita, quella per il proprio lavoro, la soddisfazione per il lavoro e l’uso sano e bilanciato della tecnologia il Nord-ovest risulta in tutti i casi più indietro di alcuni punti rispetto alla media nazionale, con un risultante 49% che vorrebbe cambiare lavoro a fronte della media nazionale del 45%. A livello generazionale è la Generazione Z quella più incline a cambiare lavoro, con un 60%, così come i colletti blu, con il 54%”, afferma Sandro Formica, VicePresidente e Direttore scientifico dell’Associazione Ricerca Felicità.
Alla domanda “se tu oggi dovessi scegliere un nuovo posto di lavoro, quali aspetti considereresti più importanti?” le risposte vedono al primo posto per i lavoratori e le lavoratrici l’empowerment, che con un 30% contempla le opportunità per la crescita, il contenuto del lavoro, l’autonomia, le aspirazioni e l’attenzione alla salute mentale, sebbene su tutti gli aspetti sia in testa lo stipendio, che confluisce insieme al welfare nella compensation portandone l’incidenza al 24%. Tempo e work-life balance incidono per il 23%, mentre la comunità di lavoro, che contempla le persone, i valori e l’essere apprezzati, per il 20%. Solo il 3% ritiene importante il brand tra i fattori d’attrazione e retention.
“Ciò che stupisce è che il peso di un brand nella scelta del lavoro vale solo il 3%: lavorare in un ambiente o azienda con un marchio noto risulta essere l’ultima scelta per i lavoratori e le lavoratrici italiane. Questo dovrebbe far riflettere questi brand, poiché potrebbe confermare che i candidati scelgono in quale azienda vogliono dare il proprio contributo senza farsi “abbagliare” dalle organizzazioni più note, se queste non hanno una cultura aziendale e valoriale a loro affine”.
“Tra gli aspetti che rendono maggiormente soddisfatti spicca il bilanciamento vita-lavoro, e anche in questo caso fa riflettere la posizione del Nord-ovest rispetto alla media nazionale, dove solo il 44%, a fronte del 48% in Italia, ritiene che si faccia un uso sano e bilanciato della tecnologia. Tra gli aspetti che approfondiremo nelle prossime settimane non mancherà infatti il digital wellbeing”, afferma Elga Corricelli co-founder dell’Associazione Ricerca Felicità.
Il lavoro incide sulla felicità della persona
Alla domanda “Se tu dovessi valutare quanto il tuo lavoro oggi incide sulla tua felicità complessiva, che peso gli daresti?” tra chi ha risposto molto e moltissimo la percentuale è del 51%, solo un 15% ritiene che non abbia impatto, mentre un restante 34% gli dà un peso relativo. Alla domanda “quanto ti senti felice del tuo lavoro?” solo il 10% lo è pienamente.
“Se andiamo a osservare la felicità per il proprio lavoro vediamo le donne leggermente meno felici degli uomini con una media nazionale del 48% del genere femminile contro il 50%”.
“La Generazione Z è quella più infelice del proprio lavoro con il 44%, a salire la Generazione X con il 46%, poi i boomer a un passo dalla pensione con il 50% e i millennial, che con il 55% sembrano i più felici del proprio lavoro. La classe operaia invece è la meno felice con una media del 44%”, afferma Elisabetta Dallavalle, Presidente dell’Associazione Ricerca Felicità.
Felicità significa soprattutto “Libertà”
La parola più selezionata per descrivere il concetto di Felicità è “Libertà”, che è stata scelta tra le prime 3 dall’81,0% dei rispondenti ed al primo posto da ben il
55,3%.
Segue, a distanza distanza di oltre 37 punti percentuali, “Riconoscimento” (43,6%) e al terzo posto “Ricchezza” col 35,5% di citazioni. Questi termini sono però stati citati come significato più importante solamente da circa il 10% dei rispondenti.
Il Benessere si identifica con “l’equilibrio psicofisico”
La parola più selezionata per descrivere il concetto di Benessere è invece “Equilibrio psicofisico”, che è stata scelta tra le prime 3 dal 69,4% dei rispondenti ed al primo posto dal 38,5%.
Segue “Felicità” al 62,7% che è stata scelta come significato più importante dal 22,6% dei rispondenti.
Al terzo posto “Soddisfazione” (54,0%) ed al quarto il “Tempo libero” (45,6%).
Metodologia della ricerca
La ricerca ha coinvolto 1000 persone rappresentative di tutte le generazioni attive, secondo il loro peso fisiologico nel mercato del lavoro (dalla Generazione Z ai Boomer). Il campione nazionale della popolazione attiva, e quindi occupata, aveva un’età dai sedici anni in su ed è stato distribuito sul territorio usando quote per area geografica e dimensione centri, e controllato in fase di assegnazione per quote di sesso ed età.
Le interviste sono state condotte, dal 1 al 7 marzo, con rilevazione CAWI (Computer Assisted Web Interviewing) da sistemi multipli a scelta dell’intervistato. I nominativi invitati per l’indagine provengono dai panel online di R-Dogma e dei suoi partner. L’analisi dei dati e dei risultati è stata realizzata in partnership con Research Dogma, centro di ricerca e consulenza specializzato sulle tematiche di capitale umano.
Fonte Dati
Report – Osservatorio “BenEssere Felicità”