La Cappella Palatina di Palermo è uno degli edifici religiosi più sfarzosi e sontuosi del mondo. Per chi ha avuto la fortuna di varcarne la soglia, è quasi impossibile rimanere indifferenti dinanzi allo splendore dei mosaici a sfondo d’oro e alla commistione di stili architettonici, figurativi e decorativi provenienti dall’Oriente e dall’Occidente, dal mondo greco-romano (bizantino), latino e musulmano.
La realizzazione della Cappella fu voluta dal re normanno Ruggero II con l’obiettivo di celebrare ed esaltare la natura, l’intensità e la potenza del potere esercitato dal monarca. Non vi sono certezze circa l’esatta data d’inizio dei lavori di costruzione dell’architettura, sappiamo solo che secondo un documento del 1132 l’arcivescovo Pietro elevava a parrocchia una cappella costruita nella città di Palermo. È certo, invece, come attesta un atto di donazione, che re Ruggero, il 28 aprile 1140, dedicò la Cappella a san Pietro.
Alla base della cupola, dominata dal Cristo Pantocratore (cioè il Cristo onnipotente) vi è un’iscrizione contenente la data del 1143, verosimilmente l’anno in cui furono terminati i mosaici del presbitero, vera anima dell’intero edificio. Ma c’è di più: l’iscrizione si riferisce al fondatore del monumento, re Ruggero II, tentando di creare una piena equiparazione tra il sovrano e il Cristo Pantocratore. Qui, è evidente la forte connotazione politica assunta dal sistema iconografico religioso, l’immagine sacra diventa in questo caso mezzo di comunicazione politica, strumento di retorica e propaganda.
Il Cristo Pantocratore, che sovrasta la cupola, è accompagnato dagli arcangeli, mentre nelle trombe angolari di tradizione musulmana vi sono i quattro evangelisti, nell’alto tamburo i profeti biblici e infine figure di santi popolano varie parti del presbitero.
Importante è la rappresentazione di un ciclo di storie neotestamentarie che ha inizio con l’Annunciazione e la Presentazione al Tempio, proseguendo con la Natività. E insieme all’Ascensione, alla Pentecoste, il Sogno di Giuseppe, il Battesimo di Cristo, la Resurrezione di Lazzaro, l’Entrata in Gerusalemme, la Trasfigurazione e la Fuga in Egitto, prenderebbe corpo un ciclo di storie cristologiche che sarebbero state concepite, secondo lo studioso tedesco Ernst Kitzinger, sulla base del sistema iconografico e decorativo greco-romano (bizantino).
Per Kitzinger, questi mosaici avrebbero potuto riprodurre un ciclo “bizantino” delle Dodici feste (il Dodekaorton), pur se vi sono rilevanti trasformazioni e mancanze. Infatti, nel Dodekaorton greco-romano non vi è la Fuga in Egitto, la quale, insieme all’Entrata in Gerusalemme, richiama la marcia trionfale e vittoriosa di un re che fa il suo ingresso in una città straniera. Ancora una volta, evidentemente, siamo di fronte a immagini che si fanno veicolo di retorica e propaganda politica funzionali a Ruggero II.
Oltretutto, lo storico dell’arte tedesco ipotizzò che operazioni di restauro e interventi di vario genere avvenuti nel corso dei secoli, avrebbero determinato la perdita di due storie tipiche dei cicli bizantini, cioè la Crocifissione e l’Anastasis (Discesa agli Inferi). Ma secondo altri studiosi l’Anastasis e l’Annunciazione non sarebbero state presenti nei mosaici originari, che si sarebbero completati con motivi trionfali, in continuo riferimento alla magnificenza e alle qualità del sovrano.
Non c’è dubbio che la Cappella Palatina sia stata concepita da Ruggero II, anche e soprattutto, per autocelebrare la propria persona, in una prospettiva che lo avvicinava al divino, rimarcando la natura sacrale del proprio potere. E per la realizzazione architettonica e decorativa del nuovo monumento furono impiegate maestranze provenienti da diverse regioni mediterranee: ad esempio, probabilmente furono maestranze egiziane a realizzare il soffitto ligneo della navata centrale, organizzato in nicchie angolari che convergono in alto verso la cupola, secondo la tecnica decorativa islamica, detta a muqarnas. Le decorazioni rappresentano musici, danzatrici, bevitori, animali reali e fantastici secondo modelli cristiani e islamici con continui riferimenti al re normanno Ruggero II.
Sul cleristorio della navata centrale si articola un ciclo della Genesi che prende le mosse dalla Creazione e si conclude con la lotta di Giacobbe. Si ritiene diffusamente che tale ciclo sia stato promosso da re Guglielmo I, ancora una volta emerge il carattere misto dei mosaici: occidentale, orientale, bizantino, islamico e latino. Le decorazioni delle navate includono una gran quantità di santi, soprattutto appartenenti al calendario latino. Stile greco-romano e stile latino (occidentale) connotano le storie di Pietro e Paolo, rappresentate nelle navate laterali.
Viene fatto risalire al regno di Guglielmo II il mosaico del Cristo in trono tra Pietro e Paolo sulla parete occidentale del monumento. Le personificazioni del Sole e della Luna dipinte sopra il trono è un riferimento al sovrano normanno, celebrandolo come Cosmocratore.
In sostanza, la Cappella Palatina fu realizzata da artigiani e operai latini, greco-romani e islamici provenienti da diverse regioni mediterranee, assoldati per le specifiche specializzazioni e competenze tecniche. Quindi, lavorarono uno a fianco all’altro individui di religione, lingua e cultura differenti, tutti impegnati ad assecondare l’ambizioso progetto di Ruggero II, desideroso di celebrare e lodare la propria immagine e il proprio potere, attraverso un edificio sacro sfarzoso e attraverso un sistema d’immagini sacre con profonde connotazioni politiche. Un sistema d’immagini e decorazioni realizzati con stili differenti in modo tale che il messaggio politico del re potesse essere compreso da tutti i sudditi del suo regno multietnico, facendo della Cappella Palatina un vero e proprio gioiello di comunicazione politica.