L’imperatore Federico II di Svevia è stato sicuramente uno dei sovrani più influenti e importanti dell’epoca medievale, non è un caso, infatti, se sulla sua figura sono stati scritti fiumi d’inchiostro e se tanti miti storiografici si sono nutriti delle sue gesta, della sua personalità incredibilmente complessa e dei suoi comportamenti nella vita di tutti i giorni. A tal proposito, quali erano le abitudini alimentari dello Stupor Mundi?
Innanzitutto, bisogna dire che l’imperatore adorava avere dinnanzi a lui una tavola ben curata e raffinata, chi la guardava doveva esserne conquistato dallo sfarzo delle posaterie, degli addobbi e di tutto ciò che circondava il cibo. Inoltre, la buona conversazione aveva uno spazio centrale ed era tanto amata da Federico che concepiva i propri banchetti anche come un momento simposiaco, intrattenendosi in stimolanti riflessioni su tematiche di politica, filosofia, letteratura, medicina e di tanto altro con i propri ospiti.
Sulla tavola dell’imperatore non potevano mancare le carni arrosto, sicuramente tra i cibi preferiti dei sovrani, dei signori e dei nobili di questo periodo, non soltanto per una questione di sapore ma anche perché la carne cotta con una fiamma viva e violenta era associata all’idea di forza e dominio, quindi era considerata la pietanza per eccellenza dei potenti. Discorso analogo per la selvaggina, frutto del passatempo preferito dei signori, cioè la caccia. Numerosi erano i pasticci e le torte salate, spesso ripiene con uova, formaggi, carni e pesci, frutta secca e verdure come le torte di ricotta e pistacchio.E poi i formaggi stagionati, formaggi freschi e teneri, fatti soprattutto con il latte di capra, zamponi di maiale, anguille, datteri, mandorle, uova e vini pregiati, insomma cibi e bevande che esprimevano la grandezza e la potenza dell’imperatore.
Ovviamente, si deve fare un discorso diverso per quanto riguarda i consumi alimentari delle classi popolari che, naturalmente, avevano ben altre possibilità rispetto allo Stupor Mundi o ai potenti. I ceti inferiori, spesso, si dovevano ingegnare per cercare di rendere più gustosi e appetibili gli alimenti a loro disposizione.
Sarde a beccafico
Fu in questa prospettiva che nacque come piatto povero, per i poveri, una delle pietanze più apprezzate dell’odierna cucina siciliana: le sarde a beccafico, definite così perché preparate come i beccafichi, uccelli di piccola taglia le cui carni molto pregiate erano presenti nei pasti dei signori.
Volendo, quindi, emulare la mensa dei potenti ebbe origine un piatto preparato con le sarde, pesce che in Sicilia, soprattutto nelle zone costiere, era presente in abbondanza ed era venduto a prezzi bassissimi, quindi alla portata dei meno abbienti. Le sarde venivano spinate e trasformate in tenerissimi involtini a base di mollica di pane, uva passa e pinoli (utilizzati anche perché la cultura popolare li riteneva un ottimo rimedio per prevenire e curare l’intossicazione alimentare), il tutto insaporito con una foglia di alloro. Il risultato incredibile faceva dimenticare la carne prelibata dei beccafichi consumata dall’aristocrazia. È anche possibile che il nome attribuito al piatto debba essere considerato un omaggio a Federico II, data la grande passione per gli uccelli e le conoscenze di ornitologia che possedeva l’imperatore.
Comunque, anche altri piatti del popolo ricordavano i cibi dei nobili, per esempio, la melanzana, passata all’uovo, impanata e fritta, ricordava tanto una bella fetta di carne oppure la zucca in agrodolce, riprendeva la stessa ricetta usata dai cuochi dei nobili per cucinare il fegato degli animali. Inoltre, i ceti inferiori, disponendo di poca carne, usavano farcire verdure e torte salate, quest’ultime venivano preparate specialmente nei giorni di festa, non con la carne ma col pane raffermo bagnato col latte o con l’acqua nei periodi di maggior crisi.
Al di là di tutto, la base della dieta dei contadini e della gente del popolo era costituita dai cereali, infatti, il pane era centrale, immancabile in ogni tavola, così come le farinate e poi importantissime erano le verdure e gli ortaggi, usate anche per arricchire e insaporire zuppe e minestre. La frutta fresca certamente non mancava così come il pesce, soprattutto nelle zone costiere o nei pressi di fiumi e laghi.
Alla luce di quanto detto, è evidente che il consumo dei cibi era strettamente legato alle possibilità economiche ma era anche fortemente determinato dalla geografia e dalle condizioni climatiche, ad esempio, in molte zone dell’Italia centro-settentrionale i ceti subalterni consumavano raramente frutta fresca, considerata alimento dei ricchi. Stesso discorso per il pesce, soprattutto di mare, considerato un prodotto di lusso. Si può pure notare che le classi inferiori cercavano, per quel che potevano, di imitare gli usi culinari aristocratici, quindi, la tavola del signore diventava modello desiderato e sognato dal contadino, modello a cui tendere. Da qui alcune creazioni popolari come le favolose sarde a beccafico o le melanzane fritte e impanate: pietanze che da popolari sono diventate, nel corso dei secoli, prelibatezze della cucina siciliana.