Per convocare un congresso o gli Stati Generali, come preferiscono chiamarlo, nel pieno della seconda e più pesante ondata del Covid, con un Paese sempre più depresso e sfiduciato, i Cinque Stelle avranno avuto le loro buone ragioni.
Probabilmente stavano per esplodere le contraddizioni tipiche di un movimento che si è fatto partito, con tutti i riti e le ipocrisie dei partiti tradizionali e che ha smarrito la propria identità.
Parafrasando Woody Allen si potrebbe dire: volevano cambiare il sistema e il sistema ha cambiato loro.
Aleggiava, inoltre, la preoccupazione di una scissione organizzata, ancora più grave degli allontanamenti più o meno silenziosi che sono avvenuti in questi mesi con una ricaduta anche sul terreno elettorale.
Per la corrente di minoranza l’alleanza con il PD è stata la “tomba” del movimento Cinque Stelle. In verità il declino era iniziato prima con l’alleanza con Salvini che li stava fagocitando al punto che il leader della Lega ne avrebbe voluto approfittare per dare loro un colpo definitivo mettendo in crisi il governo, di cui era vicepresidente, e invocando elezioni anticipate che poi non ha avuto.
Il declino inizia, infatti, dalla alleanza con la Lega, cui è seguita quella con il PD, venendo meno a uno dei caposaldi della loro dottrina Rousseiana-Casaleggio che il movimento non si sarebbe mai alleato, sia prima sia dopo le elezioni, con gli “sputtanati” partiti tradizionali.
E cosi dopo l’alleanza con la Lega gli elettori che si richiamavamo ai valori della Sinistra, sono tornati sulle sponde da cui erano partiti. Dopo l’alleanza con il PD l’area di destra, presente come quella di sinistra in tutti i movimenti populisti, ritorna tra le fila e non di una destra moderata, ma di quella più radicale di Meloni e Salvini.
In ogni caso agli Stati Generali è passata la linea del sostegno al governo e dell’alleanza con il PD che si può replicare anche nei territori a condizioni che si realizzi, con linguaggio moroteo, non su basi strutturali ma programmatici.
Alla luce di questa decisione, che in verità era già nell’aria, il viceministro alle Infrastrutture Giancarlo Cancellieri ha lanciato la sua candidatura alla presidenza della Regione per le prossime elezioni.
Certo rimane il nodo non sciolto all’interno del movimento che pare però orientarsi per la conferma della incandidabilità dopo due legislature.
Una decisione che bloccherebbe la candidatura di Cancellieri, anche se sarà sempre possibile, per lui come per altri, ricorrere alle deroghe per aggirare l’ostacolo. L’altro nodo ancora più complicato, che lo stesso Cancellieri ha evidenziato, è che sarà necessaria la convergenza sul suo nome del PD e di Leu che finora non hanno espresso alcuna opinione sulla proposta.
Se infatti le elezioni regionali sono ancora lontane, tuttavia non sarebbe male che il Pd cominciasse a riflettere sullo schieramento, sul programma e sulla personalità da contrapporre a Musumeci che sicuramente sarà ricandidato dal centrodestra. Si eviterebbe così, come spesso è avvenuto nel passato di arrivare all’ultimo momento con candidature improvvisate e calate dall’alto.
Da questo punto di vista Cancellieri avrebbe titolo per candidarsi. Nel ruolo di capogruppo all’ARS ha svolto una rigorosa opposizione, ma sempre nel merito, al governo Musumeci e ha costruito momenti di collaborazione con l’altra forza di opposizione.
Ha svolto bene il suo ruolo di viceministro, sicuramente meglio di alcuni suoi collegi ministri, una carica che forse avrebbe meritato, e ha mantenuto il collegamento con Sicilia occupandosi delle infrastrutture viarie incompiute
Tuttavia, rimane l’incognita del PD. Perché mai dovrebbe affidare la leadership a un rappresentante di un Movimento con un gruppo parlamentare ridimensionato per gli abbandoni subiti, che non è più quella potente macchina da guerra dal punto di vista elettorale e con cui vi è stato un riequilibrio dei rapporti di forza?
Il Centrosinistra e i Cinque Stelle hanno, però, piena consapevolezza che divisi sono condannati alla sconfitta a fronte di un Centro-destra che si presenta più compatto.
Alla fine, è molto probabile che dal cilindro verrà fuori la proposta delle primarie per uscire dall’impasse che si determinerà, tenendo conto che le elezioni regionali saranno preceduti da quelle non meno importanti delle “comunali” di Palermo il cui esito influenzerà le elezioni regionali.
I siciliani tuttavia, al di là del balletto delle candidature, sono sempre in attesa di sapere se avranno un futuro, se ci sarà una ripresa dopo la pandemia o saranno condannati al declino con qualunque governo.