Il diritto alla conoscenza del cittadino e l’obbligo di trasparenza delle autorità pubbliche sono conquiste di civiltà e percorsi di democrazia che, a parole, tutti sostengono.
In astratto è difficile trovare chi non concorda sull’importanza del diritto civile e politico del cittadino a essere attivamente informato durante l’intero processo politico e decisionale, al fine di consentirgli la partecipazione piena e democratica al dibattito pubblico, e le polemiche odierne sui pericoli che derivano da una conoscenza soffocata, distorta o tardiva dell’operato di regimi autoritari come la Cina sono la migliore e più attuale prova della necessità che i Governi agiscano con piena ed assoluta trasparenza e non con il favore delle tenebre, come peraltro affermato ed auspicato dal nostro Presidente del Consiglio dei Ministri, sulla base di dati e valutazioni accessibili alla generalità dei cittadini e, come tali, assoggettabili ad un dibattito pubblico per verificarne attendibilità ed eventuali lacune.
Tutti conoscono le decisioni assunte dal Presidente del Consiglio dei Ministri per contrastare la diffusione della pandemia.
Tutti sanno, non solo perché lo si trova scritto nei Decreti del Presidente del Consiglio, ma perché ci è stato anche ripetuto all’infinito, che le sofferte decisioni emergenziali sono state adottate sulla base di ben precise direttive e valutazioni elaborate da un comitato tecnico scientifico di alto profilo.
Tutti oggi, addirittura, discutono se e fino a che punto le decisioni adottate sono state giuste o giustificate rispetto all’emergenza, se sono state tardive o tempestive, sottodimensionate o esagerate tanto che virologia ed epidemiologia sono divenute scienze popolari e terreno di scontro tra esperti, sedicenti tali ed immancabili tuttologi.
Ma in pochissimi si sono accorti che il diritto alla conoscenza dei cittadini ed il dovere di trasparenza delle autorità pubblica sono stati anch’essi sospesi o interrotti dall’emergenza “coronavirus” proprio sul tema che maggiormente interessa oggi l’opinione pubblica nazionale ed internazionale.
Quasi nessuno, prima di prendere posizione, ha ritenuto necessario documentarsi, comprendere e valutare i dati di fatto e le conclusioni del comitato tecnico scientifico che costituiscono la base logica delle decisioni sostenute o criticate
Qualcuno, però, le ha giustamente volute leggere direttamente per formarsi una propria opinione e per sottoporne le conclusioni ad un dibattito scientifico pubblico, indipendente ed informato che, anche alla luce delle continue evoluzioni del sapere scientifico sul tema, è evidentemente indispensabile.
Il tutto con una logica non di sterile ricerca di eventuali responsabilità, ma perché, con John Stuart Mill, “le idee valide vengono rafforzate e rifinite dall’opposizione e dal controllo pubblico ….. il vero male della censura sta nel decidere la verità per altri, impedendo che l’intera gamma di opinioni e pareri venga ascoltata.”
Le relazioni non sono, però, reperibili nei numerosi siti governativi e pubblici dedicati alla legislazione dell’emergenza, né in altre sedi alternative, quali potrebbero essere i lavori preparatori delle leggi che hanno conferito al Presidente del Consiglio dei Ministri, proprio sulla base di tali relazioni, poteri così invasivi e penetranti al punto da sollevare un dibattito sulla loro legittimità.
I colleghi Enzo Palumbo, Andrea Pruiti Ciriello e Rocco Mauro Todero, pertanto, hanno dovuto proporre il 16/04/2020 una formale istanza di accesso agli atti per poter ottenere in visione e in copia tali documenti.
Fatto di per sé inquietante, visto che sulla base di essi sono state adottate decisioni di estrema gravità per la vita della collettività e che, pertanto, dovrebbe essere interesse prioritario di chi ha adottato quelle decisioni, oltre che suo preciso dovere, quello di dare compiuta e completa spiegazione dei motivi che lo hanno portato ad effettuare scelte per molti versi, e per molte persone, assai dolorose.
Ma il Dipartimento della Protezione Civile ha negato, con provvedimento del 04/05/2020, l’accesso agli atti, assumendo che le relazioni del comitato tecnico scientifico sono documenti coperti da segreto e, comunque, non accessibili.
E non è stata la risposta di un oscuro dirigente o funzionario troppo zelante, perché il documento è sottoscritto proprio dal capo del Dipartimento della Protezione Civile, delegato dal Governo, con la delibera che ha dichiarato l’emergenza nazionale il 31/01/2020, al contrasto della diffusione dell’epidemia e munito di poteri di ordinanza “in deroga a ogni disposizione vigente”.
Le motivazioni del diniego appaiono essere giuridicamente molto poco convincenti, richiamando norme che non sembrano affatto riferirsi alla fattispecie in esame, e verrà proposto contro tale provvedimento un ricorso al TAR con il patrocinio volontario di alcuni avvocati da tempo impegnati nella difesa dei diritti civili, ma qualunque sia la risposta che darà l’autorità giudiziaria resta fortissima la sensazione di disagio nel sapere che in Italia non solo non viene avvertito come necessario, ma addirittura viene impedito dalle pubbliche autorità, il dibattito pubblico sulle basi tecniche e scientifiche che hanno portato all’emanazione di provvedimenti che hanno sconvolto la vita di tutti gli italiani e “sospeso le garanzie costituzionali”, come di recente candidamente e senza alcuna emozione affermato da un noto giornalista.
L’acritica fiducia del popolo nell’operato del Governo, unica istituzione che si pretende abbia la capacità di conoscere quale è il bene comune e come perseguirlo, con il suo necessario corollario del monopolio politico delle informazioni rilevanti, non è certo l’elemento caratterizzante delle democrazie.
La stessa libertà di stampa, in una celebre opinione della Corte Suprema degli Stati Uniti, “è importante solo in quanto essa serve con assiduità il diritto del pubblico a conoscere.”
Non vorremmo aver silenziosamente importato dalla Cina, oltre e insieme al virus, anche un regime comunista illiberale o, se si preferisce, di “capitalismo autoritario”, per usare la l’espressione di un autorevole uomo politico, convinto sostenitore del diritto alla conoscenza, che, pur censurando l’operato del governo cinese, si è trovato in imbarazzo nel definirlo semplicemente come “comunista”.
Forse, essendo in gioco gli elementi cardine di ogni democrazia, è il caso di non discuterne sottovoce e di non voltarsi dall’altra parte.