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Elezioni regionali: un fallimento per l’elettorato siciliano, serve una riflessione seria

martedì 7 Novembre 2017
elezioni sicilia

Si è conclusa finalmente una lunga e brutta campagna elettorale con la vittoria del centro destra che torna così al governo della Regione con Nello Musumeci presidente.
Una vittoria che ha segnato la resurrezione politica di Silvio Berlusconi e la sconfitta del Movimento Cinque Stelle che aveva puntato molto sul suo successo in Sicilia. Non a caso Grillo era sbarcato più di una volta nell’isola e Di Maio, il candidato designato a Presidente del Consiglio, ha seguito passo dopo passo la campagna elettorale di Cancelleri.

Claudio Fava registra un buon risultato che però non inciderà più di tanto nella realtà siciliana. Una brutta campagna elettorale affidata in larga parte ai candidati presidenti e, ancor di più, agli aspiranti parlamentari, tutti protesi alla ricerca dei consensi e non del consenso, per dirla con Leoluca Orlando, ad un progetto e ad un programma politico.

La sconfitta più cocente la subisce il centro-sinistra che aveva affidato a Fabrizio Micari, il rettore dell’Università di Palermo, la speranza di confermarsi alla guida della Regione e che si è visto invece tagliato fuori dalla polarizzazione che l’elettorato ha individuato in Cancelleri e Musumeci come le candidature più utili, a secondo i punti vista, per la Sicilia.

Eppure le condizioni politiche di partenza apparivano propizie. Si veniva da una vittoriosa prova elettorale che aveva visto la vittoria di Leoluca Orlando a Palermo, sostenuto da una larga coalizione di centro-sinistra, da Angelino Alfano a Giusto Catania, e che si proponeva di ripetere l’esperienza vincente su scala regionale e, perché no, diventare un modello anche per le vicine elezioni nazionali.

Si trattava soltanto di individuare un candidatura “civica”, coerente con la pluralità dello schieramento. Si era proposta al Presidente del Senato, Piero Grasso, che però oppose un netto rifiuto e si convenne così, alla luce di questo rifiuto, sulla proposta di Orlando di candidare il Rettore dell’università di Palermo, ritenendolo il candidato più idoneo ad intrepretare lo spirito della larga coalizione e a guidarla nella battaglia elettorale.

Non furono note allora le vere ragioni del rifiuto di Grasso ma la sua recente decisione di uscire polemicamente dal PD, e probabilmente sostenere la formazione che fa capo a D’Alema e Bersani, rende oggi tutto più chiaro. Tuttavia attribuire a quel rifiuto le ragioni della sconfitta del centro sinistra appare francamente un’esagerazione, dal momento che si riconoscono al presidente del Senato molte virtù ma non ancora quelle taumaturgiche.

Le ragioni della sconfitta sono ovviamente molteplici ma due appaiano più significative.
La prima è che la sinistra che fa riferimento a Rifondazione Comunista e a Sel, improvvisamente e inspiegabilmente, pone una pregiudiziale nei confronti della formazione del ministro Alfano.

“O noi o loro” diranno i loro dirigenti, dimenticando che fino a quel momento avevano collaborato a livello nazionale e fino a qualche mese prima avevano fatto insieme la campagna elettorale a sostegno di Orlando e che al Comune di Palermo fanno ancora parte della stessa maggioranza e che le presidenze delle commissioni consiliari le hanno anche grazie ai voti di Alfano.
Siamo, pertanto in presenza di una scelta dettata da un’indicazione nazionale che punta ad utilizzare le elezioni siciliane come banco di prova che anticipa gli scenari nazionali, che alla rottura politica faranno seguire anche quella elettorale, per mettere in difficoltà la leadership di Matteo Renzi e, non a caso, si fa scendere in campo un dirigente del calibro di Claudio Fava.

A quel punto il modello Palermo non c’era più e occorreva, pertanto, ripensare la strategia politica ed elettorale, mantenendo lo spirito dell’esperienza palermitana, ma facendo scendere in campo altre forze che allargassero l’area sociale in modo da svolgere una campagna di attacco e, soprattutto, in grado di recuperare un legame in termini elettorali con quell’elettorato di sinistra che poteva essere attratto da Fava, come poi in realtà è avvenuto.

Si sarebbe evitato così di mandare allo sbaraglio una risorsa importante per competenza, prestigio e moralità come il professore Micari, ma ignoto alla maggioranza del popolo siciliano e che non solo partiva in ritardo ma aveva di fronte non più due ma tre avversari temibili e attorno a cui, anche mediaticamente, si costruisce il clima dello sconfitto in partenza.
L’impegno di Micari è stato straordinario al punto che partire dall’otto per cento, a questo lo davano i sondaggi all’inizio, al quasi venti per cento, può essere una piccola ma significativa soddisfazione.
La seconda criticità che ha pesato negativamente sul voto è stata l’esperienza del governo Crocetta sui si è mantenuta una posizione ambigua e contraddittoria.

Al di là dei meriti o dei demeriti che ognuno, dal proprio punto di vista, potrà riconoscere in dato incontrovertibile, è che la percezione dell’elettorato siciliano nei confronti di questa esperienza è oltremodo negativa. Un fallimento generale a fronte dei proclami iniziali su rivoluzioni e cambiamenti radicali. Gli elettori hanno visto una continuità con il governo di Raffaele Lombardo, caratterizzato essenzialmente dall’occupazione dei posti di potere e di sottogoverno per mantenere una casta fedele al governatore.

Questa percezione era presente da tempo nei dirigenti del partito democratico e qualcuno, già all’inizio delle prime sbavature del Governo, mosse durissimi attacchi, denunciando come dietro uno pseudo grillismo si annidassero altri interessi, prima di essere cooptati e tacitati nella gestione del Governo.

Anche la componente renziana, peraltro maggioritaria nel partito, denunciava, un giorno sì e l’altro pure, l’inadeguatezza di questo Governo e del suo Presidente, continuando però a mantenere all’interno dell’esecutivo, collocati in posti chiave, tre assessori e che avrebbero potuto aprire la crisi e chiudere questa fallimentare esperienza , ma si sono guardati bene dal farlo.

Nell’ultima parte della legislatura qualche componente della maggioranza, come Sicilia Futura, aveva cercato di offrire una sponda al governatore proponendo di utilizzare proficuamente gli ultimi mesi, prima dello scioglimento dell’Assemblea Regionale, attraverso un patto di fine legislatura da offrire anche all’opposizione per approvare alcuni precisi provvedimenti che risolvessero alcune emergenze sociali.
Sarebbe stato un modo serio e dignitoso per chiudere la legislatura non a favore della maggioranza o dell’opposizione ma della comunità siciliana che probabilmente avrebbe riacquistato più fiducia nelle istituzioni e forse in tal modo sarebbe diminuito una parte dell’astensionismo.

Il governatore aveva preferito dedicarsi al suo sport preferito, le nomine, i commissariamenti, la girandola degli assessori. Non avere affrontato in tempo la “questione Crocetta” ha fatto sì che la campagna elettorale del centro sinistra abbia perso mordente impedendo al Rettore di valorizzare il suo programma di cambiamento e di innovazione in netta discontinuità con il precedente Governo, come annunciato all’inizio della campagna elettorale.

L’elettorato non ha creduto alla veridicità di questi propositi. Ha, invece, percepito una continuità con il Governo di Crocetta e d’altronde era difficile rendere credibile questa discontinuità dal momento in cui Crocetta preparava una lista in appoggio a Micari, che in seguito diventa lista del Presidente su cui converge anche Orlando anti-crocettiano per eccellenza.

Una grande confusione per gli elettori che hanno preferito posizioni forse più modeste, che non si proponevano grandi cambiamenti, nemmeno da parte dei grillini, ma almeno erano chiare e comprensibili.
Si apre così una fase difficile per la Sicilia dagli sviluppi imprevedibili.

L’auspicio è che si apra una riflessione seria e rigorosa da parte del PD e delle altre forze del centro-sinistra e che non si archivi frettolosamente il voto come è stato per il referendum con il pensiero rivolto già alle elezioni nazionali. Sarebbe una scelta foriera di nuove sconfitte.

In verità la realtà che ci si presenta ci spinge alla memoria di quella manifestazione a piazza Navona, dopo la sconfitta delle politiche dl 2002, quando Nanni Moretti dal palco esclamò di fronte agli sbigottiti Rutelli e Fassino “mi dispiace dirlo ma con questi dirigenti non vinceremo mai!”.

Quella sferzata fu salutare anche perché Rutelli e Fassino con intelligenza si fecero interpreti di quel disagio e si impegnarono a ridare fiato ed ossigeno al centro sinistra che culminò con la vittoria del 2006 di Romano Prodi. Come il regista ebbe a precisare, in seguito, commentando quell’evento e le iniziative politiche che seguirono “non ci volevamo sostituire ai partiti quindi era politica non antipolitica”.

Il discorso torna dunque al PD che, nonostante limiti e contraddizioni, rimane il punto di riferimento per una politica riformatrice e di cambiamento. Occorre, però, operare seri cambiamenti nel rapporto con la società siciliana, sempre più opaco, aprire le porte alla partecipazione e al confronto.

All’indomani del deludente risultato del referendum del 4 dicembre, in particolare nel Sud e in Sicilia, Matteo Renzi usò espressioni molto forti, come peraltro è nel suo stile, nei riguardi del suo stesso Partito nel Sud, sollecitando un modo nuovo di fare politica e di selezionare i gruppi dirigenti.

Questo anche alla luce del fatto che Renzi, come Presidente del Consiglio aveva manifestato attenzione nei confronti del sud e della Sicilia in particolare. Aveva visitato i luoghi più difficili, contributo a risolvere le criticità occupazionali più acute, aveva dirottato ingenti risorse attraverso lo strumento dei patti.
E fu lo stesso Renzi a riconoscere di avere sbagliato nel pensare che fosse stata sufficiente una politica di investimenti e di Patti per il Sud senza coinvolgere le forze sociali, renderli partecipi e protagonisti del cambiamento e che queste forze dovevano essere portate a condividere una sfida etica prima ancora che economica. “Dopo avere messo tanti soldi per il Sud, aveva detto Renzi, abbiamo commesso l’errore di non coinvolgere le persone. Bisogna ricostruire un ponte con queste persone, e solo noi possiamo farlo“.
Credo che bisogna partire da questa riflessione se si vuole preparare la controffensiva democratica di cui la Sicilia ha bisogno.

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