“Mi sono ritrovato vicino alla blindata dopo essere inciampato sul cadavere di Borsellino. Ero presente fisicamente ma con la testa non c’ero. Vi lascio immaginare quale era in quel momento il mio stato d’animo”. Lo ha detto il magistrato, allora parlamentare, Giuseppe Ayala, rispondendo alle domande del procuratore capo Amedeo Bertone e del Pm Stefano Luciani nel corso dell’udienza al processo sul depistaggio della strage di via D’Amelio che si celebra a Caltanissetta e che vede imputati tre poliziotti, Mario Bo, Fabrizio Mattei e Michele Ribaudo.
“Mi trovo con questa borsa di Paolo in mano. Non so che farne – ha continuato Ayala – sono confuso. In uno stato di agitazione trovo due ufficiali dei carabinieri e la do a loro. Cosa che rifarei. Poi me ne vado. Accanto a me c’era il giornalista Felice Cavallaro il quale insiste e mi dice, vattene vattene dai tuoi figli e me ne vado. Mi ritrovo con quella borsa in mano forse per meno di un minuto. Il manico della borsa non era bruciacchiato ma forse era un po’ caldo. La borsa non era intatta”.
Ayala ha detto di essere poi tornato a casa per tranquillizzare i suoi figli. Alla domanda del Procuratore Bertone su alcune immagini in cui Ayala sarebbe stato visto al telefono l’ex Pm ha risposto: “Assolutamente no. Vorrei vedere queste immagini”.
A proposito invece dell’agenda rossa del giudice Borsellino, Ayala ha spiegato che “nell’86 non avevo nessun rapporto con Paolo. Non avevo idea di questa agenda“.
Poi Ayala replica alla figlia di Borsellino, Fiammetta, che aveva considerato “contraddittorie” le sue “numerose versioni”: “La figlia di Borsellino invece di andare al carcere a sentire gli assassini del padre, può venire da me se ha bisogno di chiarimenti?”.
L’unica cosa certa è che quella borsa poi tornerà improvvisamente di nuovo dentro l’auto, ancora fumante e con qualche focolaio da spegnere. Perché? Poi la nuova asportazione. La borsa sarà per oltre 6 mesi nell’ufficio di Arnaldo La Barbera, abbandonata.
“Dopo la strage – rivelò Lucia Borsellino – la borsa ci venne riconsegnata dal questore Arnaldo La Barbera, ma mancava l’agenda rossa. Mi lamentai subito della mancanza di quell’agenda rossa. Ho avuto una reazione scomposta. Me ne andai sbattendo la porta. Chiesi con vigore che fine avesse fatto la borsa e La Barbera, rivolgendosi a mia madre, le disse che probabilmente avevo bisogno di un supporto psicologico perché era particolarmente provata. Mi fu detto che deliravo. La Barbera escludeva che l’agenda fosse nella borsa”.
Oggi sappiamo che La Barbera (ex capo della squadra mobile di Palermo) era a libro paga del Sisde con il nome in codice Rutilius. Dell’agenda rossa, dopo 27 anni, ancora non v’è traccia.
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