Carissimi, dove ho sbagliato?
E’ la domanda che mi faccio di questi giorni ma che si dovrebbero fare in tanti, “dove ho sbagliato?”
Ho provato per una volta a ribaltare il concetto, con la mia mente matematica, per potere contro dimostrare il teorema e per una volta non ho pensato a chi ha afferrato la valigia andando via da questa mia città, ma a coloro che come me hanno fatto un investimento restando.
Un investimento pieno di sacrifici, spendendo una laurea reale, importante, di quella guadagnata tra i banchi delle università subito dopo la maturità, con fior di maestri, con considerevoli sacrifici e poi il tuffo in una realtà professionale non certo semplice nella quale per forgiarsi è stato necessario anche qui combattere, ogni qualvolta la logica lasciava spazio ad altro tipo di teoria, di certo non sempre pulito.
Dove ho sbagliato? Dove abbiamo sbagliato, perché nessuno di noi è esente dalla necessità di questo esame di coscienza, poiché non sono stato il solo che ha voluto scommettere sul futuro di questa terra, non sono stato il solo che ha avuto un ruolo e si è speso nel credo di un reale cambiamento.
Accanto a me, tanta gente coetanea che hanno messo o non hanno fasce, hanno mangiato, hanno ricordato, hanno presenziato, hanno parlato affinché fossero gli esempi positivi di questa nostra società a valere.
Purtroppo, miei cari lettori, la settimana scorsa, proprio mentre mi sedevo per scrivere con la volontà di raccontare il bello di questa terra, cercando nell’ironia gli strumenti per poter dialogare con tutti, divertendomi spesso a volare basso pur di essere maggiormente comprensibile, anche da chi per proprie vicissitudini, come me non ha avuto la possibilità di portare avanti i propri studi, ho chiuso il pc e ho detto tra me e me: “no, questa settimana no!”
Proprio quando guardavo a questa calda estate alle mie spalle e cercavo parole concilianti e speranzosa che possano trovare attenuanti a qualunque tipo di ritardo sempre con occhio benevolo, anche se il più delle volte non motivato, sono ripiombato nella grande delusione che questa terra continua a dare e che mi spinge a pensare, sempre più spesso che questa città non ha speranze.
Il dovere dare ragione al Gattopardo è una di quelle cose che mi dà più fastidio, questa logica rassegnata di chi parte da un privilegio e debba diffondere scoramento negli altri convincendoli che le cose non possano cambiare è stata una di quelle cose che mi hanno da sempre motivato per cercare di sovvertirne l’esito di questo nostro destino.
Io ho sempre creduto di poter cambiare il mondo, di essere una goccia in mezzo ad altre gocce ed è per questo che giunto al momento di un monitoraggio, io mi chiedo: “dove ho sbagliato?”
In un mondo dove è sempre colpa degli altri, io (ma lo dovrebbero fare anche tutti gli uomini di buona volontà) che ho fortemente investito nel “credo” in questa città, oggi avendo ottenuto tante soddisfazioni personali, maggiori per peso specifico di tutte le delusioni, mi chiedo il perché il mondo non sia cambiato di “un grammo” rispetto a tutte le previsioni nefaste di partenza, perché il mio lavoro, il mio credo, il mio essere insieme a quello di tutti coloro che in questa terra hanno delle responsabilità non hanno inciso minimamente contro il male e contro la volontà di opporsi a qualunque cambiamento.
Malgrado questa città si sia sforzata di organizzare offerte, acceso la luce della sera, riguadagnato zone e spazi non fruiti, smorfiato abitudini internazionali, copiando vezzi e usanze non proprio adatte a questa latitudine, ecco che a fronte di tanto lavoro, a fronte di tanta promozione, basta un gesto, un episodio, per mandare all’aria tutto, cancellandolo e riportandoti alla cruda realtà: “io vivo nella città dove un manipolo di giovani come tanti altri, compie un gesto nefando e animale nei confronti di una ragazza e poco importa l’età”.
La violenza di gruppo sbattuta su tutti i notiziari, la fotografia di quei protagonisti paragonabili ai tanti ragazzi che giornalmente incontriamo, perché nostri figli o figli di conoscenti, o da professori nelle nostre classi e in mezzo a questi ragazzi alla moda sempre più diversa che cerca di stereotipare e normalizzare i soggetti, in mezzo a quella che oggi potremmo definire “normalità”, si può nascondere un “branco” che da qualche parte si è generato è alimentato.
Costoro, sono figli della stessa città nella quale io ho deciso restando di investire, e io, ogni padre di famiglia, le istituzioni (fatte di tanti “io”), i formatori, le religioni, abbiamo fallito ancora una volta e davanti a certi episodi dobbiamo chiederci: “dove ho sbagliato?“.
Un abbraccio, Epruno.