Il 2 giugno 1946, con la proclamazione della Repubblica Italiana veniva scritta la parola fine alla monarchia e con essa alla guida dello stato da parte della casa Savoia.
Sull’ultimo Re d’Italia – Umberto II non è possibile dare alcun giudizio data la brevità del suo mandato: si può solo dire che esaurì la sua funzione con dignità e lealtà istituzionale.
Ben altre considerazioni vanno invece fatte sul suo predecessore Vittorio Emanuele III che, fatta salva la retorica sul “ Re soldato “ e quanto altro veniva ammannito agli italiani, nel periodo che va dal 1922 fino al 1943, si rese responsabile e complice di quanto il regime fascista perpetrò a danno dell’Italia e degli italiani.
Molto è stato scritto sull’avvento del fascismo e sui vent’anni in cui Mussolini ed i suoi governarono l’Italia e, queste analisi sono state fatte e continuano ad essere fatte con ricerche storiche appropriate e di buona levatura anche se, sulle cause e ragioni per cui questo movimento nacque e si affermò così rapidamente bisognerebbe andare più a fondo, liberandosi di alcuni stereotipi.
La figura e l’azione di V.E. III in questo periodo appaiono invece osservate attraverso una sorta di cateratta che avvolge e sfuma, impedendo di vedere con chiarezza le forme che appaiono. Nello specifico, sembra che l’unico responsabile del ventennio fascista sia stato Mussolini e che il Re fosse una figura meno che secondaria, che godeva solo di poteri formali e coreografici.
Nulla di meno preciso!
Fino alla promulgazione della Costituzione della Repubblica Italiana la carta che riportava i principi fondamentali per la vita della nazione era lo statuto albertino che attribuiva al Re poteri molto maggiori rispetto a quelli che la nostra attuale Carta costituzionale attribuisce al presidente della Repubblica.
Queste prerogative non furono mai utilizzate se non per consentire : prima la presa del potere del fascismo e successivamente l’avallo delle sue azioni.
Il 28 ottobre 1922 il re, dopo averlo concordato con il presidente del consiglio Facta, si rifiutò di firmare lo stato di assedio, consentendo quindi al” caravanserraglio “ dei “ marciatori “ su Roma di impadronirsi della città. A margine va osservato che la forze armate e forse solo gli stessi carabinieri avrebbero potuto bloccare la marcia con estrema facilità e con eventuali scontri di limitata rilevanza, ben lontani dalla possibile guerra civile paventata da alcuni ambienti vicini alla Corona. Per completare l’opera, lo stesso Re chiama Mussolini, capo di un partito di assoluta minoranza nel parlamento e nel paese, per affidargli la presidenza del consiglio dei ministri, operando così un vero e proprio colpo di stato.
Di fatto consegna colpevolmente l’Italia a quello che diventerà a breve il regime fascista.
Ma è solo l’inizio !
Da quel momento V.E. III condividerà ed avallerà sostanzialmente e formalmente in virtù delle sue prerogative statutarie, tutte le scelte del regime, nefaste ed indegne che fossero, consentendo fra l’altro, che le elezioni dei 1924 si svolgessero in un clima di minacce, intimidazioni e violenze che portarono al risultato elettorale che Matteotti denunciò nell’intervento alla Camera dei deputati con il quale, di fatto, firmò la sua condanna a morte.
Anche in quella occasione i Re non si smentì e di fronte ad una presa di coscienza che attraversava l’Italia, ad una delegazioni guidata da otto medaglie d’oro della prima guerra mondiale che gli rappresentava una sorta di rivolta morale del paese, non trovò di meglio da dire se non che le rondini stavano ritardando ad arrivare!
Trascorso poco tempo si discussero, approvarono e promulgarono le leggi liberticide che con la fine del parlamento, della libertà di stampa, di associazione e dissenso, trasformarono lo stato in una dittatura con tanto di tribunali speciali e di esercito parallelo (milizia).
IL re continua nella sua complicità con il regime consentendo la partecipazione alla guerra civile spagnola, ovviamente dalla parte di Francisco Franco, nonché l’aggressione all’Etiopia che gli consentì di pavoneggiarsi con gli orpelli legati al titolo di “ Re Imperatore “ , non senza concedersi come intermezzo, sontuose accoglienze ad Hitler.
Ma le perle di questo comportamento sono indubbiamente l’avallo del cosiddeto” Patto d’acciaio “ che legava in caso di guerra Italia Germania e Giappone e le “leggi razziali”. Queste ultime, più che un’ombra, sono un macigno sul comportamento dell’Italia. Una vergogna non condivisa dalla maggior parte della popolazione e sulla quale non abbiamo fatto i conti fino in fondo.
Anche qui, la voglia di oblio ed una parte di cattiva coscienza, hanno sparso una sorta di nebbia per offuscare le responsabilità di V.E. III senza la cui controfirma le leggi non avrebbero potuto essere promulgate, anche dopo una seconda lettura da parte del parlamento, come invece prevede la Costituzione della Repubblica.
La storia non va revisionata né riscritta : va semplicemente scritta per intero, senza sconti, ipocrisie o giustificazioni di sorta. Questa nebbia sulle leggi razziali va diradata con lealtà, chiarezza e completezza di studi, unico modo per lavare questo disonore.
Ma forse, non ancora soddisfatto della sua acquiescenza al regime, il “Re Imperatore “, malgrado il parere contrario delle gerarchie militari che infine per servilismo o carrierismo finirono col tacere, sottoscrisse la dichiarazione di guerra contro Francia ed Inghilterra che precipitò nel baratro, senza paracadute, l’intera nazione. Ed a poco vale l’azione, anche essa di palazzo, del 25 luglio 1943 attraverso la quale Mussolini viene estromesso dal potere con conseguente dissolvimento del regime fascista, di cui gli italiani avevano già mostrato di essere abbondantemente stanchi.
Anche in questa circostanza il Re non mancò di perpetrare un altro tradimento, questa volta nei confronti dell’esercito, lasciando migliaia di soldati sparsi dovunque, senza direttive né ordini. La tragedia di Cefalonia, ed altre meno ricordate sono il risultato di questo comportamento. L’unico atto, paradossalmente positivo di questa lunga attività di V.E. III è stato il suo sostanziale rifiuto, fincé gli fu possibile, di abdicare in favore del figlio Umberto. Se lo avesse fatto in tempo avremmo rischiato di perdere il referendum, ritrovandoci un V.E. IV od un Emanuele Filiberto perché, come insegna la storia, i popoli spesso dimenticano.
Il 2 giugno deve, anche e sempre, essere l’occasione per rendere omaggio a quanti, a costo di ogni sacrificio, compreso quello della vita, hanno restituito agli italiani , oltre all’onore, anche la possibilità di vivere in una democrazia di cui non sempre si apprezzano e valutano i contenuti.