Oggi al centro del nostro racconto c’è l’albero del Gelso e la leggenda, a lui legata, di Tisbe e Piramo.
La leggenda di Tisbe e Piramo
Per i Greci il gelso era la pianta consacrata al dio Pan, ricca di simbologia, intelligenza e passione ed è proprio ai suoi piedi che si consuma il dramma d’amore di Tisbe e Piramo, come racconta Ovidio nelle sue “Metamorfosi”. I due giovani babilonesi, innamorati pazzamente, vennero rinchiusi in cantina dalle rispettive famiglie, contrarie al loro amore.
Una lieve fessura, però, permetteva loro di comunicare e così concordarono di attrarre i loro guardiani in una trappola, per poi fuggire e ritrovarsi nel bosco dove c’erano una fonte e un albero di gelso. La prima a darsi alla fuga fu Tisbe ma, mentre era nei paraggi della fonte, vide una leonessa con la bocca sporca di sangue che, evidentemente, aveva appena divorato una preda.
Spaventata, scappò via ma, nella corsa, perse lo scialle che l’avvolgeva. La fiera, visto l’indumento, prima di allontanarsi, si avventò su di esso lacerandolo e imporporandolo. Subito dopo giunse Piramo che, non vedendo la sua amata ma ciò che restava del suo scialle, pensò che Tisbe fosse stata uccisa. Preso dalla disperazione, estratto lentamente dal fodero il suo pugnale, si tolse la vita.
Mentre il giovane esalava l’ultimo respiro, ritornò Tisbe che, affranta e incredula, stringendosi al seno il suo amore e baciandolo prima di prendere il medesimo pugnale, si trafisse. Si dice che il sangue di Piramo, irrorando il terreno, nutrì il gelso il cui frutto, da quel giorno, da bianco divenne nero.
Plinio il vecchio definiva il gelso: “Sapientissima arborum“, il più saggio tra gli alberi, perché con pazienza attende che siano scongiurate anche le gelate più tardive per emettere il fogliame. Sempre lo scrittore latino ne aveva appreso le proprietà e consigliava di mangiarne i frutti mescolati a miele, zafferano e mirra contro il mal di gola e i disturbi di stomaco.
Dioscoride, botanico e farmacologo greco, lo riteneva, anche, ottimo rimedio officinale contro ulcere e catarro. Il Gelso bianco, nome scientifico “Morus alba“, proviene dall’Estremo Oriente e fu Marco Polo a scoprirlo nel suo viaggio in Cina verso la fine del 1200; ma solo intorno al 1400 si diffuse in tutta Europa. Negli statuti comunali del 1300 venne imposta la piantagione di “Morus alba” a tutti i proprietari terrieri e decretate gravi sanzioni a chi ne danneggiava le piante; il Gelso nero, Morus nigra, invece, non mancava nei chiostri medioevali in cui veniva utilizzato dai frati o per la produzione di un vino detto “Vinum moratum” o per intensificare il colore del vino rosso.
Denominato impropriamente “mora”, in realtà è un sorosio, un falso frutto costituito da tante piccole sfere raggruppate e, a loro volta, formate dal frutto vero ricoperto da una polpa bianco-rosata commestibile. Amante del sole, sopporta sia il gelo che la siccità e una delle sue culle privilegiate è la nostra Sicilia. Oggi le ricerche scientifiche hanno confermato che le sue foglie, per i principi attivi che contengono, sono in grado di riequilibrare il metabolismo.
Chiudiamo con una riflessione: i muri di separazione sono sempre forieri di tragedie, così come gli impedimenti alla libertà. Historia, in questo caso Legènda, magistra vitae.