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La mafia alla conquista dell’America tra fine ‘800 e inizio ‘900

domenica 25 Aprile 2021
statua della libertà

Le ricerche storiografiche più recenti hanno messo in evidenza che la mafia non sia stata in origine un fenomeno semplicemente rurale, legato all’arretratezza di una società arcaica. Le cose starebbero diversamente: infatti, la criminalità organizzata, già nell’ottocento, si sviluppò in ambito urbano e fu caratterizzata da uno stretto legame con i commerci e l’economia internazionale.

Viene ormai anche respinto il postulato per cui si possa parlare, con una distinzione netta, di vecchia e nuova mafia. La prima sarebbe stata limitata alle campagne e legata al latifondo, la seconda, invece, si sarebbe inserita in ambiente urbano dopo la metà del XX secolo. Infatti, l’ipotetica trasformazione della mafia da rurale ad urbana, intorno al 1950, non è verosimile per almeno due motivi. Innanzitutto, dall’Unità nazionale, la mafia si organizzò e sviluppò soprattutto in area urbana, in particolar modo nei sobborghi della città di Palermo, tra la conca d’Oro e i Colli. Territorio attraversato da intese attività di scambio agricolo e industriale, legato alle colture arboree specializzate e al commercio internazionale. Tant’è vero che il porto di Palermo era animato da copiosi traffici commerciali, da cui si esportavano soprattutto agrumi, vini e zolfo.

In second’ordine, il fenomeno mafioso non è da collegare ad un presunto immobilismo della società e dell’economia siciliana. Ma è collegato a profonde trasformazioni che conobbe l’economia isolana e al suo rapporto con il circuito commerciale internazionale e mondiale. Infatti, il XIX secolo è il periodo in cui si assistette al boom dei vigneti e degli agrumeti, colture che garantivano importanti guadagni e che entrarono a far parte del commercio di lunga distanza verso l’Europa e l’America. E si potrebbe fare un discorso simile per lo zolfo.

La mafia riuscì ad infiltrarsi piuttosto precocemente nei circuiti dell’economia internazionale e del mercato mondiale delle merci, che si condensarono nella seconda metà dell’800. E non è un caso che le strutture organizzative e comportamentali della mafia siano legate alla “grande emigrazione” verso l’America. Infatti, i siciliani che emigrarono negli USA tra il 1880 e il 1914 impararono le metodologie del racket e del gangsterismo americano. E coloro che tornarono in Sicilia iniziarono ad applicare le nuove tecniche criminali apprese in territorio americano.

Per esempio, già nell’ottobre del 1888, a New York, venne ucciso un commerciante di frutta siciliano da due corregionali titolari di un noto ristorante della città. La polizia sostenne che si trattò di un delitto di mafia, un’associazione criminale a base etnica che oltre alla Grande Mela era presente pure a New Orleans. Per cui, tra XIX e XX secolo, nella società statunitense scaturì un forte sentimento xenofobo accresciuto dal continuo fluire di emigrati, tra cui diverse centinaia di migliaia di siciliani. Tra quest’ultimi, oltre ad una marea di poveri contadini, vi erano alcune migliaia di latitanti, delinquenti e commercianti malavitosi che intrecciarono relazioni proficue tra Europa e America. Legami che continueranno a svilupparsi proficuamente nei decenni successivi.

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