Ciao Gloria, benvenuta e grazie per aver accettato il nostro invito. Ai nostri lettori che volessero conoscere qualcosa di te quale artista, cosa racconteresti?
Racconterei di come la musica mi ha cambiato la vita ed è diventata, da quando avevo 4 anni, la mia principale via di comunicazione e di espressione col mondo esterno. Una sorta di linguaggio universale con cui riesco ad esprimermi al meglio e grazie al quale posso arrivare al cuore della gente.
Qual è stato il tuo percorso artistico e professionale?
Ho iniziato a suonare per caso e per divertimento su un pianoforte giocattolo bianco e rosso regalatomi da una zia al mio terzo compleanno. Ho poi continuato, seguendo una mia vicina di casa, partecipando a un corso di propedeutica musicale in una scuola di musica dove ho incontrato la mia prima insegnante di pianoforte. Da lì non mi sono più fermata: ho terminato il conservatorio, mi sono diplomata all’accademia di alto perfezionamento pianistico di Pescara, ho ottenuto un dottorato alla Hochschule für Musik di Karlsruhe in Germania e ho seguito master e corsi di perfezionamento in tutto il mondo con grandissimi docenti e concertisti. E poi sono arrivati i premi ai concorsi e i riconoscimenti. Mi sono ritrovata con un bagaglio di insegnamenti utilissimi da mettere a frutto ogni giorno della mia vita: posso dire di essere soddisfatta del percorso che ho fatto e che sto portando avanti.
Come definiresti il tuo stile di concertista? A cosa e a chi ti ispiri?
Non saprei dire se ci sia davvero uno ‘stile’ concertistico, ma certamente la mia insaziabile curiosità e voglia di spaziare tra diversi ambiti linguaggi artistici mi hanno portato a vivere indimenticabili esperienze di sperimentazione nell’arte, per esempio affiancando la musica classica alla danza contemporanea, all’elettronica, al jazz, alle video proiezioni, al teatro… Se dovessi pensare a un musicista che ha saputo rinnovarsi e precorrere i tempi mi verrebbe da dire Miles Davis. Per la dedizione e preparazione mentale e fisica che richiede la performance di un musicista ci si può ispirare però anche a grandi sportivi, oppure a scienziati – filosofi come Nicola Tesla, Einstein o maestri zen che ci ricordano che è vero che abbiamo due occhi per guardare il mondo esterno, ma che spesso tutte le risposte che cerchiamo sono già dentro di noi.
Chi sono i pianisti del passato che ami di più e perché? E quelli che hai studiato maggiormente e che ti hanno appassionato?
Questa è una domanda difficile perché dipende anche da quale sia l’esigenza musicale che ti spinge ad ascoltare. Tra gli interpreti del passato citerei senza dubbio Arturo Benedetti Michelangeli, che sosteneva che una vita non bastasse per far bene nemmeno una cosa sola, Sviatoslav Richter, Emil Gilels e Vladimir Horowitz, pilastri della tradizione russa, Glenn Gould che ha inseguito per tutta la vita un suo ideale di suono perfetto dedicandosi quasi esclusivamente a un solo compositore, Johann Sebastian Bach, e ancora Claudio Arrau e Friedrich Gulda per le interpretazioni di pagine di Beethoven… ma la lista è certamente molto più lunga. Tra i pianisti-compositori invece sicuramente Sergej Rachmaninov, Ludwig van Beethoven e Robert Schumann che è il mio preferito.
Chi sono stati i tuoi maestri, quelli che ami ricordare e dei quali vuoi parlare con noi?
Per quanto riguarda la mia formazione pianistica ricorderei Daniela Vidali (mia prima insegnante), Bruno Mezzena, allievo di Arturo Benedetti Michelangeli, la brasiliana Fany Solter, Konstantin Bogino, esponente della scuola russa, e più recentemente Mitsuko Uchida con la quale ho trascorso diverse settimane estive in residenza al Festival di Marlboro nel Vermont (USA). Ma ogni grande musicista che ho incontrato e con cui ho collaborato ha contribuito ad arricchirmi professionalmente e come persona.
Hai iniziato a suonare il pianoforte all’età di quattro anni. Il primo concerto pubblico lo hai fatto a cinque anni. Hai vinto decine di premi e di riconoscimenti artistici. Raccontaci qualcuno degli eventi che hanno segnato la tua brillante carriera artistica. Quale quelli che ricordi con più piacere e perché?
Sicuramente quella che non si scorda mai è la prima volta che si suona accompagnati da un’intera orchestra; io avevo 11 anni. L’abbraccio sonoro è indescrivibile ed è una sensazione così totalizzante che all’inizio non è per niente facile rimanere concentrati. Ricordo bene anche la prima volta che ho suonato il Concerto n.2 di Rachmaninov: stavamo provando il secondo movimento e quando è arrivato il tema del flauto mi sono emozionata così tanto da sbagliare l’accompagnamento. Per fortuna che era solo una prova! Ci sono poi tantissime altre storie curiose, per esempio ho suonato in concerto a Rapa Nui sull’Isola di Pasqua e probabilmente si trattava del primo concerto di pianoforte solo della storia dell’isola, all’aperto. Evidentemente il suono dello strumento era così esotico da far incuriosire non solo gli abitanti ma anche gli animali: la platea si riempì infatti di cani, cavalli selvaggi e tacchini…
Recentemente, Gloria, hai avuto un prestigiosissimo incarico in Sicilia, la mia terra. Dal 2018 sei infatti il Direttore Artistico dell’“Associazione Musicale Vincenzo Bellini” di Messina.
Ci vuoi raccontare come è nato questo riconoscimento di grande responsabilità? Quali sono i tuoi progetti e i programmi prossimi che hai intenzione di sviluppare in Sicilia?
È da molti anni che ho il privilegio e l’onore di suonare in Sicilia, terra che amo moltissimo. Sono andata a Messina per la prima volta nel 2007 dopo aver vinto il premio Giovani Carriere del CIDIM. Da allora ho avuto l’onore di tornarvi ogni anno presentando progetti sempre diversi, ma non mi sarei mai aspettata che un giorno il Presidente Giuseppe Ramires mi avrebbe chiesto di diventare il Direttore Artistico dell’Associazione Musicale Bellini. Mi chiamò al telefono e inizialmente pensai che scherzasse, poi capii che faceva sul serio e che credeva in me. Allora mi misi all’opera per cercare di offrire alla città non solo un cartellone di altissima qualità, che era una costante da sempre, ma anche dei progetti nuovi per stimolare la curiosità del pubblico ad esempio nei confronti della musica contemporanea, della musica etnica o del crossover che unisce più generi musicali. Inoltre ho aperto le prove alle scuole a indirizzo musicale, ho cercato di instaurare una viva collaborazione con il conservatorio della città e con il teatro dell’opera e soprattutto ho voluto incrementare le agevolazioni sui biglietti per i giovani e gli studenti: il risultato è stato l’aumento degli abbonati e un numero crescente di giovani presenti ai concerti. Una soddisfazione impagabile e indimenticabile.
Un grande innovatore della musica classica di fine ‘800 inizi ‘900 fu il grande pianista e compositore francese Claude Debussy (1862-1918), che ti ho sentito suonare recentemente in modo meraviglioso in un bellissimo programma di RAI 5.
Cosa pensi delle sue composizioni e della sua tecnica? Nel tuo modo di suonare c’è qualcosa che si ispira a Debussy?
Claude Debussy, nel pieno del simbolismo e dell’impressionismo francese, si è distinto fra tutti per le sue innovazioni timbriche, armoniche e stilistiche. Il suo discorso musicale è fatto di piccole immagini in continuo movimento che mutano ed evolvono, rinnovandosi, restando però indipendenti tra loro. Inoltre Debussy era molto interessato all’esotismo e aveva uno sguardo sempre rivolto all’Oriente: un mondo e una cultura che da anni mi interessa e mi affascina profondamente.
Un altro grande pianista e compositore a cavallo tra i due secolo scorsi fu Erik Satie, grande innovatore che seppe creare musiche e composizioni che dal classico sanno essere contemporanee e moderne insieme. Cosa pensi della sua musica molto apprezzata anche oggi? E perché piace secondo te?
La musica di Erik Satie è immersa in quella ambiguità che la fa apparire seria e ironica allo stesso tempo. Satie era un progressista, ma anche un conservatore. Tutto il Novecento musicale gli è in qualche modo debitore, dalle avanguardie al minimalismo fino ai contemporanei. Era un personaggio che viveva nella provocazione di esprimere tutto e il contrario di tutto, non amava farsi chiamare ‘musicista’ ma piuttosto ‘gymnopedista’, aggettivo intraducibile e nonsense. Le Gymnopedies e le Gnossiennes sono i suoi brevissimi – e solo apparentemente semplici – componimenti che lo hanno reso famoso in tutto il mondo.
Perché secondo te oggi la musica e l’arte in generale sono importanti? E perché si dovrebbe già da piccoli imparare a suonare uno strumento?
I bambini riescono a cogliere l’essenziale perché osservano le cose con gli occhi dell’anima. Credo che far fare musica ai piccoli sia importante, perché essa ti insegna a sciogliere il cuore e a immaginare il paradiso; non in senso divino, bensì inteso come quel luogo di pace e serenità che ognuno di noi ha dentro di sé.
Charles Bukowski, grandissimo poeta e scrittore del Novecento, artista tanto geniale quanto dissacratore, in una bella intervista del 1967 disse: «A cosa serve l’Arte se non ad aiutare gli uomini a vivere?» (Intervista a Michael Perkins, Charles Bukowski: the Angry Poet, “In New York”, New York, vol 1, n. 17, 1967, pp. 15-18).
Tu cosa ne pensi in proposito? Da questa prospettiva, a cosa serve la tua arte, ovvero, la musica?
Concordo pienamente: la musica aiuta a rimanere in vita e soprattutto a mantenere un atteggiamento energeticamente positivo, resiliente, dinamico, comunicativo. Evoca emozioni quindi mantiene continuamente attivo il processo di azione-reazione nel nostro ‘sentire’ più profondo, e la musica dal vivo lo fa ancora di più perché essa esiste nello stesso momento sia per chi la suona sia per chi la ascolta generando comunione, espressione, comunicazione pura.
Hai inciso diversi dischi a partire dal 2013 quando hai pubblicato il tuo primo album, “Piano Poems” con etichetta EMI e dedicato a Schumann e Rachmaninov. Vorresti presentarlo ai nostri lettori dicendo loro perché secondo te dovrebbero acquistarlo e ascoltarlo? Quali sono state le tue incisioni successive che vuoi ricordare?
Non ho inciso in realtà moltissimi dischi perché credo molto nel messaggio diretto della performance dal vivo. Allo stesso tempo, però, ritengo che sia fondamentale suggellare in una incisione momenti unici del nostro cammino di crescita artistica, attimi che non torneranno più. Ho quindi privilegiato spesso nei miei album la forma della registrazione dell’esecuzione live. “Piano Poems” non è un live, ma è stato registrato quasi praticamente tutto d’un fiato alla RSI-Radiotelevisione svizzera di Lugano, e siccome si trattava del mio esordio discografico l’ho voluto dedicare ai due miei compositori preferiti, nonché poeti del pianoforte: Robert Schumann e Sergej Rachmaninov.
Cosa ami della tua professione di concertista e di pianista affermata a livello internazionale?
Ringrazio l’universo tutti i giorni e mi sento molto privilegiata anche se è un percorso lungo, faticoso e difficile, fatto di estenuanti sacrifici e di solitudine profonda. La cosa più bella sono i viaggi, e non parlo ovviamente di quelli in aereo: mi riferisco all’incontro con il pubblico che ti ascolta, al contatto con la gente di un luogo esotico o lontano che ti ospita con tanta curiosità e gentilezza. L’andare così vicino al cuore delle persone, a volte anche solo grazie al potere della musica, è forse il dono più prezioso, direi che non ha prezzo.
Quali sono i tuoi prossimi progetti e i tuoi prossimi appuntamenti artistici? A cosa stai lavorando adesso e dove potranno seguirti i nostri lettori e i tuoi fan?
Sono rientrata da poco da Tokyo dove mi trovavo per una tournée giapponese con la prestigiosa Nagoya Philharmonic Orchestra e il meraviglioso Quinto Concerto di Beethoven “Imperatore”, pagina che eseguirò molto in questa stagione concertistica, anche in Italia nel 2020, anno delle celebrazioni beethoveniane. Passerò il mese di novembre in tournée negli Stati Uniti e a dicembre sarò in India dove per la prima volta visiterò il paese anche in veste di concertista, sia suonando musica classica, per esempio a Nuova Delhi e a Jaipur (per il famoso festival dell’arte e della letteratura), sia esibendomi in un progetto che unisce l’Est e l’Ovest, con le trascrizioni di Alain Daniélou dei canti di Tagore Rabindranath per voce e pianoforte. Ho da poco ideato un nuovo workshop di creatività musicale per giovani musicisti che si chiama See Sharp e che sto portando in giro per il mondo per offrirlo agli studenti che devono affrontare situazioni di grande stress psicofisico come esami, concorsi e concerti: vedo che insegnar loro ad avere un metodo per affrontare le tensioni e i momenti più complessi li aiuta a “vedere oltre” e quindi a mettere meglio a fuoco le situazioni, “sharp” appunto.
Un’ultima domanda Gloria, immaginiamo che hai di fronte una numerosa platea di adolescenti di una scuola secondaria della tua città. Il tema del simposio è la musica.
Cosa diresti loro per catturare l’attenzione? Quali i tre temi principali che secondo te andrebbero affrontati per appassionare giovani menti all’arte della musica classica, non solo da ascoltare, ma anche da suonare?
Direi semplicemente che la musica è vibrazione, energia vitale, e quindi amore puro. E che ci vuole un ‘cuore buono’ per trasmetterla ed accoglierla nel modo giusto, perché anche la negatività ha una sua vibrazione. Quindi bisogna cercare attraverso la musica di elevare il proprio spirito per raggiungere livelli sempre più alti di sensibilità e consapevolezza. Userei parole chiave per me molto importanti come gentilezza e rispetto, ma soprattutto direi che la musica comincia e finisce nel silenzio, che è l’unica cosa che dobbiamo veramente imparare ad ascoltare senza mai dimenticarci di respirare. Perché nel silenzio possiamo riconoscere il ritmo musicale più importante che abbiamo, ovvero il battito del nostro cuore.
Gloria Campaner
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