Il principe Klemens von Metternich, durante il Congresso di Vienna (1814-1815), dovette affrontare anche l’annosa questione dell’unificazione istituzionale fra Napoli e la Sicilia. I dubbi del ministro austriaco vertevano sulla forma di governo da instaurare e sull’opzione circa la via da intraprendere: la repressione o la via delle riforme, in un contesto nel quale risultava difficile il mantenimento dell’influenza di Vienna sulla penisola italiana e sui Borbone.
Per prima cosa cerchiamo di capire l’effettivo coinvolgimento di Metternich circa “l’affare di Sicilia”. Infatti, Ferdinando I di Borbone, re del regno delle Due Sicilie, manifestò un entusiastico giudizio sul lavoro diplomatico di Metternich definendolo “Un ministro, che io stimo come uno dei più illustri uomini del secolo, e come una persona cui debbo per l’affare di Sicilia di aver gettati i fondamenti della grandezza della mia discendenza”. E addirittura Alvaro Ruffo, ambasciatore borbonico di stanza a Vienna, scrisse al proprio sovrano riferendosi alla questione di Sicilia in questi termini: “Vostra Maestà deve, senza dubbio alcuno, a Metternich questo immenso vantaggio, immenso per la consistenza della monarchia e per la gloria del suo Augusto nome. […] se Metternich non avesse fatto un affare austriaco, se non lo avesse piantato e condotto con tanta arte, e tanto impegno […] l’affare non sarebbe riuscito”.
A questo punto sorge spontanea una domanda: cos’era “l’affare di Sicilia?”. Con questa espressione si faceva riferimento alle modalità con cui si era attuata tra il 1815 e il 1816 la fusione delle due corone di Napoli e di Sicilia. Questa soluzione, certamente, non era solo il frutto dell’abilità di Metternich, che deve essere comunque sottolineata, ma fu anche il risultato di convergenze politiche internazionali scaturite dal Congresso di Vienna, dall’impegno proficuo dei diplomatici borbonici e dalla politica euromediterranea britannica il cui rappresentante era il ministro Lord Castlereagh.
Metternich riuscì a creare un regno, quello delle Due Sicilie, attraverso condizioni piuttosto favorevoli per la corona asburgica. Infatti, il trattato siglato tra Vienna e i Borbone, il 12 giugno 1815, si articolava in una serie di clausole di carattere finanziario, militare e politico tutte a vantaggio dell’impero austriaco. La Sicilia, pertanto, costituiva un tassello di grande importanza nello scacchiere internazionale costruito da Metternich, soprattutto per tre ragioni: innanzitutto per la sua strategica collocazione geografica, in secondo luogo per gli interessi commerciali e politici dell’impero britannico sull’Isola e infine perché la fusione della corona siciliana con quella napoletana permetteva la conservazione del regno borbonico, la cui sopravvivenza era di vitale importanza per gli interessi austriaci sul Mediterraneo.
Metternich già prima del Congresso di Vienna aveva intuito l’importanza della Sicilia quale ago della bilancia nella geopolitica europea, tant’è vero che, durante le guerre napoleoniche, l’Isola fu una frontiera tra impero napoleonico e impero britannico. In tale contesto, il principe austriaco seppe agire con grande fiuto politico facendo leva sui contrasti creatisi tra l’imperatore francese, tornato dalla disastrosa campagna russa, e Gioacchino Murat, il quale si fece convincere a stringere un’alleanza con l’impero austriaco, voltando di fatto le spalle al cognato. Ma non passerà molto tempo prima che Murat cambierà nuovamente bandiera ricollocandosi dalla parte di Napoleone. Così, una volta che i due cognati, Bonaparte e Murat, scomparvero dalla scena politica, Metternich si trovò nelle condizioni di restituire la Sicilia e Napoli ai Borbone, legati a doppio filo con la potenza austriaca tra senso di gratitudine e vincoli congressuali.
Ma il grande problema dell’unificazione siculo-napoletana verteva sull’insoddisfazione della classe politica e delle élite siciliane, le quali sognavano una Sicilia indipendente e autonoma da Napoli. Metternich, consapevole dell’esistenza di queste spinte autonomistiche si scervellò su come attuare l’unificazione. Certamente, soltanto la creazione di uno Stato di ampie dimensioni avrebbe potuto garantire stabilità politica nell’area italiana. Nel frattempo, il ministro austriaco fu attento a non colpire gli interessi britannici sull’Isola né tantomeno la sensibilità istituzionale di Londra, anche per tali ragioni egli mantenne in Sicilia una sorta di Parlamento e una carta costituzionale.
Da quanto detto finora, non è difficile comprendere che il gioco diplomatico in cui Metternich si trovò a diramare le fila fu piuttosto articolato e di non facile risoluzione, anche perché erano molteplici i soggetti politici a nutrire interessi verso il Mezzogiorno e verso la Sicilia.
Dopo circa un anno e mezzo di trattative, sul finire del 1816, si giunse finalmente ad un accordo tra impero britannico, impero austriaco e i Borbone. Ma le tensioni e le spinte autonomistiche in Sicilia non erano terminate come dimostreranno i moti del 1820-21. Naturalmente Metternich riteneva che l’indipendenza siciliana fosse una strada non percorribile e non conciliabile con l’assetto geopolitico stabilito al Congresso di Vienna. Infatti, la rivoluzione siciliana venne soffocata con durezza e vennero inviati dei reggimenti austriaci sull’Isola con lo scopo di garantirne l’ordine.
E d’altra parte, a dimostrazione della complessità delle dinamiche in atto nel Mezzogiorno, non fu un caso che i moti del 1848 ebbero inizio proprio in Sicilia, diffondendosi poi a macchia d’olio nel resto d’Europa. Moti che raggiunsero anche Vienna e che sancirono la fine politica di Metternich, costretto a scappare e mettersi in salvo. Una fine politica, quella del principe austriaco, determinata anche dalla questione siciliana, quella questione che egli aveva cercato di risolvere una volta per tutte senza riuscirvi. La questione siciliana sarà una vera e propria spina nel fianco della dinastia borbonica e concorrerà a sancirne la definitiva dissoluzione.