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Il quadro generale

Infrastrutture siciliane, poche luci e molte ombre: mancano mezzi e lavoratori

mercoledì 10 Gennaio 2024

L’inversione di rotta sembra ancora lontana. Se lo sviluppo e la modernizzazione di un paese passano attraverso la costruzione di infrastrutture volte a favorire mobilità e viabilità ai propri cittadini e a regale un dolce biglietto da visita ai turisti, la Sicilia non ha ancora imboccato la giusta via.

Anche nel 2024 l’Isola rischia di perdere l’ennesimo treno di promesse e investimenti. I colpi più difficili da digerire e buttar giù provengono direttamente da Roma. Tante sono le occasioni che, come evidenziato nel report della Cgil, andranno in fumo anche nel corso del nuovo anno. Cifre certo di non poco contro sono state portate via sotto il naso: un miliardo e 166 milioni di euro dalla rimodulazione del Pnrr e un miliardo e 480 milioni di euro dal Fondo sviluppo e coesione; a questi vanno aggiunti i 150 milioni di euro a causa della riduzione del gettito fiscale.

Nel complesso tentativo di ricostruire il quadro generale del fragile sistema delle infrastrutture siciliane, Alessandro Grasso, segretario generale della Filt Sicilia, ha non ha nascosto “più di qualche preoccupazione. Ci sono dei chiaroscuro e molte ombre“. Le risorse tagliate certamente non sono state ben accolte ma il problema sorge soprattutto al di là delle enormi somme da sborsare. Seppur diverse per caratteristiche, problematiche e incognite, come un sottile filo rosso, alcune costanti sembrano persistere: organico scarno, carenza di mezzi adeguati, la messa a terra delle opere e i tempi lunghi e indefiniti. Ma andiamo per ordine.

Analizzando il capitolo porti bisogna tener conto di una netta differenza. I frutti del lavoro svolto dall’Autorità di sistema portuale del mare di Sicilia occidentale e del suo presidente Pasqualino Monti sono visibili a chiunque. L’obiettivo di creare nuove attrazioni turistiche e riportare Palermo al centro del Mediterraneo, e non solo, è stato centrato. I chilometri di costa dimenticati hanno riscoperto una nuova giovinezza e il numero dei crocieristi avanza con ampi margini di crescita. Il tutto senza dimenticare gli altri centri che rientrano nell’Adsp: Trapani, Termini Imerese, Porto Empedocle, Gela e Licata. Un ottimo esempio nella Sicilia che da sempre è stata capace di arrancare anche nell’elemento che la contraddistingue, il mare.

Lo stesso non si può dire per il versante orientale ma, da un anno a questa parte, qualcosa di più concreto sembra stia iniziando a muoversi con l’avvento del nuovo presidente Francesco Di Sarcina. Il modello Monti” sarà presto replicato? E’ ancora difficile da affermare, ma l’auspicio è questo.

Prima bisognerà sciogliere uno dei nodi più importanti. “Si parla di sviluppo ma negli anni abbiamo lamentato la diminuzione dei livelli occupazionali. A Catania – sottolinea Grasso – ci sono 85 lavoratori in mobilità. Con il presidente Di Sarcina è arrivato il bando di gara sui servizi generali, che saranno affidati a una società e avranno una durata venticinquennale. Su questo si è creata una polemica sterile e stucchevole, dimenticando che negli ultimi 25-30 anni hanno operato aziende con regime di monopolio. Il sindacato ha chiesto con forza che venisse inserita una sorta di clausola sociale per garantire le 85 persone che ancora oggi risultano essere senza lavoro. E’ inutile parlare di sviluppo se a questo non si accompagna un aumento dei livelli occupazionali“.

Il sistema della Adsp potrebbe molto presto assumere un nuovo volto. Se ne parla ormai da mesi ma la riforma dei porti potrebbe ben presto vedere la luce. Alcuni punti però non convincono tutti: “L’autonomia delle Autorità di sistema portuale andrebbe tutelata e invece c’è un attacco dal Governo centrale. Tanto si deve fare – aggiunge – anche su sicurezza e salute dei lavoratori. In termini di finanziamenti non abbiamo visto nulla e questo rappresenta un enorme problema“.

Se le riforme in ambito portuale preoccupano, un cambiamento del sistema si auspica invece per gli aeroporti.Chiediamo che ci siano due società di gestione, una della Sicilia orientale e una della Sicilia occidentale. Non pensati – specifica Grasso – come due enti distaccati bensì in continua comunicazione“. Un passaggio, quest’ultimo già avvenuto tra Catania e Comiso. “E’ paradossale come aeroporti che distano pochi chilometri di distanza si facciano concorrenza tra di loro quando invece dovrebbero collaborare“. Il segretario generale della Filt Sicilia evidenzia come i margini di crescita della struttura ragusana siano limitati dall’assenza dell’autostrada Catania-Ragusa. “Senza il suo completamento sarà sempre considerato un aeroporto di serie b. I lotti sono stati consegnati ma i lavori non sono ancora partiti“. Sul versante occidentale l’ipotesi di una società unica è ancora lontana. Una storia simile lega l’aeroporto di Comiso a quello di Birgi. In questo caso l’attesa riguarda il collegamento ferroviario Palermo-Trapani.

aeroporto di Palermo punta raisiAltro tema molto caldo è quello della privatizzazione. “Non siamo contrari ma registriamo il silenzio assordante delle istituzioni. C’è poco confronto con le organizzazioni sindacali. Siamo favorevoli alle privatizzazioni se portano investimenti nuovi e liquidità. Napoli ne è un esempio positivo. Gli aeroporti – dichiara Grasso – devono essere messi nelle mani di chi sa fare quel mestiere. Spesso sono invece affidati a enti che hanno problemi sotto l’aspetto economico, come Catania. La struttura è fatiscente e non ha la portata da 10 milioni di passeggeri. Rischia di implodere ogni qualvolta si arriva alla stagione estiva, senza considerare il caso di questa estate. Quando fu costruita la nuova aereostazione – aggiunge – il progetto era già vecchio e per 6 milioni di passaggieri. Oggi siamo quasi al doppio dei passeggeri ma l’infrastruttura, al netto del terminal C, è rimasta la stessa. Vorremmo delle risposte e un confronto in termini costruttivi“.

Qualche notizia positiva sembra giungere dal fronte ferrovie e treni.Il nuovo contratto di servizio tra la Regione Sicilia e Trenitalia lo riteniamo un fatto positivo, un’occasione“. Nel dettaglio, il nuovo contratto avrà una validità decennale e prevede un incremento dei servizi attraverso l’attivazione di nuove linee e il potenziamento di quelle esistenti. Si passerà dagli attuali 10,9 milioni di chilometri treno ai circa 13,7 milioni previsti per il 2033. Per i prossimi dieci anni il contratto avrà un costo di 1,5 miliardi di euro ed è previsto un ulteriore investimento regionale di oltre 300 milioni per l’acquisto di 23 nuovi treni, tra cui quelli che viaggeranno sulla Palermo-Catania a 200 km/h e sei nuovi convogli a doppio piano, da impiegare sulle linee a maggiore richiesta commerciale. Più volte le odissee dei pendolari sono emerse, tra linee fatiscenti, mezzi ormai datati e lunghe corse: tra dieci anni i siciliani potranno finalmente dirsi felici di viaggiare in treno?

Anas, A19 autostrada, Palermo-Catania,Un’odissea più o meno simile a quella dei milioni di automobilisti che ogni giorno attraversano le autostradale siciliane. Poco importa se si parla di tratte gestite da Anas o dal Cas. La musica non cambia e persistono i forti ritardi sulla consegna dei cantieri. “Chi percorrere strade come la Catania-Palermo o la Messina-Palermo – osserva Grasso – oggi compie dei veri e propri viaggi della speranza. E’ inaccettabile, siamo al Medioevo. Per lo sviluppo di un paese le infrastrutture sono il perno. Portano lavoro, collegano i vari territori e anche sotto l’aspetto del turismo possono diventare un fiore all’occhiello“.

Se si pensa di poter scappare dai disagi lungo le rotaie o l’asfalto affidandosi “all’efficienza” del trasporto pubblico locale ci si sbaglia di grosso. Persiste una carenza strutturale degli autobus e nell’ottica delle gare in calendario quest’estate, la situazione è molto più ingarbugliata e complessa. Ast resta la grande incognita. In attesa dell’approvazione del piano industriale restano ancora da capire le intenzioni della Regione. I 20 milioni previsti all’interno della finanziaria, per ricapitalizzare l’azienda, sono scomparsi. Non è detta ancora l’ultima. Il collegato potrebbe riservare qualche sorpresa anche se a una cifra minore. Le richieste dei sindacati restano sempre le stesse: l’affidamento in house e l’attenzione per i 700 lavorati. Le difficoltà legate al tpl affondano le proprie radici da ben più lontano. “A livello nazionale – evidenzia il segretario generale della Filt Sicilia – mancano i fondi a sostegno del tpl. Sulla finanziaria del Governo nazionale non c’è nulla. Questo mette a rischio il trasporto pubblico locale e la mobilità degli stessi cittadini“.

Anche il trasporto merci e intermodale non raggiungono la sufficienza. Caratteristica dell’infrastruttura è quella di combinare differenti modalità di trasporto, sia su strada, sia su ferrovia ma soprattutto dal mare, e quindi essere baricentro di un’ampia zona di produzione e di consumo, quali sono la zona di Catania e di Termini Imerese.

Per quanto riguarda la prima, l’interporto è operativo già da 2010 ma è ancora “monco” del solo impianto ferroviario, che vede la società degli Interporti siciliani e Terminali Italia come futuri gestori della parte intermodale. Il secondo, a oggi, resta incompiuto. “L’interporto di Termini Immerse è considerato ai fini dell’intermodalità un’opera assolutamente strategica. Sono stati fatti anche degli studi ma – aggiunge Grasso – non si capisce perché i lavori non partono. La società degli Interporti siciliani è pronta ma serve il bando. Tutto si ferma alla Regione. E’ l’ennesima occasione persa“. A sbalordire ancora una volta è la notevole carenza di organico. La società degli Interporti siciliani ha a disposizione, infatti, sole otto unità lavorative.

Porti, autostrade, ferrovie o aeroporti? A tenere banco è sempre lui: il Ponte. “Non siamo ideologicamente contrari ma bisogna entrare nel merito. Serve un confronto vero, tra aspetti negativi e aspetti positivi. Considerando l’evidente gap infrastrutturale non riteniamo che quell’opera possa essere prioritaria. Non siamo convinti neanche dai costi fissati – conclude Grasso – perché intanto il prezzo delle materie prime è aumentato. Abbiamo il sospetto che sia più il classico slogan che si tira fuori ogni 5, 6 o 7 anni sulla base dei governi. Al netto che si faccia, rappresenterebbe l’ennesima cattedrale nel deserto“.

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