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Il caso

Messina, lo strano fenomeno: “C’è una buca sotto casa. E vogliono fare il Ponte”

mercoledì 16 Agosto 2023
Ponte sullo Stretto di Messina

Al bar, in piazza, alla fermata dell’autobus, nei salotti e in migliaia di post sui social. La prima parte della frase cambia a seconda delle circostanze e del problema. La seconda, la conclusione della frase, è ormai un mantra, un ritornello, una litania.

Sono aumentate le zucchine, e vogliono fare il Ponte”. Oppure “ho una buca sotto casa, e vogliono fare il Ponte”, “c’è fila alle poste….., (riempi i puntini) piove…., l’acqua è andata via presto stamattina….., il viadotto Ritiro è un inferno……”. Gli esempi potrebbero continuare all’infinito. E’ uno strano fenomeno che si è diffuso a macchia d’olio in una città che almeno a parole, ha ritrovato contro la costruzione del Ponte l’’orgoglio da far valere contro tutte le carenze, le angherie, l’indifferenza subite negli ultimi 40 anni. Fenomeno che contagia allo stesso modo chi è in fila al Pronto soccorso piuttosto che sul viadotto Ritiro, chi aspetta 3 ore sotto il sole per imbarcarsi sulla Caronte, chi aspetta un’ora l’aliscafo, chi il treno in ritardo, chi è al mercato e guarda i prezzi alle stelle, chi borbotta contro la manutenzione delle strade, le multe per il parcheggio in doppia fila, la cura del verde pubblico o la gestione dei servizi sociali.

Il Ponte è diventato un tiro al bersaglio democratico: unisce sotto lo stesso scudo, dagli incendi dei piromani all’invasione delle cavallette.

E’ evidente che il Ponte sullo Stretto non è la panacea di tutti i mali atavici dell’isola, ma non è neanche origine e causa di un’imminente Apocalisse di chi annuncia che ruspe e camion raderanno al suolo Messina come neanche i bombardamenti della seconda guerra mondiale.

Lo stato delle strade, autostrade, infrastrutture siciliane è sotto gli occhi di tutti da mezzo secolo. Non risulta però che negli ultimi 30 anni, quelli nei quali la costruzione del Ponte è stata cancellata dalle priorità, i governi che si sono succeduti (da Roma a Palermo) abbiano colmato il gap. Né risulta che in questi decenni senza il Ponte e con infrastrutture del paleolitico i messinesi abbiano fatto cortei, petizioni, manifestazioni, per cambiare le cose. Da 12 anni il viadotto Ritiro è una jattura, eppure nessuno è mai sceso in piazza per accelerare o far riaprire i cantieri quando si fermavano per mesi. Nessuno che abbia protestato quando l’aeroporto di Reggio Calabria veniva depotenziato per favorire Fontanarossa e costringere migliaia di messinesi a disagi inenarrabili per usare lo scalo catanese. I sindacati sono rimasti soli quando, ormai quasi 20 anni fa, ci toglievano i treni notte (in puro stile anni ’50), unico modo per arrivare in 12, 15, 18 ore al nord. E da anni ormai la stazione di Villa Sam Giovanni è diventata la vera stazione di Messina.

Nessuno in questi anni ha fatto cortei per lo stato degli acquedotti, dei servizi, delle strade statali, delle scuole, dei finanziamenti che tornano indietro in Europa perché non li spendiamo, di quelli dirottati al nord perché siamo troppi intenti a litigare tra di noi per vigilare, nessuno in piazza contro la mancata applicazione dello Statuto speciale, della continuità territoriale o ancora contro scellerati accordi Stato-Regione che farebbero rosicare d’invidia i vecchi colonialisti francesi, inglesi e americani. Neanche un piccolissimo corteo contro una gestione dei collegamenti veloci nello Stretto imbarazzante, con corse al lumicino, inesistenti nei week end, migliaia di pendolari penalizzati oltremodo. Per non parlare della stazione ferroviaria di Villa San Giovani, trend topic con post su tutti i social, foto, video, di condizioni da era primitiva, senza che una sola volta, si siano riversati in strada migliaia di persone al grido di “no scalini sì ascensore e/o scale mobili”. Come nei film sui Paesi orientali l’unico “conforto”, la soluzione trovata è stata a volte quella di ricorrere a personale impiegato per aiutare a portare bagagli. Se tutti quelli che hanno postato foto mentre percorrevano a piedi (col sole, con la pioggia con il sereno) la strada fino ai traghetti privati con trolley e borsoni avessero inscenato anche un solo corteo avrebbero riempito la A/18  da Tremestieri fino alla frana di Letojanni, consentendo persino l’unione di due proteste.

Dopo 30 anni e più di silenzio, allo spuntar del Ponte si è trovato il parafulmine di tutte le proteste inespresse. Come se i soldi destinati alla costruzione del Ponte siano tolti ad altri capitoli di spesa o possano essere considerati interscambiabili. E’ come se i soldi mai reclamati in piazza per le altre cose si siano tramutati in sensi di colpa da scontare una volta per tutte.

Va da sé che invece proprio la costruzione del Ponte porterà a colmare lacune sul piano infrastrutturale che la Sicilia paga da decenni. In programmazione ci sono cantieri tra Sicilia e Calabria per 51 miliardi complessivi. Il Ponte non è un’astronave piombata sulla terra, ma prevede risorse per opere connesse, per collegamenti stradali, autostradali e ferroviari. In Sicilia stanno arrivando milioni di euro per la rete stradale ed autostradale ed Rfi ha pianificato investimenti in Sicilia e in Calabria che nei prossimi 10 anni porterà un fiume di 80 miliardi.

La buca sotto casa, i cantieri fermi a Tremestieri o sul viadotto Ritiro, l’acqua che non c’è h24, non dipendono dal Ponte. Altrimenti in questi 30 anni e più li avrebbero già fatti. Né si può paragonare il rattoppo fatto dall’impresa di Tizio all’incrocio tra il nostro condominio e quello accanto con un’opera che sarà realizzata da chi costruisce ponti in tutto il mondo e con l’ausilio dei migliori progettisti e professionisti a livello internazionale.

L’albero che cade per via della bufera sull’auto posteggiata sotto casa non può spingere nessuna persona di buon senso a dire “eh ma il Ponte resisterà al vento?”. Può mai pensare il signor Tizio Rossi su facebook che la costruzione sia stata affidata all’ingegner Topolino?

Per non dire della resistenza ai terremoti estremi, domanda che nessuno si pone per le nostre abitazioni, gli edifici pubblici, piuttosto che per i ponti, i viadotti, la rete viaria di tutta la provincia.

Accade poi che per l’esodo ci siano file di tre ore sotto il sole a Villa San Giovanni per attraversare lo Stretto con le navi private (otto) e per le sole due delle ferrovie (toh, nessuno in mezzo secolo ha mai fatto le barricate contro questa bizzarria), e si registra l’incredibile. Per anni l’esodo e il controesodo è stato oggetto di post e comunicati stampa (mai di cortei) contro i disagi di una città “schiava dei tir e del traffico d’attraversamento”. Con il dilagar del fenomeno di cui sopra, stavolta è successo l’incredibile. Se ti azzardavi a dire: accipicchia anche quest’anno tre ore di fila agli imbarchi, la replica collettiva era: “eh, ma è normale, accade in tutte le strade d’Italia in estate. Cosa saranno mai tre ore di fila una volta ogni tanto” (tra l0altro a cambiare idea sono gli stessi che negli anni precedenti hanno detto il contrario)

Improvvisamente questo disagio, come pure le sei ore di pullman per prendere i voli a Comiso e Trapani durante l’emergenza dell’aeroporto a Catania, diventano quisquilie perché non si deve lasciare alcun margine di vantaggio ad un’opera che può mitigare i disagi.

Che saranno mai tre ore all’andata e tre ore al ritorno di sola attesa per attraversare lo Stretto? Eh, ma ti godi il maestoso paesaggio e mangi l’arancino (rigorosamente con la O perché siamo in terra messinese).

Parallelamente si è sviluppato un altro fenomeno: la nascita dell’urbanpolitica, dell’ingepolitica. In base a questa logica ci sono opere pubbliche di destra e di sinistra. Il Ponte di Messina (solo questo perché gli altri ponti non hanno colore politico, come non lo hanno i cantieri per la Gronda di Genova, la linea blu della quarta Metro di Milano, quelli per l’ampliamento delle tre metro di Roma), è di destra. Le piste ciclabili e il bike sharing sono di sinistra. I parcheggi d’interscambio sono di centro, perché si dà un colpo al cerchio (il mezzo pubblico) e uno alla botte (l’auto).

Tutte le altre opere pubbliche del Paese hanno valenza nazionale ed europea. Quella nello Stretto invece no, deve restare provinciale. Quindi invece di dire OLTRE ai 14 miliardi per il Ponte reclamiamo altre risorse per gli acquedotti, diciamo che vogliamo dire come spendere quei soldi. Così, così e così. Consapevoli che se non li spendiamo andranno altrove (geograficamente parlando). Né, per dirne una, si è mai sentito un siciliano o un pugliese (esponente di partito o di governo) dire in passato: le risorse per il Mose le dirottiamo su altre priorità e le spendiamo: così, così e così.

Sorvoliamo sull’ombra causata dal Ponte paragonata ad un’eclisse eterna o all’asteroide che piomba tra Scilla e Cariddi.

Tralascio  la questione del Ponte che invece di unire due coste unirebbe due cosche perché è offensivo anche solo continuare a parlarne. A questo punto i collegamenti marittimi tra le due sponde (veloci e lenti) cosa sono, una versione light ed ecologica di unione tra cosche? E se facessimo un tunnel è appoggio esterno alla mafia? Lo sviluppo di un territorio E’ esso stesso lotta alla mafia.

La We Build sta già lavorando in Sicilia ad infrastrutture nei tempi indicati dalle gare d’appalto (a proposito ha finito nei tempi anche i cantieri della linea blu a Milano). E’ un tentativo di avvicinamento tra le cosche? Una prova generale?

We Build  ha realizzato  l’allargamento del Canale di Panama nei tempi previsti ed il ponte dei Dardanelli in cinque anni.  I dati da raffrontare sono questi, non il paragone con la galleria di Letojanni o la bretella del viadotto Ritiro.

Invece stiamo qui, in riva dello Stretto, a far la guerra ad un Ponte, mentre aspettiamo che qualcuno, dall’altra sponda, dopo 3 ore di attesa e 40 minuti per arrivare a Messina, ci raggiunga nello stesso tempo in cui, giusto per fare un banalissimo esempio, si impiega tra Roma e Milano.

Però, se il bersaglio viene colpito, si affonda il Ponte, quei 14 miliardi andranno altrove e nessuno si ricorderà di reclamarli per la Sicilia. Si riporranno le bandiere No Ponte nel cassetto. Per riaprirle alla prossima crociata.

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