Carissimi,
sono malato a causa di questo periodo trascorso nell’isolamento visivo e fisico, nel terrore della pandemia, mi sono presa quella che chiamano la “sindrome della capanna”.
Non sapevo neanche che esistesse, ma mi sento confortato dal fatto che esperti scienziati abbiano già codificato questa voglia di non ritornare in mezzo all’attuale prossimo elargendo a molti l’unica cosa il cui costo con l’euro non è raddoppiato, un solenne “vaffanc___”!
Ricordate una cosa, colui che da “uomo tranquillo” giunge a pronunziare un “vaffa” è sempre una persona che è arrivata alle risorse estreme è non ha nulla da perdere o come sempre accade si può permettere di pagarne le conseguenze.
Gli organizzatori della nostra vita in questo immenso casino hanno sottovalutato l’arma messaci a disposizione durante gli arresti domiciliari volontari, il tempo per pensare e chi ha conservato un briciolo di cervello, lo ha fatto!
Sappiamo tutti che lo strumento per lasciarci sudditi ai nostri doveri è stato quello di tenerci sotto pressione, togliendoci il tempo per pensare, stressandoci con i ritmi e anche quando abbiamo tenuto i telefoni spenti le nostre caselle postali si sono riempite in modo abnorme di messaggi e adempimenti che scadevano “entro domani”.
Ho avuto due grandi fortune in questo periodo, mi si è azzerato il credito telefonico e non ho avuto modo di rimpinguarlo e inoltre un provvidenziale malware mi ha messo fuori uso i computer di casa.
Così facendo ho avuto la mente sgombra da stress indotto da un prossimo stressato e ho ripreso a pensare, giorno e purtroppo anche la notte, poiché da mesi quando sembrerebbe che Morfeo sia pronto per prendermi tra le sue braccia, alle tre di notte circa, vengo svegliato costantemente da stormi di gabbiani a caccia di rondini e di altri uccelli in maniera chiassosa e violenta.
A quel punto svegliatomi, non mi rimane che riprendere a pensare giungendo alla considerazione che sono riusciti a distruggermi anche i miti del mio passato. Io che da piccolo adoravo “vacanze all’isola dei gabbiani”, perché vedevo nel gabbiano il grande nord, la libertà, posti paradisiaci tanto che crescendo ho dovuto soddisfare il desiderio di visitarli, oggi non sopporto i gabbiani, poiché dopo mesi di osservazione sono giunto alla conclusione che anche la natura una volta giunta a Palermo si adatta. Questa fissazione (oggi è diventata tale) mi ha spinto di giorno ad osservare dalla mia finestra questi uccelli fermi sui serbatoi blu nei netti dei palazzi, con quella espressione tracotante del tipo “c’è cosa?”
Li vedo con la loro supponenza e la loro espressione di dominio, “ntisu” a controllare il territorio dall’alto al pari di chi davanti i bar o fermi negli angoli controllano il territorio sulla strada, ma per altri scopi.
Ora mi chiedo, ma può essere che mi devo sorbire pure i “gabbiani mafiosi”? Qualcuno “ca sinni sienti” mi ha detto, “guarda che i gabbiani non sono specchio di una realtà pulita come la tua isoletta nordica, hai mai notato a quanti ce ne sono nelle discariche a cielo aperto?”
Io che credevo che il gabbiano fosse simbolo di libertà, con quella sua apertura di ali e il suo volare radente al mare ho dovuto prendere cognizione che si nutre nelle discariche ed è uno spietato killer che afferra le sue prede dopo averle raggiunte ed afferrate al volo per poi sbatterle al suolo ad alta velocità per togliergli la vita e poi mangiarle e ciò non sotto i nostri occhi.
Lui guadagnato il controllo del territorio dall’alto del suo serbatoio, controlla tracotante, il territorio e mi guarda, altro che “Gabbiano Jonathan Livingston”, a me è toccato il “Gabbiano Ntuonio”.
Vedrete, la realtà dipende come la si racconta, in modo bucolico per esaltarne i pregi e nascondere le nefandezze, o incutendo costantemente il terrore per fare credere agli uccelli che sopra il serbatoio c’è il “Gabbiano Ntuonio” che ci protegge perché dall’alto lui guarda lontano, mentre gli altri gabbiani andranno a caccia, a procurarsi il cibo e permettere a lui di rimanere bello, bianco e visibile sopra il serbatoio.
E così quest’anno che anche io dovrò viaggiare chiuso nel mio studio come Salgari, dovrò sognare i luoghi della natura a me cari, accompagnato oltre che dal frinire delle cicale sotto il pico del sole torrido, oltre che dal grugare della tortora con il suo costante suono di estrazione “ittica” del tipo “u purpu, u purpu, u purpu”, anche dai raid aerei notturni del “Gabbiano Ntuonio”. A questo punto che impressione volete che mi faccia gli “Uccelli di Hitchcock”?
Un abbraccio Epruno