Le classi dirigenti siciliane – imprenditori, intellettuali, politici – sono sempre state assenti o, in qualche occasione, hanno cercato di intestarsi delle iniziative per scuotere l’economia e la società isolane per dare quella spinta necessaria per invertire il tradizionale trend negativo che ha relegato la regione ai margini dello sviluppo nazionale?
Alla domanda si può, tranquillamente, rispondere ricordando che, se l’assenza fu il trend dominante, non si può negare che qualche tentativo, purtroppo abortito per cause addebitabili alla cultura dei siciliani, ci sia stato.
Tra la fine dell’ottocento e i primi del novecento, Ignazio Florio Jr., l’erede della grande dinastia imprenditoriale siciliana, lanciò infatti il Progetto Sicilia che, nell’idea dei promotori doveva rispondere alla grande crisi di fine secolo che aveva, ulteriormente, aggravato le condizioni socio-economiche dell’Isola. L’idea che sottendeva l’iniziativa era quella del collegamento fra capitale agrario e capitale industriale in funzione del rilancio dell’economia isolana.
Pezzo forte del progetto era la costituzione di un Consorzio agrario, che avrebbe dovuto mettere a disposizione i mezzi per l’ammodernamento del comparto agricolo e di quello minerario per competere, non solo a livello nazionale, ma anche a livello internazionale. Inoltre al Consorzio era affidato il compito di farsi interlocutore del governo nazionale per reclamare interventi nel settore delle infrastrutture, e bastava dare uno sguardo alle vie di comunicazioni e ai trasporti per comprendere quando fossero urgenti investimenti, di cui la Sicilia era deficitaria.
L’idea progettuale fu ben accolta anche dalla sinistra, il socialista Lo Vetere fu fra i sostenitori, che aveva sempre guardato ai Florio come imprenditori aperti con i quali era possibile dialogare. Florio impegnò capitali propri e, soprattutto, mise a disposizione L’Ora, un nuovo quotidiano a diffusione nazionale – il primo direttore fu Vincenzo Morello, uno dei giornalisti più famosi d’Italia – il cui compito era proprio quello di attirare l’attenzione su quell’iniziativa.
Le adesioni al progetto furono molte – si contarono ben 20 mila soci – e queste adesioni illusero i promotori che pensarono ad una svolta. Ma fu solo un’illusione, perché ben presto, gli agrari che avevano sottoscritto il progetto cominciarono a ritirarsi soddisfatti dalla svolta protezionistica delle politiche nazionali, tanto che nel torno di un pugno di mesi si ridussero a duemila, rendendo molto difficile l’azione che il Consorzio avrebbe dovuto svolgere. A cantare il de profundis dell’iniziativa contribuì il clima di tensione che era seguito al regicidio di Monza. Quell’evento funesto convinse, infatti, coloro che si erano spinti su posizioni avanzate a chiudersi nel tradizionale conservatorismo.
La vicenda del Progetto Sicilia evidenziò, ancora una volta, come l’individualismo e la mancanza di sguardo lungo, cioè di guardare al futuro senza lasciarsi travolgere dal presente, hanno costituiscono, e costituiscono, il vero e drammatico problema della Sicilia.