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La pesca del tonno in Sicilia, dalle origini all’epopea dei Florio

lunedì 14 Ottobre 2019
tonnaroti (youtube)

In Sicilia, sin dall’antichità, la pesca ha ricoperto un ruolo fondamentale nell’economia isolana e, in particolar modo, la pesca del tonno si è distinta per la capacità di creare circuiti commerciali internazionali, rappresentando una vera e propria eccellenza siciliana. Un’attività, quella legata al tonno, che la famiglia Florio contribuì ad accrescerne la dimensione industriale.

Nel 1877, Ignazio Florio, acquistò l’isola di Favignana, rilevando anche la tonnara favignanese dalla famiglia genovese dei Pallavicino. Ignazio farà costruire un enorme stabilimento volto alla trasformazione, conservazione e commercializzazione del pesce e del tonno.

Ma l’ascesa dei Florio costituisce soltanto il culmine di una storia plurimillenaria. Infatti, già nella preistoria la pesca era una delle attività fondamentali della Sicilia: basti pensare alle raffigurazioni di pesci sulle pareti delle grotte di Levanzo risalenti a circa 6000 anni fa. E poi, come non ricordare le vasche in pietra di epoca greca volte alla conservazione del prodotto ittico negli opifici di Pachino e Tindari. Era soprattutto il tonno a richiedere le pratiche della conservazione, infatti, essendo un prodotto stagionale, solo in minima percentuale poteva essere venduto fresco, mentre il resto veniva tagliato a fette e conservato sotto sale. Già in quest’epoca, il tonno veniva considerato come un prodotto pregiato e di “lusso”, tant’è vero che Gerone II, tiranno di Siracusa, ne inviò in quantità a Tolomeo d’Egitto in segno di amicizia.

Saranno gli islamici a introdurre nuove e più avanzate tecniche di pesca e conservazione del tonno e le tonnare conosceranno un’incredibile crescita, soprattutto, nel trapanese. Per comprendere l’importanza, economica, sociale e culturale, raggiunta nel corso dei secoli, dalla pesca del tonno, bisogna pensare all’immunità civile e penale che gli aragonesi riconobbero a tutti coloro che lavoravano nel settore tonniero durante la stagione della “mattanza”. Ed effettivamente, tra XVI e XVII secolo la pesca del tonno costituisce un motore forte e in crescita dell’economia isolana, le tonnare crescono di numero: in questo periodo, se ne contano ben 35, di cui 8 nel trapanese. A tal proposito, si è calcolato che nel biennio 1599-1600 dal solo porto di Trapani furono prodotti circa 22 mila barili di tonno.

A metà settecento, si registrò un nuovo ulteriore sviluppo commerciale, infatti, le esportazioni raggiungeranno anche l’Europa atlantica e settentrionale (Londra, Parigi, Amsterdam e Bruxelles, solo per fare alcuni esempi). L’epopea napoleonica limiterà fortemente tale commercio ma una volta superato il periodo del blocco continentale, gli affari riprenderanno rinnovato vigore. In questo scenario, subentrarono i Florio.

Sarà Vincenzo a far avvicinare la propria famiglia nel business del tonno: tra il 1813 e il 1827 l’industriale originario di Bagnara Calabra assumerà l’amministrazione degli opifici di Trabia e Termini Imerese, mentre nel 1830 acquisterà l’Arenella. Nel 1841 otterrà la gestione delle tonnare di Solanto e Sant’Elia e nell’anno successivo, entrando in società con Ingham, altro importantissimo imprenditore che tanto aveva investito in Sicilia, prenderà in locazione la tonnara favignanese con risultati strabilianti: a metà dell’ottocento, la tonnara di Favignana esportava all’estero 6332 quintali di tonno, di cui 1300 solo in Gran Bretagna. I guadagni crebbero così tanto da spingere Ignazio ad investireed acquistare l’intera Isola per farne uno dei fulcri delle sue attività imprenditoriali.

Come ricordato in precedenza, dopo l’acquisto di Favignana, fu costruito un enorme stabilimento ma soprattutto, furono introdotti nuovi processi di lavorazione: la bollitura, la conservazione sott’olio e l’appertizzazione. Quest’ultima fu sperimentata dal cuoco francese Nicholas Francois Appert e perfezionata dall’inglese Peter Durand. Appert nel 1795 escogitò la cottura degli alimenti in barattoli di vetro sigillati, permettendone una lunga conservazione e il mantenimento del gusto. Durand invece, ebbe l’intuizione di sostituire il vetro con materiali più elastici e resistenti agli sbalzi di temperatura, come ferro e stagno. Ignazio Florio ebbe l’intraprendenza di inscatolare il tonno con lamiere di ferro stagnate, cioè con lattine, eleganti e decorate, dotate di chiusura a chiave, intuendone le enormi potenzialità e gli incredibili risultati che avrebbero potuto riscontrare sui mercati. Ignazio fu un vero e proprio pioniere della “rivoluzione della latta” presentandosi all’Esposizione Universale di Palermo del 1891- 92 per mostrare la sua innovazione. Per cui, negli anni successivi le esportazioni conobbero unulteriore incremento e il tonno dei Florio arrivò a rifornire finanche Boston e New York.

Durante la belle époque nacque lo scontro per la pesca del tonno. Alcuni imprenditori genovesi diedero vita a numerose tonnare sulle coste spagnole, portoghesi e tunisine e grazie ad una minore pressione fiscale, erano in grado d’importare in Italia un prodotto a prezzi inferiori. A rimetterci, furono innanzitutto i Florio, che vanamente chiesero al governo protezione e aiuto. Era solo l’inizio della parabola della grande famiglia industriale siciliana.

Alla luce di quanto detto, è evidente che il binomio tonno-Sicilia sia indissolubile, infatti, millenni di storia e tradizioni, certamente, non si possono cancellare in un battito di ciglia. Per cui, nonostante i competitori esteri sempre più aggressivi, a volte anche sleali, nonostante i pochi aiuti governativi, il tonno siciliano riesce ancora oggi ad essere ben presente nei circuiti commerciali internazionali, grazie anche ad aziende come quella di Nino Castiglione, esempio di una Sicilia che crede allo sviluppo, esempio di un’eccellenza siciliana,esempio di una Sicilia che guarda al futuro con la forza di chi hail privilegio di avere robuste radici.

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