A Palermo c’è un luogo nascosto e magico che racconta di splendori e di ferite inferte nel tempo: è l’oratorio di San Lorenzo, per cui Michelangelo Merisi da Caravaggio aveva realizzato la tela della “Natività”, trafugata nel 1969, una tra le opere d’arte più ricercate al mondo.
“Una storia semplice” di Leonardo Sciascia si ispira proprio a questo furto e ai poteri occulti che l’hanno determinato. Ad accompagnare il dipinto – oggi sostituito da una copia fotografica su tela – giunse la decorazione di Giacomo Serpotta con le storie dei santi Lorenzo e Francesco e tutto l’apparato in stucco di Virtù e angeli, insieme a una raffigurazione del martirio di San Lorenzo sulla graticola.
Questi stucchi – in particolare la Virtù della “Veritas” – sono stati fonte di ispirazione per un’altra opera letteraria, “Retablo”, il prodigioso romanzo di Vincenzo Consolo. Da più di un decennio questo luogo è aperto al pubblico grazie ad “Amici dei Musei siciliani” con un servizio di biglietteria e visite guidate svolto dai volontari dell’associazione, laureati in Storia dell’Arte. L’associazione gestisce lo stesso servizio presso un altro oratorio serpottiano, san Mercurio, e presso le chiese del SS. Salvatore, Santa Maria del Piliere, Sant’Antonio e San Matteo, ma è l’oratorio serpottiano il vero fulcro dell’associazione.
La storia di questo luogo sembra alternare cicli di bellezza a quelli di scandaloso degrado, stupro della stessa. Come a scandirli ci sono le due preziose panche laterali, sulle cui mensole con gli intarsi in avorio e madreperla, la maschera del pianto della tragedia si sussegue a quella del riso della commedia. Nonostante i tentativi di rinascita e di riscoperta degli ultimi anni, gli effetti della pandemia sono piombati anche qui e, in qualche modo, si è ritornati al pianto.
A raccontarcelo è il presidente di “Amici dei Musei siciliani”. Lui non va in giro su un cavallo bianco, non risveglia principesse con un bacio ma è proprio un principe, di quelli dalla plurisecolare genealogia nobiliare: Bernardo Tortorici Montaperto principe di Raffadali, un po’ Gattopardo, un po’ fricchettone mi concede un’intervista telefonica dai toni informali con voce stentorea da doppiatore e un sorriso che immagino sornione.
Principe, ci troviamo in un momento drammatico per la fruizione dei Beni culturali e dei loro siti per via della chiusura a marzo, dovuta alla pandemia di Covid-19. Oltre alla quotidiana apertura dei luoghi che avete in gestione, cosa è rimasto in sospeso delle vostre attività culturali?
«Be’, ogni anno, il 10 marzo, festeggiamo il compleanno di Giacomo Serpotta. Quest’anno avevamo preparato per lui un regalo speciale: la presentazione dei quattro strumenti mancanti del coro. Perché vede, il furto della tela di Caravaggio è solo il più celebre tra gli atti vandalici perpetrati in questo luogo. Sono state trafugate anche alcune statuine in stucco dai teatrini serpottiani e addirittura la fontana che si trova all’esterno e che poi è stata recuperata. Dietro a questo ultimo progetto che avevamo in programma, c’è il contributo della “Fondazione Sicilia” e il lavoro di Giorgio Gaglio: sulle foto del passato ha ricostruito i disegni degli strumenti. La Falegnameria “Fuori Catalogo” li ha poi materialmente realizzati. L’8 marzo è stato chiuso tutto e abbiamo rimandato l’evento. Con estrema tristezza».
Come si prospetta l’immediato futuro? Si ripartirà? E come?
«Anche qui ci muoviamo a tentoni. Avrei potuto riaprire tutto il 18 maggio. E chi sarebbe venuto? Di certo non i palermitani. Loro aspettano eventi come “La Notte della poesia” o “Le vie dei tesori”. Attendiamo i turisti che al momento non ci saranno. Tra l’altro i protocolli per la riapertura non sono chiarissimi. Dobbiamo sanificare i luoghi, ma non ci spiegano ogni quanto; non ci spiegano neanche quante persone potranno entrare. Punto ad aprire i luoghi gradualmente, nei fine settimana, partendo da quelli che solitamente incuriosiscono più visitatori e quindi l’oratorio di san Lorenzo e il SS. Salvatore. Per sabato 6 giugno è prevista la visita serale della cupola di questa chiesa. Per il resto, riapriremo a breve, anche se la situazione in questo settore è davvero tragica».
Ascolti, vorrei farle due domande un po’ stizzose e provocatorie che prescindono dalla pandemia. Un altro principe, mi perdoni, ma più famoso di lei, il principe Giuseppe Tomasi di Lampedusa, ha scritto che la Sicilia è un paradiso popolato da somari. Lei è d’accordo con questa affermazione?
«Può averla scritta, ma non sono d’accordo e la rimando al mittente. Sono orgogliosamente siciliano. Abbiamo esempi pazzeschi di siciliani che si sono distinti: da Sciascia a Verga, da Pirandello a Brancati, allo stesso Tomasi di Lampedusa; da Antonello da Messina allo stesso Serpotta. Devo smentire il principe più famoso di me. Parlava di altri tempi, quando la gente non era forse del tutto consapevole della bellezza che stava ereditando».
Quali svantaggi ha avuto nell’essere un ‘Prince’, come io mi permetto di chiamarla affettuosamente?
«È un po’ antipatico rispondere a questa domanda. Svantaggi… sì. Ho fatto esperienza politica di fatto solo con Vittorio Sgarbi: prima come assessore alla Cultura quando è stato sindaco di Salemi e poi nel breve periodo in cui è stato assessore dei Beni culturali e dell’Identità siciliana. Sgarbi è stato l’unico a non temere di avere un ‘Prince’ nel suo staff. Per il resto, prima e dopo, posso dire non tanto di essere stato isolato, ma di essere quasi risultato invisibile, nonostante abbia speso e spenda la mia vita al servizio della cultura. Mi sarebbe piaciuto dare quello che ho dato privatamente in modo istituzionale».
A proposito di ‘cultura’, non pensa che vi sia una saturazione di questo termine, come se si dovesse fare cultura sempre e a tutti i costi?
«Penso il contrario, che non se ne faccia abbastanza uso. È un termine assolutamente necessario, il punto di partenza anche per ripartire oggi e non solo qui e ora, ma a livello universale».
Un’ultima domanda: che ricordo ha dei volontari che hanno lavorato con lei in tutti questi anni?
«Una famiglia. A volte ho trascorso più tempo con loro che con la mia vera famiglia; ne abbiamo passate tante insieme, siamo stati complici di una moltitudine di eventi che ci siamo inventati di sana pianta in modo creativo. Li vedo crescere, avere figli, progredire nelle loro professioni e sono certo che la loro esperienza con “Amici dei Musei siciliani” sia stata una vera e propria palestra per prepararsi al mondo».
Ringrazio il ‘Prince’, augurandogli e augurandoci che questo momento di stallo sia solo una parentesi e che ritorni il tempo delle maschere che sorridono gaudenti per la presenza di visitatori provenienti da tutto il mondo. Ovunque andranno, conserveranno la memoria di essersi abbeverati a una fonte di bellezza, di avere assaporato il cibo dell’anima.